Nella scuola, come nella società di cui la scuola è gran parte, è in atto una trasformazione. Lasciamo stare gli aggettivi enfatici: una trasformazione che non discende da un centro studi, dall’ennesima riforma calata dall’alto, o dal rizoma avvolgente, talvolta paralizzante, di note e circolari.
Cambiamento
In questione non è la presenza “o” la distanza, ma la presenza “e” la distanza, come peraltro ha riconosciuto il Ministero dell’Istruzione, con le Linee guida per la didattica digitale integrata (DDI) allegate al D.M. n. 89 del 7 agosto 2020.
A rischio di ripetersi: nonostante la pandemia, la scuola sta continuando ad accudire alla propria missione educativa, e ciò grazie ai docenti, al personale ATA, ai DS, ai DSGA, agli studenti, ai genitori. La scuola è entrata nelle case, le famiglie, come mai prima, sono entrate nelle scuole. Il Patto educativo di corresponsabilità ha assunto il profilo di un’interazione incessante, autenticamente agita e vissuta, anche se da remoto.
Virtuale e reale
Però attenzione: la pandemia non ha inventato nulla, ha semplicemente contribuito ad accelerare processi in itinere, specie in riferimento alla competenza digitale e alle premesse già poste dalla Raccomandazione europea del 18 dicembre 2006 – riformulata il 22 maggio 2018 – e dal Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD, D.M. 851 del 27 ottobre 2015).
La contrapposizione tra virtuale e reale non spiega come stanno effettivamente le cose, neanche in campo educativo e didattico. I due ambiti possono essere complementari, completarsi reciprocamente. Luciano Floridi parla di onlife. La lezione in presenza ha le sue ragioni, ma come da tempo sappiamo, non è detto che debba continuare ad esprimersi ex cathedra.
Allo stesso modo è poco convincente stabilire schematiche fratture tra didattica a distanza e tradizione educativa. In fondo anche il libro è espressione di una comunicazione a distanza. Marcel Proust, a seguito della sua giovanile esperienza di traduttore di John Ruskin, ha lasciato riflessioni preziose sul tema.
Gli amici, i libri e la comunicazione a distanza
Ruskin considerava il libro una specie di conversazione: “la lettura di ogni buon libro – ricordando Cartesio – è come una conversazione con i più grandi uomini dei secoli passati che ne furono gli autori”[1]. Ma – si chiedeva l’autore della Recherche – davvero il libro può ridursi a questo? Il libro è davvero solo un ripiego al quale far ricorso nel momento in cui non possiamo avere al nostro fianco lo scrittore o il poeta?
La risposta proustiana è chiarissima. No, non è possibile confondere il libro con l’incontro che possiamo avere, o non avere, con la persona. Si tratta di un’altra dimensione. Perché il meraviglioso miracolo della lettura consiste in una comunicazione a distanza, in absentia. Non stiamo uscendo, quindi, dalla tradizione, la stiamo rinnovando. Non stiamo contraddicendo al fondamento della nostra cultura, il rapporto scrittura-lettura, lo stiamo aggiornando.
DAD e DIP parti di una più ampia offerta formativa
Poi certo, non son tutte rose ed è metodologicamente sbagliato ogni atteggiamento acritico. È evidente che la DAD non può essere una mera tecnicalità, ma educazione vera e propria. Non può affidarsi solo a strumenti di ordine pratico, deve essere anche relazione. La DAD è una frontiera da attraversare per arrivare ad una fase ulteriore di personalizzazione dell’apprendimento. L’obiettivo è coinvolgere, motivare e rimotivare ogni studente, con antenne attente a cogliere chi rischia di rimanere indietro, o si è perso, o sta scivolando nell’invisibilità. La DAD e la Didattica in presenza (DIP) sono parti, di diversa consistenza, di una più ampia offerta formativa.
ELET e NEET
Il digital divide, la dispersione, l’abbandono precoce, l’allargamento della forbice delle diseguaglianze non sono stati provocati dalla pandemia: le preesistono, come pure l’emigrazione cognitiva e soprattutto sia il contestuale primato negativo di abbandono anticipato dall’istruzione e dalla formazione (ELET, Early Leaving from Education and Training) sia il primato di studenti fuori dall’istruzione, dall’occupazione o dalla formazione (NEET, Not in Education, Employment or Training). A maggior ragione questi limiti – che vanno accentuandosi – devono essere affrontati e superati.
In questione è la capacità di costruire il senso di una relazione fondata sull’integrazione tra presenza e distanza per una scuola più inclusiva e capace di utilizzare, con dimestichezza e spirito critico, l’opportunità digitale, confrontandosi sul terreno dei compiti autentici e delle prove di realtà.
Le magnifiche sorti della resilienza
Sappiamo bene che la parola “resilienza” risulta logorata dall’uso eccessivo che ne è stato fatto e tuttora se ne fa. Non c’è attualmente documento che non ne porti traccia. Persino il piano italiano per il “Next generation EU”, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 12 gennaio, viene chiamato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Un’eco si è avuta anche sul palco dell’Ariston: Sanremo come un Festival della resilienza.
È corretta l’idea di una capacità di reggere agli urti. La scuola lo sta dimostrando nel continuo mutare del contesto e del quadro normativo: “Tutto ciò che non mi fa morire mi rende più forte” (Nietzsche Il crepuscolo degli idoli 1888). E, come avevano già intuito i pensatori antichi, la reazione alle difficoltà, agli imprevisti, ai problemi dipende dall’interpretazione che l’uomo dà agli eventi. Da un lato, quindi, legami deboli, dall’altro, attitudine ad un ragionevole accomodamento.
Il carico burocratico
Resilienti si stanno dimostrando gli assistenti amministrativi che, in una situazione come l’attuale, stanno affrontando un fardello burocratico che, invece di ridursi o semplificarsi, va accentuandosi e complicandosi: tra predisposizione dei pensionamenti in vece dell’INPS (Nuova Passweb); applicazione di clausole per la fruizione del diritto di sciopero che avrebbero dovuto trovare ben altre soluzioni tra ARAN e OO.SS. rappresentative; tutela dei lavoratori fragili e opportunità di essere assegnati a diversa mansione, unitamente al diritto del personale supplente a permanere in servizio, quando invece si scopre che nella Legge di Bilancio (n. 178 del 30 dicembre 2020, comma 481, art. 1) qualcuno ha pensato che tale diritto potesse essere inopinatamente disatteso in data 28 febbraio .
I collaboratori scolastici
Resilienti sono i collaboratori scolastici, nel garantire Piani per le pulizie sempre di nuovo aggiornati, dai pavimenti degli ambienti utilizzati ai banchi, alle cattedre, ai tavoli, alle tastiere dei PC, ai mouse, ai telefoni, alle maniglie, alle finestre, alle superfici e alla rubinetteria dei servizi igienici, ai distributori automatici di cibo e bevande, alle attrezzature sportive nelle palestre, alle visiere, agli utensili da lavoro, a ogni altra superficie che possa venir usata in modo promiscuo, sino alla quotidiana distribuzione di mascherine.
I genitori
Resilienti sono i genitori nel farsi carico dell’esigenza di assicurarsi che i propri figli escano di casa in assenza di sintomi sospetti, muniti di mascherina; o nell’accompagnare un figlio al nido, l’altro alla scuola primaria e magari un terzo alla scuola media; nel verificare costantemente che la connettività domestica “tenga”; nel sostenere i figli più grandi ad affrontare sino a cinque ore filate di didattica a distanza, senza trascurare di verificare bene che tra un’ora e l’altra sia rispettata la pausa prevista dal Piano per la DDI approvato dal Collegio dei docenti.
I docenti
Resilienti sono gli insegnanti che a settembre speravano nel ritorno ad una scuola in presenza e in sicurezza, mentre nell’arco di appena un mese, a rompere l’incantesimo, è arrivato l’innalzamento della “curva” e dell’“R con t”, quindi il DPCM del 13 ottobre, poi del 24 ottobre, del 3 novembre e del 3 dicembre, sino a quello del 14 gennaio, e da ultimo, ma solo in ordine di tempo, del 2 marzo. Ogni volta sono state necessarie ulteriori messe a punto del quadro orario, in un cantiere strutturalmente aperto, in fieri. Resiliente è, quindi, la maggioranza dei docenti di ruolo e di precari, a cui è richiesto un continuo supplemento di impegno.
Gli studenti
Resilienti sono gli studenti che hanno vissuto, nell’arco di appena un anno, la transizione dallo zainetto al device (PC e/o Iphone), insieme ad un cambio di paradigma: dal sapere affidato ai “volumi” alla dematerializzazione dei sussidi digitali, sui quali, peraltro, la legislazione scolastica italiana insiste da circa un decennio. Gli ausili digitali nelle diverse discipline costituiscono una importante integrazione al libro di testo, non senza un possibile risparmio, da parte delle famiglie, specie in un contesto economico-sociale come quello che si sta drammaticamente prospettando.
Si sta dunque transitando da un sapere portato come un peso sulle spalle ad una maggiore attitudine ad operare su Risorse Educative Aperte (acronimo inglese: OER).
Repository delle buone idee e delle buone pratiche
Ove in questione è il fattore umano non è mai soltanto una questione quantitativa, ma soprattutto qualitativa. Conta il numero delle ore di scuola, conta altrettanto l’intensità e la qualità del lavoro svolto. C’è stata una perdita, ma c’è stato un acquisto contestuale. Non si tratta di una qualche settimana in più d’estate, ma di fare del recupero una strategia complessiva per il miglioramento e il potenziamento dei livelli di apprendimento. La scuola italiana sta usando una delle risorse dell’autonomia, la ricerca e la sperimentazione[2], sarebbe bene provare a custodire, a condividere e a diffondere, dopo questa impegnativa ma anche fertile esperienza sul campo, un repository delle buone idee e delle buone pratiche (dando così un senso alla lettera b del comma 129 della stessa Legge 107/2015).
[1] Cfr. M. Proust, Commento a “Sesamo e i gigli” di John Ruskin, pref. di G. Macchia, a cura di B. Piqué, Milano, Editoriale Nuova, 1982, p. 19.
[2] Dalla Legge 59 del 15 marzo 1997, art. 21, comma 10, al D.P.R. 275 dell’8 marzo 1999, art. 6.