Anatomia di una sentenza

Salvo il concorso per dirigenti scolastici. Consiglio di Stato 12 gennaio 2021 n. 396

Si conclude una vicenda travagliata

La sesta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 396 del 12 gennaio 2021, mette la parola fine ai ricorsi volti ad invalidare la procedura del concorso per dirigenti scolastici indetto nel Novembre 2017.

Si conclude quindi un complesso e travagliato percorso concorsuale, nel quale, in verità, non sono mancate lamentele durante le prove, segnalate dai candidati, e per il quale restano ancora sul tappeto sia indagini penali sia i ricorsi presentati da molti candidati in relazione alla correzione delle prove ed all’attribuzione delle valutazioni, tali tuttavia, quale che ne sia l’esito, da non poter più determinare l’annullamento dell’intera procedura. Ma vediamo in dettaglio.

I motivi del contendere

Come si ricorderà, il TAR Lazio, con sent. n. 8670/2019, accogliendo solo uno degli undici motivi di ricorso proposti da una candidata non ammessa alle prove orali, aveva dichiarato l’annullamento dell’intera procedura a causa dell’invalidità dei criteri di valutazione adottati da un organo illegittimamente costituito, in conseguenza della partecipazione allo stesso di tre commissari ritenuti incompatibili.

Veniva infatti contestato che nella seduta plenaria del 25 gennaio 2019, alla commissione centrale allargata ai componenti di tutte le sottocommissioni, che aveva validato i quesiti e definito i criteri e le griglie di valutazione, poi utilizzati dalle sottocommissioni per la correzione delle prove scritte e l’attribuzione dei punteggi, avevano partecipato tre componenti che versavano in condizione di incompatibilità o conflitto di interessi.

Le ragioni del TAR

Poiché la commissione esaminatrice deve necessariamente operare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, la presenza anche di uno solo incompatibile – sempre secondo il TAR – minava in radice il principio del collegio perfetto con conseguente invalidità delle attività svolte, che poi si riverberavano a cascata sull’operato di tutte le sottocommissioni che avevano agito sulla base di quei criteri e griglie.

Quella sentenza veniva impugnata dal Ministero dell’Istruzione e da alcuni vincitori di concorso, ottenendo, in data 12 luglio 2019, la sospensiva che consentiva di procedere con l’assunzione di oltre 2.300 candidati sui 3.420 vincitori presenti in graduatoria.

Una sentenza importante seppure per nulla innovativa

Diverse sono state le questioni affrontate dalla sentenza. La soluzione è sicuramente di grande interesse pratico perché evita al sistema istruzione la catastrofe rappresentata dall’invalidazione di una procedura che, dopo molti anni, ha consentito di assegnare ad ogni scuola un dirigente riportando a normalità il fenomeno delle reggenze. Tuttavia, dal punto di vista giuridico è meno interessante perché non affronta questioni nuove, né introduce principi di diritto innovativi.

L’inammissibilità delle procedure documentali

Venendo all’esame della stessa, il Consiglio di Stato in primo luogo dichiara l’inammissibilità di tutte le produzioni documentali, perché effettuate fuori termine o perché nuove rispetto al giudizio di primo grado e quindi in contrasto col principio processuale del divieto di ius novorum.

Prendendo poi in esame il motivo di appello del Ministero, il Collegio rileva che la commissione centrale allargata, nella seduta “incriminata”, non aveva elaborato criteri e griglie, limitandosi – come risulta dal verbale – a “presentare e condividere”, quindi semplicemente a prenderne atto, diquanto era stato predisposto dal Comitato Tecnico Scientifico, cioè dall’organo tecnico titolare, in base al regolamento del concorso contenuto nel DM 3 agosto 2017, n. 138, di tale competenza.

Esclude pertanto che la formazione della volontà dell’organo collegiale (costituito da oltre 100 partecipanti che hanno deliberato all’unanimità) possa in qualche modo essere stata incisa dalla presenza di tre componenti asseritamente incompatibili.

Viene escluso la violazione del principio di imparzialità e neutralità

Per quanto attiene al tema delle presunte incompatibilità dei tre commissari, la sentenza prende in esame le posizioni di ciascuno di essi. L’incompatibilità derivante dall’aver svolto attività formative nell’anno precedente all’indizione del concorso in concreto non sussiste. Oltre alla dubbia valenza probatoria del materiale prodotto, comunque le attività in questione erano o antecedenti all’anno, o svolte con riferimento al concorso per DSGA (diverso da quello per dirigenti scolastici), o – nel caso di chi aveva preparato delle video lezioni per una piattaforma di terzi – prive di coinvolgimento diretto e personale, (non c’era il contatto coi frequentatori, nello svolgimento dei corsi).

Conseguentemente si esclude la violazione del principio di imparzialità e neutralità della commissione esaminatrice.

La questione dei commissari con cariche politiche

Fin qui, come si vede, la Corte ha affrontato più che altro questioni in fatto.

Una prima questione di diritto viene invece in rilievo in relazione alla posizione del commissario M., che risultava sindaco del comune di Avigliano (con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti).

Sul tema, già con riferimento al precedente concorso per dirigenti del 2011, si era posta una questione analoga di violazione dell’art. 35, comma 3, lett e) D.lgs. 165/2001, che vieta la partecipazione alle commissioni di concorso di chi riveste cariche politiche o sindacali. In tale circostanza il Consiglio di Stato, con sent. n. 5947/2013, aveva stabilito che, poiché la ratio della norma è di evitare che siano componenti delle commissioni di concorso soggetti investiti di cariche comportanti il pericolo della deviazione del giudizio tecnico verso interessi di parte o comunque diversi da quelli propri del concorso, occorre «verificare che ricorra un qualche elemento di possibile incidenza fra l’attività esercitabile da colui che ricopre cariche, politiche, sindacali o professionali e l’attività dell’ente che indice il concorso, altrimenti la disposizione verrebbe a generalizzare in modo eccessivo e senza adeguata giustificazione il sospetto di parzialità anche nei confronti di soggetti che non gestiscano alcun potere rilevante e perciò non siano comunque idonei, sia pure da un punto di vista astratto, a condizionare la vita dell’ente che indice la selezione».

Importante è la significatività del collegamento

Anzi, in un’altra sentenza (n. 574/2013) sempre il Consiglio di Stato aveva addirittura affermato che «non costituisce violazione del citato art. 35 l’assegnazione dell’incarico di Presidente di commissione di concorso pubblico a soggetto che ricopre la carica di consigliere comunale in un Comune diverso da quella che aveva indetto la procedura selettiva per la copertura per un posto di organico vacante, atteso che l’incompatibilità fra il suddetto incarico e le cariche politiche può essere estesa anche ai soggetti che le ricoprano presso Amministrazioni diverse da quella procedente solo nel caso in cui vi sia un qualche elemento di possibile incidenza tra l’attività esercitabile da colui che ricopre la carica e l’attività dell’ente che indice il concorso».

Nessuna incidenza è riconducibile alla carica di sindaco

Mantenendosi dentro questo solco giurisprudenziale, la sentenza in esame, dopo aver precisato che poiché la norma in questione interferisce con libertà costituzionalmente tutelate (tra le quali il diritto di associarsi in partiti e accedere agli uffici pubblici e cariche elettive), la stessa deve essere interpretata in maniera strettamente attinente alla finalità perseguita, statuisce che «l’incompatibilità può bensì essere estesa anche ai soggetti che ricoprano cariche politiche presso amministrazioni pubbliche diverse da quella procedente, ma a condizione che vi sia un qualche elemento di collegamento significativo tra l’attività esercitabile da colui che ricopre la carica e l’attività dell’ente che indice il concorso, da cui si possa inferire l’influenza di un componente della commissione per favorire alcuni candidati: in particolare, è necessaria la dimostrazione della possibilità del soggetto di incidere sul neutrale svolgimento del concorso per il solo effetto della carica politica o sindacale rivestita la finalità della norma è quella di eliminare il sospetto di condizionamenti nell’assunzione di pubblici dipendenti». E poiché non risulta che al concorso abbiano partecipato candidati nati o residenti nel comune di quel commissario, non si è realizzato in concreto alcun pericolo di incidenza riconducibile alla carica di sindaco sul neutrale svolgimento dei lavori della commissione.

La denuncia di “bilocazione” di un commissario

Passando poi all’esame dei motivi di appello incidentale, sempre con riferimento al commissario M., viene affrontata la questione della sua contemporanea presenza, in una giornata nella quale si svolgevano i lavori della sottocommissione di appartenenza, ad una riunione della Giunta comunale.

Al riguardo il giudice di appello rileva come, per accogliere il gravame, sarebbe stato necessario fosse stata spiegata l’incidenza causale di tale supposta irregolarità sull’esito negativo della prova dell’appellante. Sul punto, sostanzialmente, il Consiglio ritiene non superata la cd. “prova di resistenza”, ovverosia la prova che, in relazione alle specifiche censure dedotte, l’accoglimento del ricorso sia in grado di arrecare una qualche utilità, giuridicamente apprezzabile nella sfera del ricorrente. In difetto di tale presupposto il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile per carenza di interesse.

In ogni caso, esaminando il merito, non ritiene comunque fondata in fatto la circostanza, alla luce delle spiegazioni fornite dal commissario e prodotte agli atti, dai quali si ricaverebbe la congruità del brevissimo intervallo tra l’una e l’altra riunione.

La questione del discostamento dalle griglie nazionali

Il Giudice affronta poi sinteticamente anche gli altri motivi di appello incidentale, parte dei quali corrispondono a vizi già affrontati, e rigettati, dalla medesima sezione, con sentenze n. 3976/2016 e n. 2334/2017, in relazione al precedente concorso del 2011.

Quanto al vizio relativo alla circostanza che la 34a sottocommissione si sarebbe immotivatamente discostata dalla griglia di valutazione adottata dalla commissione centrale in seduta plenaria, al di là della genericità delle doglianze, il collegio si riporta ad una consolidata giurisprudenza attestante che «l’attività di individuazione dei criteri di valutazione nell’ambito di una procedura concorsuale è frutto dell’ampia discrezionalità amministrativa di cui è fornito l’organo tecnico per lo svolgimento della propria funzione», pertanto non soggetta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

Il mancato rispetto della durata minima

Sul mancato rispetto della durata minima di correzione delle prove scritte (prevista dalla commissione, di norma, in 30 minuti), il giudice d’appello, ancora una volta, richiama un principio già codificato dalla giurisprudenza (ex multis Cons. St. n. 178/2019, Cons. St. n. 3924/2006), sulla non sindacabilità in sede di legittimità dei tempi dedicati dalla commissione alla valutazione delle prove e, peraltro, fa presente che il tempo stabilito nella prima riunione plenaria costituiva un’indicazione di massima.

L’unicità della prova

Sulla questione della violazione del principio di unicità della prova, in conseguenza del fatto che in Sardegna la prova scritta si è svolta due mesi dopo rispetto al resto d’Italia, il giudice fa presente che il rinvio della prova, conseguente alla chiusura di tutte le scuole per allerta meteo, integra quella causa di forza maggiore che lo stesso regolamento concorsuale prevedeva come causa di deroga al principio dell’unicità. In ogni caso ai concorrenti sardi sono state sottoposte domande diverse e quindi non vi è prova di alcun indebito vantaggio di cui avrebbero beneficiato.

L’anonimato

Sulla violazione del principio di anonimato, il giudice di secondo grado effettua una dettagliata ricostruzione della procedura di assegnazione dei codici e del loro abbinamento alle buste, come della successiva fase di correzione, per concludere che «in difetto anche solo di un principio di prova di segno contrario, correttamente nell’impugnata sentenza è stata esclusa la violazione dell’anonimato».

Le prove automatizzate e le prove discrezionali

Viene respinta anche la censura di violazione del principio di separazione fra le valutazioni “automatiche” e quelle discrezionali. Infatti, afferma il Collegio, in materia di procedure concorsuali finalizzate al reclutamento di pubblici dipendenti «alcuna norma di legge impone che le prove sottoposte a sistemi automatizzati di correzione debbano essere corrette prima di quelle involgenti valutazioni discrezionali, essendo per contro il relativo modus procedendi affidato alla valutazione della commissione, la quale ben può procedere dapprima a correggere le prove automatizzate, senza che sia ravvisabile il paventato pericolo di “inquinamento” della correzione delle prove soggette invece a margini valutativi di natura tecnica, anche avuto riguardo all’anonimato delle prove».

La disomogeneità

Il Consiglio cassa inoltre, per assoluta genericità, anche in considerazione dell’avvenuto rispetto del principio dell’anonimato, le censure relative alle condizioni disomogenee nello svolgimento della prova e alla forte differenza della percentuale degli ammessi nelle diverse sedi territoriali. Respinge il vizio relativo alla mancata datazione delle griglie di valutazione, perché trattasi di mera irregolarità non viziante. Così come non accoglie la lamentela relativa all’incongruenza dei quesiti, trattandosi di una questione di merito che impinge le determinazioni rimesse alla discrezionalità tecnica della commissione.

L’inidoneità dei software

Infine viene respinta anche l’ultima doglianza, concernente l’inidoneità del software in relazione al tempo assegnato per lo svolgimento della prova, ritenendola del tutto generica, non essendo state allegate disfunzioni concrete e specifiche e risultando inoltre che le postazioni dotate di attrezzature informatiche e munite dell’applicativo software del concorso, erano state più volte collaudate da tecnici individuati dalle amministrazioni scolastiche.