Legge 92 del 2019: sùbito, polemiche anche sulle date
La legge del 2019 sulla “Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica” fu accompagnata sùbito da polemiche non solo sui contenuti, ma già sulle date: erano passate alcune settimane dalla approvazione in Parlamento alla pubblicazione (il 20 agosto) sulla Gazzetta Ufficiale, e ciò determinava una entrata in vigore posteriore all’inizio dell’anno scolastico 2019-2020, e perciò una attuazione solo a partire dall’anno successivo. Il Ministero dell’Istruzione tentò di forzare la mano, prospettando una “sperimentazione” obbligatoria e generalizzata per l’anno attuale; ma il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) bloccò l’iniziativa, del tutto illegittima. In relazione alle numerose problematiche che l’attivazione del nuovo insegnamento propone, l’inizio nel 2020-21 avrebbe potuto -anzi dovuto! – comportare un impegnativo lavoro di preparazione; già nei mesi precedenti gli sconvolgimenti da Coronavirus non vi fu invece alcun avvio di iniziative, né in sede nazionale né a livello territoriale.
Il carattere trasversale dell’insegnamento
Tra le innovazioni per le quali è necessario prepararsi la più significativa è certo il carattere “trasversale” di questo insegnamento, per il quale la legge dispone una contitolarità da parte di tutti gli insegnanti nelle cui materie vi sono aspetti di rilievo “civico” – individuati, all’articolo 3 della legge, in otto punti da a) a h); per le sole scuole del secondo ciclo nelle quali vi sia un insegnante abilitato nelle discipline giuridico-economiche, questi è il titolare. Anche in quest’ultimo caso, peraltro, la varietà delle competenze necessarie per i diversi oggetti dell’insegnamento impone una forte collaborazione da parte di una pluralità di docenti. Il ruolo preminente dell’insegnante di diritto (dove c’è) deriva indubbiamente dal ruolo centrale che la Costituzione deve assumere nell’insegnamento della Educazione alla cittadinanza: ma per tutti (o quasi) i docenti vi è la possibilità, e perciò il dovere, di “leggere” la propria materia con un occhio aperto sul quadro costituzionale.
Ora, le “Linee Guida”; ma la formazione dei docenti?
Nell’imminenza del prossimo anno scolastico, il Ministero dell’Istruzione ha ora formulato uno schema delle previste “Linee Guida”; su queste, il 18 giugno, il CSPI ha espresso il suo parere, positivo con alcuni rilevi. Nessun segnale, invece, in merito a quella formazione dei docenti al nuovo compito, la cui necessità è giustamente sottolineata all’articolo 6 della legge 92.
Inizio, nelle presenti osservazioni, proprio da questo punto, che deve essere al primo posto se si vuole che l’attuazione soddisfi le esigenze, spesso richiedenti forti modifiche rispetto a consolidate abitudini (basti pensare alla collegialità). L’articolo pocanzi citato non fa riferimento solo al Piano nazionale della formazione, ma prevede anche, a livello locale, “accordi di rete nonché, in conformità al principio di sussidiarietà orizzontale, specifici accordi in ambito territoriale”. Questa indicazione si connette alla previsione, all’articolo 8, che l’insegnamento sia “integrato con esperienze extra-scolastiche, a partire dalla costituzione di reti anche di durata pluriennale con altri soggetti istituzionali, con il mondo del volontariato e del terzo settore, con particolare riguardo a quelli impegnati nella promozione della cittadinanza attiva”. Una educazione civica che ritenesse di potersi attuare organizzando le proprie attività solo all’interno delle mura scolastiche sarebbe infatti una contraddizione in termini, sicché l’interazione con il mondo esterno deve essere al centro della progettazione didattica: impegnare il corpo docente nello studio delle modalità di tale interazione può costituire per le scuole un terreno di formazione e anche di autoformazione, da avviare al più presto senza attendere passivamente i “piani di formazione” nazionali. E’ certo vero che l’urgenza del superamento delle difficoltà contingenti nel “post-virus” rende difficile dedicare attenzione a tutto questo; ma sarebbe gravemente negativo rassegnarsi a una attuazione meramente burocratica del nuovo insegnamento.
Il rischio di una attuazione “burocratica”
Il rischio di burocratizzazione era forse inevitabile nelle “Linee Guida”, che correttamente non invadono il campo della autonomia scolastica e si limitano a definire quanto è di competenza ministeriale, ad esempio le necessarie integrazioni ai “Profili” previsti per lo studente a conclusione di ognuno dei due cicli. Ciò rende le istituzioni scolastiche fortemente responsabili nei confronti del percorso da ideare, prima ancora di compierlo; il CSPI giustamente segnala che a tal fine “sarebbe opportuno che le Linee Guida fossero accompagnate da investimenti e visione di prospettiva, per affidare alla scuola una funzione strategica per il futuro del Paese”.
Nella “visione di prospettiva” rientra anche, ed è fondamentale, una modalità didattica che coinvolga in prima persona gli studenti: essere oggi attivi in un dialogo con un docente che non parli ex cathedra costituisce il primo momento di un comportamento, domani, quali cittadini protagonisti e non “popolo” da ammaestrare.
Un tema specifico: la capacità di valutare l’affidabilità delle fonti di informazione
Circa i contenuti previsti, mi soffermo solo su un punto, presente nella legge a proposito della “Educazione alla cittadinanza digitale” (articolo 5). Si cita, tra gli obiettivi di tale Educazione, la capacità di “analizzare, confrontare e valutare criticamente la credibilità e l’affidabilità delle fonti di dati, informazioni e contenuti digitali”. Propongo un piccolo esercizio linguistico: si sopprima mentalmente, sia nel titolo dell’articolo sia nel riferimento alla capacità indicata, l’aggettivo finale “digitale”. Avremo così che il cittadino è stato preparato a non farsi disinformare, a riconoscere le fake news: per l’intero sistema scolastico, un obiettivo difficile ma esaltante. E la trasversalità qui è evidente: nell’insegnamento scientifico i fondamenti sperimentali, il rigore sulla riproducibilità dei risultati; nell’insegnamento filosofico il rifiuto dei dogmatismi; in quello storico il riferimento alle fonti; anche in quello matematico, accanto alla “matematica che non è un’opinione”, la statistica applicata ai fenomeni naturali o sociali, nella quale l’attenzione ai margini di incertezza costituisce un elemento costitutivo.
Si osserva da tempo, nelle sedi più diverse, che, più ancora che il fornire informazioni (facilmente acquisibili in tante sedi), compito della scuola è oggi l’attrezzare i giovani alla valutazione critica di ciò che i media prospettano loro. Per fare un riferimento all’attualità, molte delle opinioni circolate in occasione della drammatica pandemia hanno dimostrato quanto alto è il prezzo che la società paga per la scarsa diffusione di tali capacità critiche. Nessuno si augura che, tra dieci o venti anni, ci sia un’altra pandemia; ma dobbiamo augurarci che in tale eventuale momento, o in circostanze analoghe, la cittadinanza sia stata educata a gestirle senza abbeverarsi ai talk-shows televisivi. Per dirlo con maggiore accuratezza, non si tratta di “augurarsi”, ma di operare affinché ciò si verifichi.