Il difficile rapporto tra scuola e famiglia

Verso la costruzione del colloquio empatico

Com’è noto l’art. 29 del CCNL 2006-2009 Scuola (interamente richiamato dall’ultimo CCNL 2016-2018 Istruzione e Ricerca) dettaglia le attività funzionali all’insegnamento tra le quali, al comma 2, troviamo i rapporti individuali con le famiglie. Il comma 4 precisa poi che “per assicurare un rapporto efficace con le famiglie e gli studenti” è il consiglio d’istituto, sulla base delle proposte del collegio dei docenti, a definirne modalità e criteri di svolgimento, “assicurando la concreta accessibilità al servizio”.

L’interazione tra genitori e docenti

La frequenza e le condizioni organizzative dei colloqui individuali e generali sono quindi definite all’interno di ogni singolo istituto. Lo scopo di questi incontri è chiaro: la nostra Costituzione assegna alla famiglia e alla scuola il compito di educare e istruire i giovani. La continuità rappresenta un’alleata preziosa per garantire il successo formativo di ogni studente e la corresponsabilità scuola-famiglia nell’educazione assume un’importanza fondamentale: lo ha rimarcato, peraltro, anche lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (DPR 24 giugno 1998, n. 249, modificato dal DPR n. 235 del 21 novembre 2007 art. 5-bis.). Sia i genitori che gli insegnanti, inoltre, traggono beneficio da questa alleanza, in quanto la costruzione di un ambiente collaborativo, sereno e stimolante rappresenta una condizione fondamentale per favorire i processi di apprendimento e di socializzazione degli allievi. Cooperare, naturalmente, non significa confondere i ruoli che, al contrario, devono sempre rimanere ben distinti nello svolgimento ciascuno della propria specifica funzione educativa.

Il rischio di una relazione disfunzionale

C’è però il rischio che la relazione scuola-famiglia possa assumere anche una forma non adeguata. Parafrasando l’incipit di Anna Karenina, tuttavia, possiamo dire che i colloqui felici si somigliano un po’ tutti, mentre quelli “infelici” lo sono ognuno a modo proprio. Ci sono famiglie con le quali il dialogo e il confronto si instaurano senza problemi e con le quali è facile costruire da subito una vera alleanza educativa. È anche da supporre che queste situazioni siano più diffuse di quanto si possa immaginare, nonostante il livello di conflittualità tra scuola e famiglia, notevolmente cresciuto negli ultimi anni, e nonostante la diffusione mediatica delle cattive notizie.

Proviamo qui ad individuare le tipologie di relazione disfunzionale di maggiore frequenza tra, genitori e docenti, tralasciando però le situazioni in cui i rapporti degenerano a tal punto da entrare in un campo che potremmo definire “patologico”.

Le famiglie che non ci sono

Tra le relazioni disfunzionali, vanno innanzi tutto citate quelle con le famiglie che non rispondono ad alcuna comunicazione, nemmeno alle convocazioni ufficiali, famiglie che, praticamente, “non ci sono”.  Gli insegnanti non hanno altra possibilità se non quella di provarci e riprovarci, chiedendosi il perché di tali silenzi. Indifferenza? Forse. O più probabilmente sfiducia nell’istituzione scolastica. È un risultato, comunque, di un percorso che – in chissà quale momento e in chissà quali circostanze – si è deteriorato. Spesso, inoltre, questo atteggiamento è espressione di situazioni socio-culturali deprivate che determinano una generale sottovalutazione del ruolo formativo svolto dalla scuola. Ripristinare una qualunque relazione tra scuola e famiglia è, in questi casi, un’impresa davvero ardua.

I genitori che difendono il figlio a prescindere

Ci sono poi colloqui che iniziano con un esordio che mette subito in allarme il docente esperto, della serie: “non sono il tipo di genitore che difende il proprio figlio, ma…”. Dietro quel “ma” si cela un’innegabile verità: il genitore difenderà a spada tratta il proprio figlio. Qualunque sia il problema posto, ci sarà sempre una motivazione più che plausibile a giustificarlo:

  • Non ha portato i compiti? Li aveva fatti, ma ha dimenticato di metterli nello zaino.
  • L’interrogazione è andata male? Aveva studiato ma le domande erano troppo incalzanti e non è riuscito/a ad esprimersi adeguatamente.
  • La verifica è risultata insufficiente? Quel giorno non si sentiva molto bene.
  • Copiava? No, non ha copiato, è stato il compagno/a a chiedere le risposte.  
  • Chiacchiera in continuazione? Strano perché a casa è molto riservato.
  • Ha risposto male ad un compagno? Si è sentito minacciato.
  • Ha risposto male ad un docente? Incredibile, perché ha grande rispetto degli adulti e dei ruoli.
  • Ha danneggiato qualche arredo scolastico? Mai successo prima.

L’apparente ingenuità di questi genitori e la veemenza con la quale difendono i propri figli sono quasi commoventi, quasi fossero avvocati durante un processo.  In questi casi, le chance che ha l’insegnante di sentirsi dare ragione sono praticamente pari a zero. Qualunque fatto possa portare a supporto delle proprie parole sarà accuratamente smontato. Al termine del colloquio il docente, stremato, potrebbe arrivare anche a pensare di essersi immaginato tutto.

I grafomani che comunicano solo per iscritto

Sempre comparabili a questa categoria sono i genitori che rispondono per iscritto alle note. Certo, il registro elettronico ha notevolmente ridotto questa possibilità ma, soprattutto alla scuola primaria e alla scuola secondaria di primo grado, permane la consuetudine di trascriverle sul diario. In tre righe sinteticamente il docente informa la famiglia dell’accaduto. Non sia mai. Il giorno successivo il malcapitato può trovarsi a dover leggere pagine e pagine in cui il genitore spiega, con dovizia di particolari, perché quanto detto dal docente non sia veritiero. Una rara, fortunatamente, declinazione di questa categoria, è quella di coloro che passano direttamente alle minacce, saltando ovviamente dal “Lei” al “tu”: “Ti denuncio, mi rivolgerò a chi di competenza, non ti devi permettere…”, come se il figlio fosse stato accusato di un crimine e sottoposto a forme di umilianti punizioni. Ovviamente c’è da dire che, sbollita la rabbia, questi genitori non passano quasi mai dalle parole ai fatti.

I rigoristi che difendono sempre la scuola

Agli antipodi troviamo invece genitori severissimi. Sono quelli che credono fermamente nella scuola quale ascensore sociale, sono ligi al dovere, estremamente rispettosi delle regole e pretendono che i figli lo siano altrettanto. Apparentemente sono le famiglie con le quali è più facile instaurare un dialogo educativo proficuo, in realtà, invece riescono a mettere molto spesso in difficoltà anche il più intransigente dei docenti. Il problema è che anche la più piccola infrazione diventa tragedia. Non tanto per l’insegnante, che si sente appoggiato, ma per l’allievo, che magari viene messo in punizione solo per aver dimenticato di portare a scuola il materiale occorrente. Senza voler entrare nel merito delle modalità educative che ogni famiglia ha legittimamente il diritto di scegliere, chi vive nel mondo della scuola sa che a tutti può capitare di dimenticare qualcosa, di studiare nel modo sbagliato, di prendere una valutazione insufficiente. Se i docenti sono consapevoli delle reazioni esagerate delle famiglie, si trovano in bilico tra la necessità di informarle di quanto è successo in classe e il timore di condannare lo studente a rimproveri eccessivi.

Il colloquio come sfogatoio

Di tutt’altro tenore sono poi i colloqui nei quali i genitori riversano tutti i problemi e le frustrazioni della propria vita. Succede molto spesso di essere testimoni di situazioni delicate, di incontrare persone che sono sull’orlo di una crisi di nervi. Le osservazioni del docente possono diventare la classica goccia che fa traboccare il vaso e scatenare pianti, lacrime e confessioni davanti ai quali poco si può fare se non restare in rispettoso silenzio. Per quanto empatico, un insegnante non è un terapeuta e poco deve dire di fronte ad ingarbugliate situazioni di vita che coinvolgono l’intera famiglia e affondano le radici in chissà quali dissapori passati. Dopo lo sfogo, quando il genitore si è ricomposto, spesso la ragione iniziale del colloquio finisce nel dimenticatoio e, quand’anche il docente l’abbia ancora ben presente, fatica a ricondurre il confronto, oramai degenerato, al motivo originario.  

L’importanza del rapporto empatico

Da queste brevi annotazioni si comprende l’importanza che assume nei rapporti interpersonali l’empatia, che può aiutare il docente a trovare la strada giusta per costruire un’intesa capace di favorire il successo formativo di ogni studente. Per empatia intendiamo la capacità di entrare nell’universo mentale ed emotivo dell’interlocutore con il quale si intrattiene una relazione (l’allievo o la sua famiglia). Saper decodificare questo universo è un passaggio indispensabile per stabilire una relazione proficua e genuina.

Sapersi mettere nei panni di un genitore è importante: a differenza del passato, oggi ci sono tanti tipi di famiglie caratterizzate tutte da problemi di varia natura; spesso entrambi i genitori lavorano e hanno meno tempo da dedicare all’educazione; molti ragazzi sono figli unici caricati di tutte le ambizioni e le speranze delle loro famiglie. Le classi sono sempre più multiculturali: ognuno ha tradizioni, consuetudini e regole che possono variare da quelle maggiormente diffuse. È evidente come tutti questi aspetti influenzino il modo in cui i genitori interagiscono con la scuola e i suoi operatori ed è quindi indispensabile che i docenti siano adeguatamente attrezzati, sul piano culturale ed emotivo, a gestire situazioni così complesse.

L’alleanza educativa come ricerca di consapevolezza

Inoltre, al di là di tali constatazioni, accettare che il proprio figlio possa avere problemi – di qualsiasi natura e di qualunque grado – non è sempre facile. Nella nostra società l’errore è stigmatizzato come qualcosa di negativo, l’insuccesso non è percepito quasi mai anche come un’opportunità per riflettere e per cambiare, quasi come una vergogna. Esserne consapevoli è il primo passo per capire che la ricerca di un’alleanza educativa non può mai passare dalla colpevolizzazione, ma piuttosto dalla condivisione della consapevolezza che la scuola e la famiglia devono e possono collaborare, nel rispetto delle diverse competenze e con le proprie peculiarità, per educare e far crescere i cittadini di domani.