Novità e continuità in materia di valutazione degli allievi
La legge n. 41 del 6 giugno 2020, che ha convertito il Decreto Legge emergenziale n. 22 dell’8 aprile 2020, all’art. 1, comma 2bis, prevede, a decorrere dall’a.s. 2020/21:
“In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle indicazioni nazionali per il curricolo, è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione.”
Il dibattito sul mantenimento del voto in decimi per comunicare la valutazione degli apprendimenti, in tutto il primo ciclo, era già forte sin dalle fasi di costruzione del D.lvo 62/2017. Infatti, tale norma, pur mantenendo i voti, ha introdotto delle formulazioni interessanti che, ad una attenta lettura, rappresentano delle interessanti aperture. Innanzitutto, il D.lvo 62/2017 ha eliminato il voti per il comportamento, sostituito da un giudizio sintetico che deve tenere conto del conseguimento di competenze di cittadinanza; ha previsto poi la redazione di un giudizio globale narrativo che integra la valutazione in decimi per le discipline con la “descrizione del processo e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti raggiunto”; infine, cosa molto importante e probabilmente sfuggita all’attenzione dei più, afferma che i voti in decimi “indicano differenti livelli di apprendimento”.
Valutazione degli apprendimenti e valutazione delle competenze
La lettura attenta e coordinata di tutte queste disposizioni permette di concludere che nello spirito della norma è presente una distinzione tra valutazione degli apprendimenti nelle discipline, in termini prevalenti di conoscenze e abilità, anche sofisticate, e la valutazione delle competenze. La valutazione delle competenze non si presta ad essere tradotta in scale troppo sintetiche, siano esse espresse con numeri, lettere o aggettivi. L’evoluzione della padronanza delle competenze ha bisogno di essere descritta; è necessario che si renda noto che cosa sa, sa fare la persona, in quali contesti e condizioni e con quale grado di autonomia e responsabilità. Il fatto di precisare che i voti devono rappresentare differenti livelli di apprendimento, presuppone comunque che alle spalle di ciascun voto vi sia una descrizione che espliciti appunto il livello di apprendimento che esso traduce e in che modo l’apprendimento muti e si evolva con il progredire dei livelli.
Dal voto alla descrizione
Il mero voto numerico, così come una lettera o un giudizio sintetico, poco dicono su che cosa la persona sappia, sappia fare, rispetto ad un ambito di sapere e come sia in grado di impiegare i propri apprendimenti nell’esperienza e trasferirli in situazioni diverse. Per dire tutto ciò serve una descrizione, per quanto concisa, che, sulla base di criteri di osservazione e valutazione chiari, renda conto dei progressi intervenuti. In sintesi, il voto numerico, le lettere, gli aggettivi, non sono altro che delle etichette che dovrebbero riassumere una narrazione analitica. In particolare, il voto non rappresenta quindi una misura cardinale (un valore che misura una quantità, che sarebbe operazione più pertinente alla verifica), ma un aggettivo numerale ordinale, un’etichetta di fascia, come le lettere o gli aggettivi.
Il riferimento ai traguardi per lo sviluppo delle competenze
Per quanto riguarda le discipline, le Indicazioni Nazionali del 2012 sono esplicite nell’indicare i Traguardi per lo sviluppo delle competenze come “criteri per la valutazione”. In effetti, i Traguardi descrivono che cosa dovrebbero sapere e saper fare gli allievi rispetto alle competenze culturali delle diverse discipline, al termine dei tre segmenti della scuola di base: scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo grado, ovvero il termine del primo ciclo.
Le descrizioni dei voti, quindi dovrebbero tenere come riferimento i Traguardi, illustrando il livello di padronanza degli stessi, nonché i modi con cui tali apprendimenti sono stati conseguiti ed utilizzati. Tali descrizioni assomigliano molto ad una rubrica di descrizione dell’evoluzione delle competenze. In effetti, i Traguardi rappresentano aspetti specifici delle competenze culturali relative alle diverse discipline.
Il giudizio globale
Il giudizio globale, invece, dovrebbe rendere maggiormente conto del processo di acquisizione degli apprendimenti, della loro globalità. Esso è riferito più direttamente alle competenze metacognitive, metodologiche, di problem solving, personali e sociali e alle competenze chiave nel loro complesso. La descrizione narrativa è la naturale forma di comunicazione, che rende conto anche della progressione nel tempo dello sviluppo delle competenze chiave che, secondo la Raccomandazione europea, dovrebbero essere acquisite, almeno nel loro nucleo essenziale, al termine del periodo obbligatorio di istruzione per poi proseguire lungo tutto l’arco della vita.
Anche il comportamento, che dovrebbe tradursi nell’esercizio di competenze personali, sociali e di cittadinanza, ha bisogno di descrizioni esplicite. Il giudizio sintetico, quindi dovrà avere anch’esso alle spalle sia pur concise narrazioni sulla base di criteri che dovrebbero, come per i Traguardi delle competenze culturali, essere rappresentati da Traguardi delle competenze personali, sociali, di cittadinanza.
L’incidenza della valutazione sul curricolo d’istituto
È abbastanza chiaro che un impianto di questo genere ha bisogno, prima di tutto, di un curricolo di Istituto organizzato per competenze chiave, che espliciti i risultati di apprendimento, i criteri di valutazione per le competenze culturali (per le quali abbiamo i Traguardi) e per le competenze personali, sociali, di cittadinanza, metacognitive, metodologiche, di problem solving, ovvero per tutte le otto competenze chiave europee. È anche necessario, partendo dai tre livelli di padronanza già previsti dalle Indicazioni “sgranare” i traguardi nei livelli iniziali e intermedi, in modo da poterne supportare, favorire, supportare l’evoluzione.
Cosa, in sostituzione del voto in decimi?
Gli strumenti utilizzati per valutare aiutano molto a guidare il processo e ne dichiarano comunque anche un’idea.
La modifica introdotta dalla Legge 41/2020 è stata salutata favorevolmente da tutti coloro che si aspettavano dal D.lvo 62/2017 l’eliminazione definitiva dell’uso del voto decimale per esprimere la valutazione intermedia e finale degli apprendimenti. Sarebbe però un grave errore pensare che basti cambiare il modo di comunicare per avere pratiche di valutazione diverse.
Le forme con cui il giudizio dovrà essere espresso dovranno essere regolamentate da un’apposita Ordinanza. L’operazione più riduttiva e trasformista sarebbe quella di sostituire il voto con un giudizio in forma di aggettivo o giudizio sintetico, che nulla di diverso ha rispetto al numero. Abbiamo già detto che queste sono tutte etichette che poco dicono del contenuto sotteso.
Un profilo narrativo non basta
Molti di noi ricorderanno, in qualità di insegnanti o di allievi, che dal 1977 fino al 1993, in seguito alle disposizioni della Legge 517/77, nella scuola primaria la valutazione veniva espressa attraverso giudizi analitici narrativi per ogni disciplina. Purtroppo, però, tali formulazioni non avevano alle spalle alcun criterio intersoggettivo derivante dai Programmi o da appositi orientamenti nazionali, per cui ogni docente formulava a sua discrezione i giudizi, incorrendo in alcuni importanti inconvenienti che hanno finito per snaturare lo strumento, che pure era nato da una visione illuminata della valutazione come processo. I docenti dovevano esercitare immaginazione e fantasia per differenziare i diversi giudizi che spesso finivano per essere generici, fumosi, affetti anche da un linguaggio sovente troppo tecnico e poco comprensibile alle famiglie. Molte scuole cercarono di sopperire alla genericità allegando delle griglie molto minuziose di osservazione che volevano aumentare la trasparenza della valutazione. Lo sforzo era encomiabile, ma ancora una volta l’operazione, ai fini della comunicazione alle famiglie, risultava troppo specifica e analitica, più vicina alla misurazione che alla valutazione.
La breve parentesi con indicatori e scale pentenarie
Nel 1993, l’OM 236 introduceva un documento di valutazione per la scuola primaria che superava tutti questi inconvenienti, indicando nel contempo anche una strada virtuosa non solo per la valutazione, ma anche per la costruzione del curricolo. Nella scuola media, una disposizione parallela introduceva uno strumento molto simile. I nuovi documenti di valutazione esplicitavano dei criteri che altro non erano che le competenze culturali proprie di ogni disciplina. Erano poche, tre o quattro ed espresse con una formulazione breve che però indicava chiaramente il risultato di apprendimento atteso (ad esempio, per la lingua italiana, “Ascoltare, comprendere, comunicare oralmente”; “Leggere e comprendere testi”; Produrre e rielaborare testi scritti”; Riflettere sulla lingua e sul suo funzionamento”). Ciascuno dei criteri doveva essere valutato su una scala di cinque lettere, da A, livello di eccellenza, ad E, livello di grave carenza. Lo strumento coniugava quindi sintesi, chiarezza, semplicità, a rigore metodologico. Tutti potevano rendersi conto su che cosa veniva espressa la valutazione e anche osservare i punti più forti e più deboli dell’apprendimento all’interno di ogni disciplina e tra discipline.
I criteri di valutazione erano stati assunti, dalle scuole più avvedute e lungimiranti, come risultati di apprendimento attesi nel curricolo. Si poteva quindi stabilire la diretta corrispondenza tra ciò che veniva pianificato, insegnato e valutato, così come dovrebbe essere. La scheda del 1993 non era quindi solo un efficace strumenti di comunicazione della valutazione, ma anche un potente regolatore della progettazione curricolare e della didattica stessa. La presenza di precisi indicatori di risultato permetteva di agire la valutazione effettivamente come processo continuo e immanente all’insegnamento/apprendimento.
Valutare, cioè dare valore
In effetti, il problema vero è proprio qui. La comunicazione della valutazione non è “la valutazione”, intesa come processo. Valutare è necessario e imprescindibile, ma è anche inevitabile. Coloro che si augurano che dall’ordinamento venga eliminata la valutazione non tengono conto che in questo modo si lascia campo aperto alla valutazione implicita, che noi agiamo costantemente per ogni vicenda, in forma inconsapevole. Non disporre di strumenti e criteri intersoggettivi di valutazione a scuola, significa aumentare enormemente le probabilità di registrare effetti tipici della valutazione implicita e inconsapevole, come l’effetto “alone” o l’effetto “Pigmalione”, che sono deleteri per i discenti, specie se giovani.
Lo sviluppo della persona, degli apprendimenti, delle competenze, hanno invece bisogno di strumenti solidi, espliciti, intersoggettivi di pianificazione, osservazione e valutazione.
La valutazione, in ogni procedura umana, rappresenta il momento “intelligente”, regolatore, quello che tiene sotto controllo il processo e lo corregge in tempo reale, garantendo così maggiori possibilità di successo finale. L’insegnamento/apprendimento non fa eccezione. Valutare significa attribuire valore. A scuola, significa sostenere e promuovere lo sviluppo e il progresso degli apprendimenti e della personalità degli allievi, registrando i punti di forza, facendo notare le criticità, suggerendo però sempre i modi per accrescere ulteriormente i primi e per colmare le seconde. Valutare significa restituire informazioni al valutato, permettergli di riflettersi in uno sguardo altro da sé, come in uno specchio.
La valutazione formativa
La valutazione è sempre formativa e ha a che fare strettamente con l’essere educatori. Chi educa insegna, indica, ma non si sostituisce; corregge, ma non mortifica; considera l’errore una fase dell’apprendimento, persino un’opportunità, non un fallimento; incoraggia il cambiamento, non si limita a sanzionare le carenze esistenti. Ogni progresso, anche minimo, va incoraggiato, evidenziato; ogni insuccesso esaminato, analizzato e discusso come problema da superare e non come elemento da sanzionare.
Tutto ciò svela che non può esistere valutazione senza autovalutazione, che accomuna docenti e discenti. La valutazione degli allievi deve servire innanzitutto al docente per valutare se stesso e la propria azione; d’altra parte, però, l’insegnante deve coinvolgere l’allievo rendendogli noti i risultati attesi, sollecitandolo a riflettere sulle proprie azioni e sui risultati, esortando a immaginare soluzioni diverse di fronte agli insuccessi e alle difficoltà; insegnando ad affrontare i compiti per passaggi intermedi, in modo da diluire le difficoltà.
L’autovalutazione (di docenti e allievi) come “mossa” riflessiva
Una corretta valutazione è fatta di autovalutazione, condotta in una ambiente di apprendimento fondato sulla cooperazione, la discussione, il mutuo aiuto, la condivisione di progetti e risultati, di successi e insuccessi. Un alunno che viene educato a riflettere sui propri apprendimenti, sulle proprie pratiche, anche attraverso il confronto continuo con gli altri, imparerà a non ricercare gratificazioni estrinseche, derivanti da giudizi esterni, ma a superare se stesso, a fare tesoro dell’esperienza altrui. In pratica, non avrà bisogno di un voto e nemmeno tanto di un giudizio, perché il giudizio sul proprio apprendimento l’avrà egli stesso costruito giorno per giorno, anche attraverso il confronto con l’insegnante e con i compagni. L’autovalutazione è una competenza imprescindibile, che sorregge l’autoefficacia, la fiducia in sé e nei propri mezzi, l’autostima e l’immagine di sé. Sapersi autovalutare significa conoscere se stessi, le potenzialità e i limiti, esercitare metacognizione e, in ultima analisi sapere reperire le risorse per migliorare costantemente i propri apprendimenti e incrementare il successo formativo.
Dietro la valutazione c’è una idea di scuola (e di apprendimento)
La forma della comunicazione della valutazione, dunque, tradisce indubbiamente un’idea di scuola, di insegnamento/apprendimento e finanche di persona, ma, in sé, non è il problema maggiore. La questione fondamentale è proprio quella rappresentata dalle idee di scuola, apprendimento, persona che tutti noi agiamo quotidianamente e sovente inconsapevolmente; non negoziandole con i colleghi e con gli alunni e che si esprimono anche nel modo di valutare quotidiano.
Se la valutazione è immanente al processo di insegnamento/apprendimento e ne è inestricabile, è su tale processo che assume la propria fisionomia. Ha a che fare con il modo con cui esprimiamo i giudizi, con l’atteggiamento che abbiamo verso l’errore; se siamo orientati al mero risultato, piuttosto che al processo che ne sostanzia la qualità; se crediamo che nell’apprendimento nulla sia definitivo e immutabile; se pensiamo che ogni sapere debba sostenere lo sviluppo della persona e del cittadino e quindi assumere agli occhi dell’allievo un significato e un valore; se siamo convinti che lo sviluppo di competenze è facilitato e reso più significativo in contesto sociale.
Se valutare significa dare valore e sostenere l’apprendimento, ogni compito carente andrebbe restituito all’allievo con indicazioni operative, domande che stimolano la riflessione, inviti alla riformulazione fino a quando l’allievo non avrà trovato il bandolo per uscire dalle difficoltà. Una valutazione corretta rifugge dalle medie aritmetiche per rendere invece conto dei progressi conseguiti qui e ora, al momento di fare sintesi.
Cosa ci si aspetta dal legislatore (e dal Ministero)
Se assumiamo tutto questo, dovremmo chiedere al legislatore uno strumento di comunicazione della valutazione che non ne svilisca e mortifichi la funzione. Dovrebbe essere qualcosa che orienti la progettazione e ne sia diretta conseguenza, che sia saldamente ancorato alle Indicazioni Nazionali e ai Traguardi, che prenda in carico tutti gli aspetti di apertura, sia pure timida, del D,lvo 62/2017 e che riprenda lo spirito innovatore sia della legge 517/1977, che dell’OM 236 del 1993, con il suo strumento fortemente curricolare.
Una Commissione di “saggi”, che conosca bene le Indicazioni, ma anche tutti gli aspetti implicati nei processi di valutazione degli apprendimenti e delle competenze, potrebbe, su mandato del Ministero, formulare esempi guida di strumenti di descrizione dell’evoluzione degli apprendimenti, in termini di risultai attesi, rubriche basate sui traguardi, che le scuole potrebbero utilizzare per elaborare profili anche personalizzati dei risulti dei propri alunni. In questo modo, vi sarebbe la possibilità di salvaguardare la personalizzazione della valutazione, ma anche l’intersoggettività dei criteri, dando nel contempo ai docenti dei punti di riferimento.
Necessità di un dibattito nazionale sulla valutazione
Uno sforzo supplementare dovrebbe essere chiesto all’Amministrazione tutta per animare un dibattito nazionale sulla valutazione, la sua funzione, le pratiche virtuose e le distorsioni, in modo da disinnescare il fantasma della valutazione sanzionatoria, che alimenta la motivazione estrinseca, per assumere, invece, l’abito della valutazione formativa. Progressivamente, dovremmo potere fare a meno, i tutti i gradi di scuola, della valutazione sommativa degli apprendimenti, per tenere invece, attraverso la cultura dell’autovalutazione e della valutazione condivise, solo le valutazioni descrittive delle competenze in progressiva evoluzione, espresse sia con le rubriche valutative dei docenti che con quelle autovalutative degli studenti.
Tutto ciò non porterebbe comunque a risultati apprezzabili senza una contestuale riflessione e discussione sugli ambienti di apprendimento, gli spazi, i tempi, gli strumenti, soprattutto le relazioni e le situazioni in cui viene costruito ed agito l’apprendimento.