L’unico modo che mi consenta di parlare di Giancarlo o meglio dell’idea che ho maturato di lui come formatore e pedagogista, è l’immaginare di parlare con Giancarlo, come si trattasse di uno dei contributi critici che sollecitava per questa sua newsletter.
Oggi non ho le sue domande guida a circoscrivere il campo d’indagine e, insieme, a orientare la ricerca di esperienze. Ho imparato, però, che l’idea che spinge avanti è sempre verosimile o meglio ha dentro di sé la forma di qualche realtà possibile.
Questo l’insegnamento fondamentale che porto a casa dalle sue visioni sull’educazione: un sapere deve avere plasticità, deve avere un rapporto con l’agire. Ascoltare un suo intervento e osservare la gestualità della mano alla ricerca di un punto di sintesi per riaprirsi subito dopo al contributo della discussione sono l’esempio della plasticità del sapere.
Non lo avevo capito così bene, leggendo, ad esempio, La Seconda Considerazione Inattuale, quando F.Nietzsche sostiene che il sapere che serve è quello capace di conservare ciò che trasforma: mettere insieme le cose perse e le cose rotte non per ricostruirle tal quali, ma per farne un ponte con il futuro. Una metafora della scuola?
Al maestro di provocazioni, mai soltanto intellettuali, dedico, per fare il paio con la sua ironia, un passo de L’uomo senza qualità di R.Musil:
“Non c’è nulla di più difficile in letteratura che descrivere un uomo che pensa. A chi gli chiedeva come facesse a inventare tante cose nuove, un grande scopritore rispose: pensandoci continuamente. E in verità si può ben dire che le idee inaspettate si presentano appunto per il fatto che le si aspetta. Sono in non piccola parte un risultato del carattere, di tendenze costanti, di ambizione tenace e di assiduo lavoro. Come dev’essere noiosa questa perseveranza! Sott’altro riguardo poi la soluzione di un problema spirituale si svolge all’incirca come quando un cane con un bastone in bocca vuol passare per una porta stretta: egli volta il capo a destra e a sinistra fino a quando il bastone scivola dentro; e noi facciamo altrettanto […]”
E noi facciamo altrettanto e insistiamo, aspettando insieme l’appuntamento con la sorpresa, perché tale resta, che la porta stretta non sia più un ostacolo.
Che ne dici?