Bungee jumping
Superato l’effetto bungee jumping. Ovvero il salto con l’elastico. Consiste nel lanciarsi nel vuoto legati ad una corda. A saltare la scuola italiana. La corda frutto non solo del fitto intreccio di note, circolari, linee-guida, dispiegatesi nel corso degli ultimi mesi: una mobilitazione di carta, per quanto dematerializzata, di particolare rilievo, per consistenza e intensità. Ciò che realmente ha fatto la differenza, piuttosto, è stato il lavoro concreto, scuola per scuola, plesso per plesso, aula per aula, banco per banco, nella predisposizione delle condizioni a favore di una ripresa dell’attività didattica in presenza. E’ quella corda che ha sorretto la scuola italiana.
La domanda è: quella corda ha tenuto? Sì; e, tutto sommato, abbastanza bene. L’hanno stretta insieme DS, RSPP, RLS, MC (acronimi relativi alla filiera della sicurezza) e, con loro, i DSGA, i collaboratori dei DS, tanti docenti insieme al personale ATA. Ha tenuto perché, sottotraccia, c’era in ballo qualcosa di più motivante intimo e profondo: la spinta dal basso, condivisa da studenti e famiglie, ad esserci, a ritrovarsi, a ripartire.
Il νόστος (ritorno a casa) con lo zainetto
Il Lockdown ha accentuato un’attesa, acuito un desiderio, prodotto una nostalgia. Una specie di νόστος con lo zainetto. Piccolo Ulisse salpato dallo spazio virtuale della didattica a distanza alla ricerca del punto di approdo per una rinnovata didattica in presenza. Un fenomeno che costituisce qualcosa di inedito rispetto al tradizionale odi et amo di ciascun studente verso la scuola. Qualcosa che ha orientato il dibattito pubblico, non senza accigliati editoriali sulla stampa, non sempre documentati servizi televisivi, concitate dirette facebook, rinvigorendo un legame, facendo maturare e crescere la voglia, semplice e spontanea, da parte di tanti studenti, se non di tutti, di tornare presto, al più tardi dall’inizio del nuovo a.s., tra i banchi di scuola.
Un riflesso condizionato di massa ha coinvolto, nella sua dimensione più ampia, un mondo che annovera circa 10 milioni di persone, tra studenti e lavoratori della scuola. La nazione del sapere e, sempre più, anche, tendenzialmente, del saper essere e del saper fare: un sentimento, guardando al futuro, da coltivare e custodire.
Intanto è bene che questo back to school, appena iniziato e ancora in corso, siccome altre Regioni devono aggiungersi e non proprio tutto è ancora a regime, sia accompagnato dall’imprinting delle regole che devono essere osservate.
Dopo sei mesi vissuti non senza una certa trepidazione, chiaro deve essere l’invito all’osservanza delle precauzioni, perché si trasformino in stili di vita, in comportamenti conformi, in buone pratiche. Non solo costrizioni. Anche convinzioni. Qualcosa di cui si condivide il valore. Con giudizio ed equilibrio, ma anche con molta serietà.
Responsabilità sociale della persona
Tutta l’enfasi posta sul primo giorno di scuola – non senza squilli tromba e rulli di tamburo, dosi variamente assortite di retorica, tra cassandre in servizio permanente effettivo e spavalderie degne di miglior causa – a qualcosa è servito: a evidenziare come il problema non fosse il primo giorno di scuola, ma quelli successivi.
Infatti, non si tratta di una prova di velocità, ma di resistenza.
Allo stesso tempo la pretesa di normare anche il minino dettaglio è destinata alla disillusione se non si punta sulla partecipazione attiva, attraverso la collaborazione e il mutuo-aiuto. In un ambiente educativo dovrebbe essere fondamentale soprattutto lo sviluppo di una cultura della responsabilità sociale della persona. L’indicazione della regola unita alla promozione di comportamenti proattivi.
L’invito rivolto a tutti coloro che comprensibilmente nutrono preoccupazioni è a riflettere sul fatto che parlarsi un po’ di più tra colleghi, condividere un po’ di più quel che c’è da fare con le parti sociali, programmare insieme un po’ di più all’interno degli organi collegiali: tutto questo rende ciò che è scritto nei protocolli ancora più affidabile sotto il profilo della sicurezza.
Il rapporto scuola-società
C’è poi una questione di non piccolo conto: il rapporto scuola-società. Gran tema, o come, in altra sede, si direbbe, vaste programme, che qui va circoscritto all’emergenza epidemiologica in atto. Grazie all’attivazione di un sorvegliato sistema di prescrizioni oggi la scuola può essere considerato un ambito nel quale il rischio del contagio non è escluso – ovviamente – ma si può considerare più mitigato e, qualora si verifichi un caso di Covid-19, il sistema è predisposto per attivare misure adeguate di intervento.
Naturalmente tra scuola e società sono infinite relazioni: ma la scuola è scuola quando riesce ad impostare una propria visione del mondo in grado di rappresentare uno scarto positivo rispetto alla società, cercando di non riprodurne le storture. Se la società è ingiusta – e lo è – la scuola, al contrario, deve prefiggersi di adempiere ad una ben riscontrabile idea di giustizia. Se la società è contrassegnata da incompetenza e mediocrità, la scuola, invece, deve dimostrare di sapere che la competenza è garanzia di autonomia e responsabilità, i meriti sono valori non da trattenere per sé ma da mettere a disposizione degli altri. Non definiscono un “potere” – l’equivoco della meritocrazia – ma una qualità, sia del fare scuola, sia del fare società.
Un più ampio accordo per la sicurezza
Non può esserci una contraddizione così evidente tra il rispetto delle regole a scuola e il mancato rispetto delle stesse fuori da scuola. Non può essere che – dalle aree pertinenziali ai corridoi alle aule – vigano determinati regolati criteri e prima del cancello, quando si entra scuola, e dopo il cancello, quando si esce da scuola, essi evaporino: dal distanziamento alla mascherina sino all’igienizzazione delle mani.
Su questo la scuola deve continuare a insistere con il suo messaggio formativo, utilizzando tutto il potenziale che può offrire la reintroduzione da quest’anno dell’Educazione civica, adoperandosi perché l’organizzazione sociale esterna alla scuola assuma l’impegno della scuola come qualcosa che coinvolga e riguardi tutta la comunità.
Senza immaginare scenari sanzionatori, ma, se necessario, senza escluderli, in primo luogo è urgente un maggiore presidio da parte di chi ha titolo nei punti di maggiore assembramento degli studenti, come alle fermate degli bus, dei tram e delle metropolitane.
Dopo la prima settimana di avvio, nelle settimane a venire, sarebbe opportuna un’esplicita intesa tra scuole ed Enti locali, segnatamente i Comuni, ma anche le Province e le Città Metropolitane, Polizie municipali, aziende per la mobilità urbana, insieme a volontariato e associazionismo più sensibili al tema della sostenibilità e della sicurezza sociale, perché vi sia una sorveglianza nei punti di maggiore assembramento nel percorso casa-scuola e scuola-casa, tra ciò che viene prima e dopo il suono della campanella.
Collaborare per una etica della comunità
L’impegno che vi è stato sin qui, da parte del sistema scolastico italiano, è fuori discussione.
E’ da sottolineare come alcune scuole abbiano colto occasioni ulteriori. Per esempio abbiano provveduto ad organizzare i corridoi nella duplice direzione di marcia grazie ad un transennamento leggero e ad una segnaletica a terra. Qualcosa che avrebbe potuto esserci prima del Covid-19, perché è comunque utile dare agli studenti il senso di un percorso ordinato, l’avvertenza di una maggiore prudenza nel muoversi e nell’interagire, attenuando quel fenomeno di “calca” che tende a verificarsi specie nell’intervallo. Queste minime norme di buon senso e di educazione avrebbero dovuto funzionare prima del Covid-9, ora, a causa del Covid-19, diventano indispensabili.
In genere si è abituati a sentire roboanti giri di frase del tipo “della tal cosa dovrebbe occuparsi la scuola”, “quel tal libro dovrebbe essere letto, quel tal film dovrebbe essere visto, obbligatoriamente, a scuola”. Quando la società attribuisce alla scuola dei compiti rivela non solo un opinabile approccio pedagogico ma anche strani tic autoritari. Il ragionamento, invece, dovrebbe essere semplicemente rovesciato: non basta “scaricare” sulla scuola il peso di una coscienza civile a cui deve contribuire l’intera società.
Ma venendo al pratico, nella circostanza data, è fondamentale una cooperazione tra la scuola e i soggetti preposti all’organizzazione sociale del territorio.
Esattamente come sta avvenendo tra scuola e sanità, dove si sta andando verso una stretta relazione tra presidi territoriali della sanità pubblica e autonomie scolastiche. Per affrontare eventuali casi, grazie all’istituzione dei referenti Covid e, più complessivamente, al fine di assicurare il diritto alla salute di tutti.
Sanità, scuola e territorio
Ecco: territorializzazione dei presidi sanitari, scuola e organizzazione sociale dovrebbero, specie in questa fase, integrarsi e cooperare, nella prossimità. Questo è un modello che può garantire coerenza nel rispetto delle regole.
Il rischio come probabilità di accadimento di un evento indesiderato, da ridurre con la prevenzione, considerato per l’entità del danno, da contenere con la protezione, continua a comportare una ponderata attitudine a non abbassare la guardia, nel bisogno di allargare lo spettro di quanti vi concorrono ben oltre l’ambito della scuola e ben oltre la prima settimana di scuola.
Presumiamo che il più sia passato. Facciamo bene a sperarlo. Allo stesso tempo occorre essere cauti. Veniamo da un anno difficile. Quello che sta per iniziare non sarà meno complesso.
Nel dibattito pubblico del nostro Paese vi è la tendenza a concentrarsi sugli aspetti materiali o meramente economicistici. Ma vi sono anche quelli culturali o psicologici. Non di solo pane vive l’uomo, anche se il pane è indispensabile.
Tipica la sin troppo insistita vicenda dei banchi – importanti, per carità – ma la scuola ha bisogno anche, se non soprattutto, di rinnovare il proprio progetto educativo e di offrire ad una popolazione scolastica che torna in classe dopo sei mesi qualche Sportello d’ascolto in più.
L’estate sta finendo
Abbassando il tono del discorso, si potrebbe racchiudere l’intenso periodo dei preparativi – tra giugno, luglio, agosto e la prima metà di settembre – nel refrain di tre note canzonette. Da un lato, e la chiamano estate. Dall’altro, un’estate a scuola (non al mare o in montagna). Infine, l’estate sta finendo. Anzi, è già finita, da oggi ha inizio l’autunno.
Nessun lamento. Si fa quel che si deve.
Non a caso la nota n. 24841 del 17 agosto 2020, a firma del Direttore Generale Dr. Filippo Serra, con apprezzabile tempestività, ha previsto “una proroga del termine per la fruizione delle ferie da parte dei dirigenti scolastici”, “entro il primo semestre dell’anno successivo”, o anche, in taluni motivati casi, “fino alla fine dell’anno successivo”.
La resilienza della scuola
Non di rado, negli incontri di questi ultime settimane, è riecheggiata la parola “resilienza”. Non è nuova, anzi, è un po’ usurata, salita agli onori della cronaca planetaria a seguito del discorso tenuto da Barack Obama per il suo secondo mandato alla Casa Bianca davanti a circa 600.000 persone.
Ci si riferisce alla capacità di resistere agli urti, all’attitudine di una persona o di una comunità ad affrontare le avversità, non subendole, ma traendone sollecitazioni per soluzioni innovative. Per certi versi, un ritratto vissuto della scuola degli ultimi e dei prossimi mesi: istituzione, come è stato detto, dotata di legami deboli, ma, occorrerebbe aggiungere, anche di impegni tenaci.
Tanti problemi ma anche un’evidente volontà di affrontarli e risolverli. La pandemia, purtroppo, tuttora in atto, è un’occasione per passare dalla tendenza, molto praticata, a sottolineare quello che non va, al predisporre un’agenda ordinata delle cose da fare, non perdendo mai di vista il senso delle priorità, specie dal punto di vista della missione educativa.