Il Documento per la pianificazione delle attività scolastiche
Il 26 giugno sono state emanate le linee guida per la ripresa delle attività scolastiche in presenza nel prossimo anno scolastico.
Il documento, fondamentale per orientare le azioni per un rientro in sicurezza, è stato partorito al termine di un percorso travagliato, durante il quale sono uscite indiscrezioni vere o presunte che sicuramente non hanno favorito l’instaurazione di un clima di fiducia su quanto la “task force” istituita dal Ministero dell’istruzione stesse elaborando (si pensi alle anticipazioni sull’andirivieni di alunni per consentire un inizio delle lezioni scaglionato, alla proposta di utilizzazione del plexiglas), con l’epilogo a sorpresa per cui una bozza definita come generica e irricevibile da Conferenza stato – regioni, sindacato dei Dirigenti scolastici, rappresentanti di docenti, genitori e studenti, in quanto scaricava tutte le responsabilità su Dirigenti e scuole, nel giro di un giorno, è diventata dopo un incontro con la conferenza Stato-Regioni e l’assunzione di impegni da parte della Ministra e del Governo improvvisamente un “ottimo risultato”.
In questo contributo, intendo esaminare alcuni aspetti relativi al piano organizzativo e didattico.
Il distanziamento “flessibile”
Non c’è dubbio che l’esigenza di distanziamento con la conseguente necessità di reperire di spazi abbia rappresentato uno dei problemi più spinosi relativi alla possibilità di rientro in presenza.
Come spesso accade, la discussione si è focalizzata su due polarità entrambe, a mio avviso, velleitarie e improponibili.
Da un lato la soluzione attraverso il reperimento di spazi esterni, dall’altro la necessità di costituire gruppi classe poco numerosi, con la richiesta di un raddoppio dell’organico docenti, in una sorta di “lascia” (così come è) o “raddoppia” (spazi e organici).
Sotto questo aspetto, nel piano scuola c’è un riferimento a quanto previsto nelDocumento tecnico del CTS del 28 maggio 2020 e ai successivi aggiornamenti, in particolare al“distanziamento fisico (inteso come 1 metro fra le rime buccali degli alunni)”.
Al di là dell’ironia, se questa è la condizione sufficiente per garantire una frequenza in sicurezza, la maggior parte delle aule “pare” a norma e il problema di eventuali riduzioni del tempo scuola si ridimensiona.
In realtà nel documento del CTS si dice anche che “Il layout delle aule destinate alla didattica andrà rivisto con una rimodulazione dei banchi, dei posti a sedere e degli arredi scolastici, al fine di garantire il distanziamento interpersonale di almeno 1 metro, anche in considerazione dello spazio di movimento … anche l’area dinamica di passaggio e di interazione (zona cattedra/lavagna) all’interno dell’aula dovrà avere una superfice adeguata tale da garantire comunque e in ogni caso il distanziamento di almeno 1 metro, anche in considerazione dello spazio di movimento”.
Dalle metrature ai comportamenti educativi corretti
In tal senso, una lettura superficiale rischia di legittimare l’esigenza di spazi minori rispetto a quelli previsti dal D. M. del 18 dicembre 1975 (Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica), che prevede l’obbligo di una superficie netta di 1,80 mq per alunno nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di I grado e di 1,96 mq. per gli studenti delle superiori.
Io penso che non vadano confuse le disposizioni per assicurare la sicurezza sanitaria in questo periodo di pandemia, con quelle previste dalle norme sulla sicurezza degli edifici scolastici ed in particolare sul grado di affollamento delle aule.
Il problema non può essere comunque ridotto ad una misurazione standard degli spazi, al rispetto rigoroso del posto fisso fino all’ora o ai 10 minuti d’aria.
Nel documento ci sono precise indicazioni sul modo di muoversi, sull’uso della mascherina, sull’igienizzazione periodica, ma se tutto ciò diventa un’ossessione per dirigenti e insegnanti allora il problema della fragilità degli educatori non è solo questione di età.
Io credo che sia pericolosa una “lettura” esclusivamente sanitaria delle disposizioni, l’obiettivo è la costruzione di comportamenti nuovi e responsabili che, nel rispetto delle diverse età, promuova realmente lo sviluppo dell’autonomia, del rispetto di se stessi e degli altri.
Concretamente si tratta di educare a una cura “diversa” delle proprie cose, a un’attenzione all’uso della mascherina quando si lavora a gruppi o si conversa, a un’ordinata mobilità all’interno della scuola.
Famiglie e docenti dovranno peraltro avere la consapevolezza che l’attuazione e il rispetto dei protocolli non impediranno la trasgressione di regole da parte alcuni, che potranno verificarsi casi di ragazzi che contraggono il virus (ma non è detto che il contagio si verifichi a scuola) e che le situazioni dovranno essere gestite con buon senso.
Reponsabilità e “poteri speciali” per gli Enti locali
Diventa positivo ed essenziale il lavoro da svolgere con gli enti proprietari degli edifici (Comuni, Province, Città metropolitane), attraverso leConferenze dei servizi che dovranno essere promossesu iniziativa dell’Ente locale competente, con il coinvolgimento dei dirigenti scolastici, finalizzate ad analizzare le criticità delle istituzioni scolastiche … per raccogliere le istanze provenienti dalle scuole con particolare riferimento a spazi, arredi, edilizia al fine, di individuare modalità, interventi e soluzioni che tengano conto delle risorse disponibili sul territorio in risposta ai bisogni espressi.
In tal senso, la percezione diffusa del messaggio “le scuole e i dirigenti scolastici si arrangino” che era emersa alla lettura della prima bozza del piano si ridimensiona: relativamente alle strutture, la responsabilità viene ricondotta giustamente all’ente proprietario sulla base delle esigenze prospettate dalla scuola.
Questa impostazione si connette ai poteri “speciali” concessi ai Sindaci, ai Presidenti delle Province e delle Città Metropolitane dal “Decreto scuola” per operare con poteri commissariali e garantire che gli interventi possano svolgersi rapidamente e in tempi utili per l’avvio del prossimo anno scolastico.
Resta il fatto che:
– ci sono due mesi di tempo eseguire i lavori che si renderanno necessari (agosto compreso);
– l’ulteriore finanziamento sia al momento “previsto” e non certo;
– nella parte “misure di sistema” del documento del CTS della protezione civile, queste indicazioni erano per la maggior parte già presenti e forse non c’era bisogno di attendere così tanto per dar loro corso.
Gli spazi di autonomia
Nel documento c’è un’affermazione “forte”: “le istituzioni scolastiche avranno cura di garantire, a ciascun alunno, la medesima offerta formativa, ferma restando l’opportunità di adottare soluzioni organizzative differenti, per realizzare attività educative o formative parallele o alternative alla didattica tradizionale”.
Ciò significa anche che il tempo scuola, nelle istituzioni del primo ciclo, è elemento qualificante dell’offerta formativa.
È corretto richiamare gli spazi di autonomia organizzativa e didattica, ma le istituzioni scolastiche non possono “autonomamente” ridurre il tempo scuola al di sotto di quanto previsto dalle norme ordinamentali: la riduzione dell’unità oraria di lezione non può comportare la riduzione del tempo scuola previsto dagli ordinamenti delle scuole dell’infanzia e del primo ciclo (ad esempio 24 settimanali nella scuola primaria e 990 ore annue nella scuola secondaria di I grado), dalle indicazioni nazionali dei licei e dalle linee guida degli istituti tecnici e professionali.
Ciò detto, io credo che la seppur tardiva chiamata in causa della conferenza Stato-Regioni e di conseguenza degli Enti Locali permetta finalmente l’attivazione di veri e propri “patti di comunità”, come suggerito dal Comitato di esperti presieduto dal prof. Bianchi (suggerimenti, per altro, secretati).
In tal senso, la messa a disposizione di altre strutture o spazi, come parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei non diviene esclusivamente l’affannosa ricerca di spazi dove svolgere le attività didattiche tradizionali o complementari a quelle tradizionali, ma l’inizio di una reale apertura al territorio. La ripartenza può costituire un ripensamento al modo in cui viene ordinariamente svolta l’attività didattica; il legame con il territorio, le esperienze dirette degli studenti non si limitano allo svolgimento di un compito “autentico” (con rigoroso uso di rubriche di valutazione) quando, ogni tanto, si attua la didattica per competenze e si progetta un’unità di apprendimento (rigorosamente interdisciplinare).
Le risorse professionali necessarie
È stato sottolineato più volte che la ripresa delle attività didattica in presenza, in condizioni di sicurezza, determina la necessità di un aumento degli organici del personale docente e ata.
Il governo si è impegnato a reperire le risorse e a utilizzare strumenti di monitoraggio efficaci (il cruscotto) per individuare le situazioni di reale esigenza di intervenire sulle “cosiddette classi pollaio”. Bene, il documento prende atto che la partita non può giocarsi solo tra Ministra e dirigenti scolastici, e vengono chiamati in causa, finalmente gli Uffici scolastici regionali e territoriali.
Ma se la parola d’ordine è “ripensiamo” all’autonomia didattica e organizzativa, in termini di utilizzazione dell’organico docente, soprattutto nelle scuole superiori, allora si dovrebbe fare un “pensierino” a come viene utilizzato l’organico di potenziamento.
Roberto Ceriani, un autorevole collega si domanda: “Come è possibile trovare come tenere in una classe gli studenti distanziati fra loro più di un metro, senza modificare nulla della stessa classe?
E se il problema vero fosse proprio l’esistenza stessa delle classi? Chi ha detto che le classi devono essere l’unica struttura organizzativa di una scuola?
Siamo sicuri che, almeno in alcune situazioni, non sia possibile abolire le classi e pensare la scuola in altri modi? Le classi sono ovunque rigide come in Italia?”
In altri termini, i modelli di flessibilità organizzativa richiamati nel documento (la diversa configurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento, l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso, l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari) non possono essere intesi solo come risposta ad una situazione emergenziale.
Un digitale di default?
Rispetto alla didattica a distanza, a me pare di riscontrare una imprevista inversione di tendenza.
Dopo una prima fase in cui essa è stata enfatizzata oltremodo, ora viene derubricata a “fruizione per gli studenti … in via complementare esclusivamente riservata agli studenti delle scuole superiori, ove le condizioni di contesto la rendano opzione preferibile ovvero le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentano”.
Da scuola del futuro a opportunità residuale.
Io credo che la didattica a distanza sia un’opzione metodologica potente e che, anche sulla base delle esperienze maturate da docenti e studenti in questa fase, debbano essere le scuole a inserire nella propria attività didattica momenti opportunamente progettati di didattica a distanza, non necessariamente riservati agli studenti delle scuole secondarie di II grado.
Last, but not least: “…nel caso in cui…”
Il documento precisa che i protocolli sanitari per la frequenza a scuola saranno costantemente aggiornati sulla base dell’andamento dei contagi. Siamo tutti consapevoli che nessun esperto può ragionevolmente prevedere l’evoluzione della situazione.
Ciò che è assolutamente necessario prevedere in termini chiari e inequivoci, fin dal primo giorno di scuola, è il protocollo da seguire in caso di contagio a scuola: chi allontanare, cosa chiudere, che tipo di quarantena, quali modalità di rientro, quali misure sanitarie per alunni e personale.
Il tracciamento e il trattamento dei contagi non possono essere improvvisati o lasciati in gestione a scuola, famiglia oppure essere diversi da regione a regione, lasciati quindi alla capacità organizzativa e gestionale dei singoli territori.
L’auspicio è che gli errori commessi nella prima parte della pandemia costituiscano un reale insegnamento per la gestione dei casi a scuola. Le scuole sono molto più numerose degli ospedali e delle RSA.