Una scuola più preparata
La seconda onda d’urto della pandemia Covid-19 sta impattando su un sistema scolastico non ancora riavviato del tutto. Ad un mese e mezzo circa dall’inizio delle attività didattiche, la provvisorietà organizzativa, i posti ad oggi vacanti, l’affanno alla ricerca dei supplenti sono elementi che vanno ad aggiungersi al ben più grave problema sanitario.
Con il nuovo DPCM del 25 ottobre 2020 si apre un’altra stagione di parziale o totale didattica a distanza per le scuole secondarie di secondo grado.
Siamo comunque in una situazione molto diversa da quella del marzo scorso, quando il primo lockdown arrivò senza preavviso a sospendere le lezioni in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado, mettendo la maggior parte delle istituzioni scolastiche in difficoltà con l’organizzazione della DAD.
L’impossibilità, per mesi, di entrare negli edifici per proseguire le normali routine, ha sicuramente scatenato energie nuove e mosso risorse professionali impensabili. Sicché, al di là dei vincoli in termini di prevenzione e tutela della salute, la scuola italiana è ripartita con sostanziali competenze in più. Senza dimenticare che, con le risorse messe a disposizione dal Governo durante l’estate, è generalmente migliorata la dotazione tecnologica nelle sedi.
Tutti (personale della scuola, studenti, famiglie…) volevamo fortemente tornare alla scuola in presenza, contando sul supporto delle tecnologie digitali e della rete che, in periodi di crisi come in periodi di normalità, rappresentano “semplicemente” strumenti per rapportarsi e vivere in una società globale.
Verso una didattica blended “ordinaria”
Durante l’estate si è necessariamente agito molto sugli edifici, sull’arredo, sui modelli organizzativi in rapporto ai numeri, per garantire le condizioni di distanziamento previste. Forse non altrettanto si è riflettuto su quale scuola ci aspettava, sugli aspetti psicologici, relazionali, pedagogico – didattici. Da questo punto di vista, è evidente che non siamo ancora pronti alla didattica blended che ci attende.
La DAD del primo lockdown è stata nuova per tutti, anche per quelle scuole che da anni facevano dell’innovazione tecnologica e metodologica il cuore della propria offerta formativa. Una DAD “primitiva”, se vogliamo, che si è pian piano nutrita delle competenze in progress e delle iniziative di formazione anche in rete (ricordiamo con gratitudine le azioni di Indire e dello stesso Ministero dell’Istruzione, ma anche il generoso apporto di aziende ed enti).
Ne siamo usciti rafforzati professionalmente e in termini di strumenti.
Quindi, ora è il tempo di una didattica integrata dal digitale che risulti “ordinaria” e non “straordinaria”; una didattica mista, intelligente ed organizzata, nella quale le metodologie non trasmissive rappresentino la maggior parte del tempo di docenza e il sincrono sia integrato dall’asincrono. Si deve ripensare completamente al ruolo della limitata presenza che ci è concesso attivare, e a modalità didattiche più interattive. Lo stesso curricolo d’Istituto va riorganizzato in una ottica di essenzialità.
Quali azioni concrete si possono intraprendere per affrontare una didattica digitale efficace?
1 – I prerequisiti tecnologici.
Sembra assurdo dover ritornare sul tema dei device individuali, prerequisito senza il quale nessuna forma di didattica mista potrebbe aver luogo. Ma è così: non siamo ancora arrivati a determinare che ad ogni studente serva necessariamente un dispositivo digitale personale. Eppure rendiamo normalmente obbligatori libri, quaderni, di fatto anche diari, astucci e zaini. Si tratta di un corredo scolastico incompleto, se non consideriamo che ormai (in fase di emergenza, ma anche in via ordinaria) la didattica si estende, come già descritto, anche “fuori dalle mura”.
Il primo lockdown ha generato la rincorsa ad assegnare agli studenti i dispositivi della scuola. Durante l’estate sono stati attribuiti fondi agli istituti anche per aumentare la dotazione di device. Eppure è prevedibile che ora, con una nuova traslazione della didattica dalla presenza alla distanza, la maggior parte delle scuole si troverà ancora a “distribuire” affannosamente notebook o tablet ai suoi studenti.
Che cosa manca veramente? Mancano scelte di sistema, oltre ad un chiaro indirizzo da parte del Ministero dell’Istruzione su questa tematica.
Ogni istituto dovrebbe strutturare un sistema organizzato, un progetto didattico che preveda un orientamento sulla scelta del device, compatibile con l’indirizzo di studi, con la capacità di connessione interna ed esterna alla scuola, con una piattaforma cloud, definendo allo stesso tempo formazione e accompagnamento per i docenti. Le scuole possono, anzi devono, organizzarsi per facilitare ed incrementare l’utilizzo del device individuale, agevolando accordi di affitto con riscatto o formule di comodato d’uso per chi non può acquistarlo.[1]
2 – Curare l’organizzazione dell’orario.
Non è sufficiente traslare l’orario settimanale dalla presenza alla distanza. L’orario è l’impalcatura che determina (più o meno bene) l’efficacia della didattica, e che impatta sui carichi cognitivi e sulla motivazione degli studenti. L’autonomia organizzativa rende possibili soluzioni complesse, ma sicuramente utili, per rielaborare il tempo in funzione della didattica. La ricerca Indire, e pedagogica in generale, ha sviluppato ottimi modelli per gestire la flessibilità, ad esempio attraverso la compattazione delle discipline o la strutturazione di orari plurisettimanali.
Queste opportunità diventano necessità quando si tratta di organizzare, ad esempio, le attività di laboratorio dei tecnici e dei professionali, ma più generalmente le attività in palestra o nei laboratori scientifici, artistici, multimediali, musicali, di robotica.
Si deve affrontare il tema dell’orario con professionalità e senza incertezze, mettendo al centro gli studenti, perchè la “pari dignità” delle discipline non si realizza difendendone il diritto alla presenza a tutti i costi. A scuola dovrebbero essere garantiti i laboratori, mentre a distanza vanno indirizzate le lezioni più “teoriche”.
C’è poi il tema delle pause, spesso sottovalutato in termini di ricaduta sui tempi di attenzione, che però quest’anno assume una rilevanza particolare sia in presenza che a distanza. In presenza, perchè la stanchezza fisica (determinata dall’uso delle mascherine) e psicologica (derivante dal distanziamento e comunque dall’attenzione al rispetto dei vincoli) è sicuramente maggiore. A distanza, perchè la tenuta di attenzione deve essere agevolata anche da adeguati momenti di riposo.
3 – Ambienti fisici e virtuali.
Gli ambienti belli e la flessibilità del setting vanno riabilitati, anche sotto il segno dei vincoli di distanziamento. Non sacrifichiamo le migliori pratiche alle quali siamo giunti in questi ultimi anni con tanta fatica.
Se si alterneranno le classi in presenza, è possibile ripensare all’uso degli spazi che in questo primo mese e mezzo di lezione sono stati sacrificati. Bisogna utilizzare tutto, organizzando gruppi, usando il potenziamento e altre risorse di organico.
Riorganizzare gli ambienti di apprendimento, fisici e virtuali, rappresenta una spinta a rivedere, in modo sostenibile, il “contenitore” della didattica, che non sempre e non necessariamente deve trovarsi delimitato dalle mura. La scuola “anche fuori dalle mura”, una scuola flessibile e aperta, è il futuro.
4 – Il cloud come una Ferrari (e non come una Panda…).
Dobbiamo essere preparati e aggiornati sull’uso dello strumento che, di fatto, è l’architettura virtuale della scuola.
Dobbiamo riflettere con competenza su quanto le piattaforme cloud possano supportare la didattica, sempre e comunque, anche in presenza, creando facile accessibilità ai contenuti dell’apprendimento ma anche dell’organizzazione. Il cloud per la scuola rappresenta un potentissimo amplificatore che fornisce maggiore possibilità di condivisione e collaborazione professionale.
Non basta acquisire una licenza, non basta indirizzare l’uso di una piattaforma alle videoconferenze o allo spazio di archiviazione, o alle app. Il cloud può rappresentare un modo di lavorare completamente nuovo, che scardina i concetti di spazio e di tempo, e rende immediatamente disponibili materiali, idee, percorsi. Il cloud unisce le persone al di là della presenza fisica. Va usato per unire laddove l’emergenza separa. Lavorare a documenti in co-scrittura, leggere in modo collaborativo e commentare sincronicamente, preparare contemporaneamente a più mani presentazioni e mini siti, sono solo alcune delle attività che possono far cooperare meglio docenti e studenti, anche non in presenza.
5 – Il curricolo.
In queste condizioni, considerando i vincoli tecnici ma anche la pressione psicologica che grava in un momento di emergenza su docenti e studenti, è indispensabile che i dipartimenti e l’intero collegio dei docenti adattino il curricolo alle modalità di sviluppo delle attività didattiche. Non ci sono “programmi” da finire. Anche questo non è e non sarà un anno scolastico normale.
Occorre definire le priorità e, nella scelta dei contenuti essenziali, tener conto di quelli che meglio si prestano a essere veicolati a distanza.
Se già grava su molti studenti del secondo grado un rallentamento del percorso ordinario dall’anno precedente, va posta ancora più attenzione alla progettazione curricolare,
affinchè nessuno resti indietro o si “perda”. In questa situazione rischiano maggiormente gli studenti più deboli.
Da questo punto di vista, oltre ad una chiarezza estrema nella ri-progettazione del curricolo orizzontale e verticale (che non va lasciata al caso, ma inserita anch’essa in un percorso sistemico dell’Istituto) vale la pena di considerare interventi incisivi di supporto agli studenti. Anche online, la co-docenza può aiutare a sostenere gli studenti più fragili, mentre sportelli help e corsi integrativi, per piccolo gruppo, possono essere destinati al recupero e al riallineamento.
6 – Metodologie.
Niente di tutto ciò sarà efficace se non si porrà una grande attenzione alle metodologie. Nell’affrontare una didattica blended serve cambiare paradigma e non limitarsi a “traslare” la didattica in presenza a distanza. Una buona organizzazione della didattica integrata dal digitale corrisponde ad un bilanciamento coerente tra attività sincrone e asincrone. Ormai, attraverso le piattaforme cloud, abbiamo tutti gli strumenti a disposizione.
Dobbiamo sforzarci di modificare alcune pratiche tradizionali e fortemente centrate sulla trasmissività e proporne di nuove, stimolanti e motivanti, perché l’approccio didattico sia sempre rivolto a tutti e a ciascuno.
Si può partire da una considerazione molto semplice, ma non scontata nella pratica: è utile tutto ciò che può mettere gli studenti nelle condizioni di interagire e collaborare, anche a distanza.
Citando il contributo di Indire “La scuola fuori dalle mura”[2] è bene ad esempio passare “dalle domande agli studenti alle domande degli studenti. La vecchia modalità dell’ “a domanda risponde” mima una situazione in presenza dove prevalgono la memoria e non l’iniziativa. E’ necessario passare dalle domande fatte dall’insegnante allo studente alle domande fatte dallo studente all’insegnante. Da quelle domande si percepiranno la profondità, l’interesse, la competenza. Va ribaltato lo schema: non si parte dalla domanda dell’insegnante, ma da quella dello studente.”
L’organizzazione delle attività sincrone può essere vista come occasione per un apprendimento cooperativo. La maggior parte delle app di videoconferenza permette ora di creare delle “stanze”, sorta di “bolle” interne al collegamento, attraverso le quali poter lavorare prima per gruppo classe e poi per piccolo gruppo, favorendo l’iniziative e l’autonomia degli studenti nel creare il proprio apprendimento.
L’impiego del cloud fornisce l’occasione per archiviare materiali forniti dal docente o co-costruiti, in costante aggiornamento e revisione a più mani, generando processi virtuosi di elaborazione di contenuti e sviluppo di competenze.
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[1] Riporto, per approfondimenti sul tema, la proposta “Il Manifesto del Tablet nello Zaino”, di Laura Biancato, Antonio Fini, Roberto Maragliano, Alessandra Rucci http://bit.ly/tabletzaino