Lunga attesa con qualche delusione
L’attesa del” Piano scuola” pubblicato il 26 giugno scorso, tra le preoccupazioni per il ritardo dell’uscita ufficiale del provvedimento ed il diffuso dissenso sui contenuti delle varie bozze, largamente circolate nei giorni precedenti, non ha portato le significative e definitive indicazioni che molti si aspettavano per gestire la fase più delicata, quella del rientro a scuola a settembre 2020.
Le comunità scolastiche sono rimaste in balia delle notizie più variegate e contrastanti con la sensazione di trovarsi ancora in alto mare, ben lungi dal “salvataggio” ministeriale. La posta in gioco, del rientro in sicurezza di tutti gli studenti e lavoratori del sistema educativo nazionale di istruzione e formazione, non è affare di poco conto. Non a pochi sfugge che si mobiliterà, contemporaneamente, il gruppo più corposo di cittadini dopo il lockdown. Dieci milioni di persone, tra studenti e lavoratori della scuola, un numero più o meno equivalente di genitori, lavoratori dell’indotto (trasporti, alimentari, accompagnatori, educatori e ogni altra attività che gravita intorno alla scuola). L’impegno e la mobilitazione di risorse saranno nuovamente di carattere ciclopico. Alcune delle questioni appaiono quasi irrisolvibili, ci permettiamo di interpretarle anche sulla base di ciò che si percepisce negli innumerevoli contesti comunicativi nei quali i decisori delle scuole interagiscono e si scambiano opinioni, esperienze, buone pratiche.
Prima questione: la collaborazione inter – istituzionale
Gli uffici scolastici regionali dovranno attivarsi per istituire appositi tavoli operativi coordinati dai rispettivi Direttori Generali, mentre apposite conferenze di servizi dovranno essere organizzate ai vari livelli dal competente ente locale (comune, provincia o città metropolitana). La prima azione prospettata si muove nel segno della collaborazione e del coinvolgimento territoriale ed inter istituzionale. Siamo a quasi venti giorni dalla pubblicazione del Piano, l’inizio dell’anno scolastico si avvicina velocemente e non risultano attivati tavoli di lavoro con risultati significativi se non in pochissimi contesti di per sé già abituati alla collaborazione. Non è per nulla attivo il sistema di supporto logistico, decisionale, portatore di idee e di servizi per la scuola che deve ripartire.
Nei tavoli sarebbe opportuno, inoltre, parlare di sorveglianza sanitaria, per gestire una ragionata somministrazione a tappeto dei test. Non si comprende come si possa ignorare questa necessità, adesso diventata concretizzabile, oltre a ragionare a oltranza su come tenere distanziati bambini e adolescenti. Tenuto conto che è impensabile pensare di risolvere in un mese gli atavici problemi strutturali della scuola italiana sarebbe il caso di pensarci nei lavori di qualche tavolo.
Seconda questione: il cruscotto o strumenti equivalenti
Lo strumento cosiddetto cruscotto, già interpretando le parole del ministro, appariva un programma di calcolo della capienza delle aule tenuto conto dei parametri convenzionali, mai abrogati e sempre attuali, di cui al DM 28/12/1975, delle disposizioni del CTS, che consigliano il metro di distanza tra le “rime buccali” degli studenti, per garantire il distanziamento in sicurezza, e dai dati di un corposo database costruito, con l’aiuto della pluriennale azione di monitoraggio dell’Anagrafe scuola.
Ad oggi, il Ministero non ha reso disponibile questo strumento alla curiosità dei cittadini e, soprattutto, alle scuole creando, di fatto, una snervante situazione di attesa. In considerazione che i fondi attribuiti, dal DL 34, art 231 comma 1, consentono alle scuole di “ingegnerizzare” le attività di rientro, mediante modelli e soluzioni in proprio, attuando in pieno l’autonomia scolastica, occorre conoscere la disponibilità o meno di questa funzionalità, per evitare inutili aggravi dovuti a doppia spesa. Finora è rimasta tale la suggestione del “cursore” che avrebbe provveduto segnalare, in rosso, le situazioni critiche per le aule senza adeguata capienza. Nel frattempo, le innumerevoli ipotesi, alcune davvero fantasiose, che invocano perfino le geometrie non euclidee per la soluzione degli arcani, hanno avuto due autorevoli risposte istituzionali benché non provenienti da viale Trastevere: le linee guida dell’USR Veneto e le indicazioni del DG dell’Emilia Romagna. In questi casi sono stati finalmente messi, nero su bianco, alcuni principi e preziose indicazioni utilissimi per le scuole di tutto il territorio nazionale, come appare ovvio.
Terza questione: Il distanziamento
Il distanziamento, senza un’azione di test a tappeto per l’intera popolazione scolastica, rimane il primario e forse l’unico punto fermo nelle azioni di prevenzione. Nelle indicazioni del CTS e, anche in quelle che emergono dai documenti degli uffici scolastici regionali appena citati, emerge un modello più o meno rassicurante in termini di capacità delle aule ordinarie, di accogliere garantendo il metro di distanza tra le bocche, un numero di alunni compatibile con le esigenze organizzative post emergenza.
I dubbi emersi tra gli operatori della scuola, compresi RSSP e medici competenti di supporto ai dirigenti scolastici, relativi alla impossibilità di garantire in ogni condizione il “metro” di distanza tra le bocche in un’aula scolastica, che è il luogo di elezione del perpetuo movimento, hanno animato il dibattito per qualche giorno. Tuttavia, il CTS, rispetto all’appuntamento fissato per la seconda metà di agosto, ha aggiornato con notevole anticipo[1] le disposizioni del 28 maggio.
Sulla base delle ulteriori evoluzioni del quadro epidemiologico, sono giunte dall’organo consultivodisposizioni più specifiche, che tranquillizzano i dirigenti scolastici ed i genitori, asserendo definitivamente che non sussiste l’obbligo della mascherina, quando seduti al banco, e che la distanza di un metro fra gli alunni sarà calcolata, da bocca a bocca, in base al criterio del metro “statico”, cioè, in pratica, misurato e valido soltanto da seduti. Pierino, quindi, potrà alzarsi e girare tra i banchi con la sola accortezza di indossare la mascherina durante il movimento. L’insegnante, la cattedra e la lavagna dovranno usufruire di uno spazio lineare di due metri per l’intera larghezza dell’aula, circa 10-12 metri quadrati, da calcolare e sottrarre prima di posizionare i banchi. Sembrerebbe tutto risolto ma nella percezione dei dirigenti scolastici la situazione appare ancor più complicata. Le simulazioni, in situazione reale, sembrano un compito di realtà irrisolvibile per i presidi, confusi e abbandonati.
Quarta questione: i banchi monoposto e i diversi scenari
Lo scarto tra la conoscenza della normativa scolastica, da parte della maggioranza dei cittadini e utenti della scuola, e la libera opinione di ciascuno è praticamente nullo. Si aggiunga che il ministero dell’istruzione, a cui competerebbe un serio programma nazionale di informazione e di sensibilizzazione per i cittadini, sulle competenze in capo agli organi dello Stato in materia scolastica, spesso contribuisce a peggiorare la situazione. Problema: abbiamo bisogno di un numero imprevisto ma comunque altissimo di banchetti monoposto; se è pur vero che con il banco biposto utilizzato per una sola persona, può essere aggirato il problema distanziamento, lo spreco di spazio destinato al passaggio per la sicurezza, in caso di emergenza, riduce moltissimo la capienza di un’aula. Tutto questo contrasta con il bisogno urgente, di tornare in aula con la propria classe, che ogni bambino o adolescente manifestano apertamente. Ci sono ben tre diversi scenari all’orizzonte dovuti alle abbondanti chiacchiere da conferenza stampa:
Primo scenario: il ministero compra i banchi. Questa possibilità, peraltro largamente annunciata ai media, è praticamente impossibile da realizzarsi, ad assetto normativo vigente. Nella “Relazione di sintesi sul monitoraggio degli obiettivi di spesa dei Ministeri del ciclo 2018-2020” (ex-articolo 22-bis della legge 196 del 2009), emerge quali sono le spese consentite al Ministero dell’istruzione. Nessun provvedimento di gestione dell’emergenza SARS – Cov – 2 ha modificato queste disposizioni che, quindi, non consentono acquisti diretti di arredi da parte del Ministero dell’Istruzione. Il commissario ad acta per l’emergenza Domenico Arcuri sarebbe stato recentemente cooptato a viale Trastevere anche per questa “emergenza banchi”. Forse ci saranno novità in tempi brevi. Aspettiamo fiduciosi.
Secondo scenario: province, città metropolitane e comuni acquistano i banchi. Per questa opzione e per molte altre incombenze rientranti nelle competenze dei diversi enti locali, ai sensi della L.23/1996, ci sono stati appositi finanziamenti PON. Napoli, che è una delle più grandi città metropolitane d’Italia, ha ricevuto solo 3 milioni di euro che dovranno essere utilizzati per ogni necessità di ordine strutturale e di arredo relativa al rientro. Mediamente i comuni hanno piccole dotazioni economiche e tanti impegni da rispettare… quindi secondo scenario poco probabile, per i banchi ma, aspettiamo fiduciosi.
Terzo scenario: le scuole acquistano i banchi con i fondi del DL 34/2020 art. 231 c 1. Questa ipotesi potrebbe essere la più efficace, perfino rinunciando a qualche acquisto di device e di altre dotazioni; in ogni caso i dirigenti scolastici sono disorientati… tutti promettono di comprarli ma nessuno risponde alle richieste in maniera precisa e circostanziata. Si utilizzano solo verbi al tempo condizionale, a due mesi dall’inizio delle lezioni, con agosto e il Covid – 19 di mezzo. È il caso di aspettare ancora fiduciosi?
Quinta questione: la gestione della quotidianità con gli alunni
Sembra che la maggior parte delle preoccupazioni risieda nel preordinare il corretto layout delle aule scolastiche. Certo, l’argomento preoccupa ma forse sta sfuggendo la vera natura della problematica. La scuola è per definizione il luogo del movimento, del dinamismo, della vivacità. La gestione del tempo scuola, in un modo o nell’altro, con le differenze che ogni scuola dovrà contemplare esplicitamente, sarà strutturata mediante orari delle lezioni articolati, flessibili e possibilmente efficaci. Rimane da progettare e realizzare la parte più complessa: il curricolo implicito, le attività ricorrenti di vita quotidiana che ad oggi soltanto nella scuola dell’infanzia si è abituati a “governare”. Negli altri ordini e gradi per progettare le attività ricorrenti si utilizza il regolamento di istituto che ha, per sua natura, la struttura di un codice di comportamento indicativo e centrato sulla responsabilità individuale piuttosto che sulla progettualità condivisa, fatte salve le attività esplicitamente vietate e sanzionate. Gestire la quotidianità di centinaia di persone in età evolutiva sarà una faccenda complicata e imprevedibile poiché investe modelli di comportamento mai sperimentati. La domanda che ogni operatore della scuola si pone è più o meno la stessa: “Una volta messi a posto i banchi, le aule, i passaggi, i corridoi, le entrate e le uscite, il flacone col disinfettante e tutto quanto occorre, funzionerà anche il resto”?
I dubbi sono tanti sulla risposta e dipendono da variabili non sempre controllabili con una circolare. La gestione delle attività ricorrenti di vita quotidiana nella scuola è anche un meccanismo che va rodato, lubrificato e mantenuto, con le dovute competenze per farlo.
Sesta questione: la gestione del personale a contratto invariato ed a rischio moltiplicato
Gli istituti contrattuali del comparto scuola, benché parzialmente riformati negli ultimi venti anni, non dispongono della flessibilità necessaria per gestire la complessità che emerge dalla riorganizzazione delle attività post pandemia. Gli orari di lavoro del personale sono conteggiati su base settimanale e le programmazioni plurisettimanali sono limitate sia per il personale docente sia per il personale ATA. Alcuni modelli organizzativi basati, ad esempio, sulla “banca delle ore” trovano aperture significative sui tavoli di contrattazione di scuola ma si scontrano inesorabilmente con complesse articolazioni normative che richiamano la responsabilità dei dirigenti scolastici nella loro qualità di datori di lavoro, spesso chiamati a rispondere direttamente, nei competenti tribunali, per abusi di potere o per diritti negati in nome dell’organizzazione funzionale al successo formativo. Il personale ATA, indispensabile per la corretta gestione organizzativa, amministrativa e tecnica delle istituzioni scolastiche, si giova di profili e modelli contrattuali obsoleti e inattuali nel contesto della scuola post emergenza SARS – Cov – 2. A questa situazione, già di per sé limitante, prima della pandemia, per ogni volontà di innovazione, si aggiunge oggi un nuovo inquietante problema: i lavoratori fragili. La nozione di lavoratore fragile, non contemplata in norma ma presente nelle definizioni scientifiche, si riferisce ad un lavoratore ultracinquantacinquenne che risente di una patologia cronica qualsiasi, di entità tale da renderlo particolarmente vulnerabile ai rischi della infezione da corona virus. I dati non ufficiali ma derivanti da semplici “statistiche di scuola”, a conoscenza dei rispettivi dirigenti scolastici, denotano che gran parte dei lavoratori della scuola ha un’età superiore ai 55 anni con presenza di patologie, in molti casi.
I numeri ufficiali che si possono leggere negli open data del Ministero[2] confermano che quasi un lavoratore su due, nella scuola, ha un’età che gli consente di rientrare, in presenza di una qualsiasi patologia cronica, nella nozione di lavoratore fragile.
Settima questione: la didattica dell’emergenza
Alcuni esempi sui modelli organizzativi e didattici proposti dal Piano scuola presentano delle criticità che potrebbero impedirne l’efficace applicazione; questo per rendere l’idea delle preoccupazioni diffuse tra gli operatori scolastici alle prese con le proposte non del tutto risolutive.
Solo per fare alcuni esempi, la riconfigurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento non supera il problema di avere un docente per ogni gruppo di apprendimento; la frequenza scolastica in turni differenziati, anche variando l’applicazione delle soluzioni in relazione alle fasce di età degli alunni e degli studenti nei diversi gradi scolastici, oltre ad essere poco praticata, qualora applicata alla singola classe, per motivi di spazio, imporrebbe un ripensamento totale della didattica, che dovrebbe essere contemporaneamente a distanza ed in presenza.
Se invece applicati con il modello “doppio turno” mattina e pomeriggio, alle difficoltà didattiche si sovrapporrebbero a quelle organizzative legate alla penuria di personale ATA ed ai disagi delle famiglie, insostenibili in alcuni contesti.
Vale la pena di ricordare anche in questa sede che molti studenti ammessi all’anno scolastico 2020/21 sono destinatari di un Piano di apprendimento individualizzato, ma anche l’impegno degli interi consigli di classe che hanno definito Piani di integrazione degli apprendimenti ai sensi dell’OM 11 del 16 maggio 2020.
Le soluzioni prospettate dal Piano scuola, ma anche le strategie che le singole istituzioni scolastiche devono garantire, mettono alla prova, per la prima volta in maniera così vigorosa, l’autonomia scolastica e la capacità di gestione indipendente dei processi organizzativi e didattici nonché la spinta all’innovazione dei singoli collegi dei docenti.
La questione decisiva: il banco di prova dell’autonomia scolastica
A questa forte domanda di innovazione, dettata da esigenze urgenti e assolutamente nuove, che richiedono soluzioni mai sperimentate, si può rispondere mobilitando anche le risorse che innovano e ricercano soluzioni di lunga gittata non necessariamente impostate su norme, regolamenti e disposizioni che, come sempre, non arrivano da ministero, oppure arrivano in maniera non consona alle aspettative. Quindi, diamo spazio a tutte le possibilità offerte dall’autonomia scolastica, ormai più che maggiorenne e capace di aiutarci a risolvere.
Giova ricordare che nel periodo di lockdown sono state favorite tutte le scuole, le cui organizzazioni, negli anni precedenti, in assenza di emergenze e di necessità impellenti, avevano comunque dedicato risorse allo sviluppo di processi e modelli secondo una visione organizzativa “ambidestra”[3]. Le scuole che, avevano già sperimentato modelli innovativi, a prescindere dall’impiego generalizzato dei risultati, hanno superato in maniera più agevole lo stress organizzativo e di risorse, dovuto alla gestione dell’emergenza.
Evidenze accertate da cui ripartire, con il coraggio dell’autonomia
Il documento tecnico[4] sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione, classifica la scuola con un rischio integrato medio – basso e con un rischio di aggregazione medio-alto.
Questa situazione, unita alla natura paucisintomatica, lieve o moderata, delle forme cliniche che hanno afflitto bambini e ragazzi risultati positivi al SARS – Cov – 2 (circa 4000 nella fascia 0-18 anni con 4 decessi in pazienti con gravi patologie preesistenti) ha spinto il CTS a proporre il rientro a scuola sottolineando che la misura di maggiore efficacia per la prevenzione del contagio resta il distanziamento fisico.
È difficile pensare che fin dal primo giorno di scuola del prossimo anno scolastico le cose vadano per il meglio. Ci sono, come solo superficialmente analizzato in questa sede, molte questioni foriere di problemi e di difficoltà. Tuttavia non dovrebbero esserci altri ostacoli se non quelli di natura culturale, le resistenze mentali, la superficialità e la rinuncia a collaborare per applicare i protocolli e le indicazioni che ogni scuola andrà a organizzare. L’impatto e lo stress organizzativo saranno entrambi di portata notevole, considerando che gli ambienti scolastici italiani non brillano per confort e per dotazioni utili a mantenere il benessere degli studenti, nemmeno in condizioni normali.
La maggiore preoccupazione dei dirigenti e dei docenti risiede nella certezza di trovarsi di fronte a situazioni impossibili da gestire, sebbene organizzate e, con questa consapevolezza, appare giustificato il timore di molte comunità scolastiche di dover rispondere, in sede civile e penale, per situazioni che normalmente sfuggono ad un controllo stretto e rigoroso.
Il richiamo al senso di responsabilità di ogni operatore della scuola è quanto mai opportuno ma occorre ricordare che i docenti, i dirigenti e tutto il personale delle scuole italiane, hanno fronteggiato con dignità e con efficacia le difficoltà finora emerse. Si potrebbe ripartire da questa nuova idea di noi stessi, che abbiamo guadagnato” sul campo di battaglia “, per riprendere la scuola a settembre con un senso della comunità più forte e condiviso!
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[1] Nota del Gabinetto del Ministro 5050 del 09.7.2020 – Stralcio del verbale del Comitato Tecnico Scientifico n. 94 del 7 luglio u.s., relativo ai quesiti posti dal Ministero dell’istruzione per l’inizio del nuovo anno scolastico.
[2] https://dati.istruzione.it/opendata/opendata/catalogo/elements1/?area=Personale%20Scuola
[3] Per un approfondimento di questo concetto e di altri si veda il saggio del medesimo autore contenuto nel fascicolo monografico di “Notizie della Scuola”. N. 22/23, del 16-31 luglio 2020, dedicato al “Piano Scuola 2020-21”.
[4] https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-rimodulazione-contenimento-covid19-sicurezza-lavoro.pdf