Legge 41 e decreto legge 22
È stato convertito in Legge (n. 41 del 6 giugno 2020) il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22 recante: «Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato, nonchè in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica».
Credo che sia importante un esame sulle modifiche introdotte rispetto al Decreto Legge.
Sugli esami di Stato di I e II ciclo e sulla valutazione degli apprendimenti sono stati scritti fiumi di parole, troppo spesso centrate su polarizzazioni / banalizzazioni (sono tutti promossi / la valutazione sarà seria) e che poi sono esplicitate con ordinanze, chiarimenti alle ordinanze che hanno messo in discussione quanto pareva chiaro (mi riferisco all’adozione dei libri di testo), non hanno chiarito quanto era incerto (la licenza in caso di mancata consegna dell’elaborato da parte di uno studente interno), introdotto creativi neologismi giuridici quali l’ammissione alla classe successiva con possibilità di “reiscrizione” alla stessa classe degli alunni con disabilità.
Mi limito a esprimere un’opinione personale: credo che se le cose fossero state lasciate come erano, i singoli consigli di classe, in sede di scrutinio, avrebbero considerato con la dovuta attenzione i risultati degli apprendimenti, le obiettive difficoltà incontrate in questa fase da studenti e docenti, il fatto che la scuola non è stata in grado di garantire quanto era stato previsto ed avrebbero agito di conseguenza, limitando ai casi estremi la non ammissione alla classe successiva.
La stessa cosa può dirsi per il concorso straordinario per docenti di scuola secondaria, sul quale si è consumato un confronto parlamentare aspro con strascichi altrettanto duri sul piano sindacale.
In sede di conversione in legge sono state apportate alcune importanti modifiche al decreto-legge:
– La valutazione degli apprendimenti degli alunni della scuola primaria
– L’edilizia scolastica
– L’aggiornamento e la provincializzazione delle graduatorie dei supplenti
La valutazione degli apprendimenti della scuola primaria
Si legge nella sintesi pubblicata dal MI:
Voti alla scuola primaria, si cambia
Tornano i giudizi descrittivi, alla scuola primaria, al posto dei voti in decimi. La novità sarà reintrodotta dal prossimo anno scolastico. Una successiva Ordinanza del Ministero dell’Istruzione darà alle scuole tutte le indicazioni operative.
Il superamento del voto numerico nel documento di valutazione della scuola primaria rappresenta un parziale accoglimento delle richieste che da più parti e da tempo sono formulate da associazioni del mondo della scuola, le quali evidenziano l’inutilità del voto numerico e la non corrispondenza dello strumento rispetto al quadro didattico e metodologico delineato dalle Indicazioni Nazionali per il I ciclo.
La prima stesura del D. L.vo n. 62/2017 (la bozza presentata in Commissione parlamentare accompagnata dalla relazione esplicativa) prevedeva l’abolizione del voto numerico per gli alunni di tutto il primo ciclo, mediante l’introduzione di una scala di 5 lettere (ABCDE) di cui le ultime due parzialmente o decisamente negative.
La proposta fu poi accantonata e il Decreto lasciò in vigore l’attribuzione del voro numerico, mitigando le conseguenze infauste del 5 in pagella.
Al di là dei legittimi pareri sulle modalità di valutazione degli apprendimenti degli alunni, si rileva che l’abolizione del voto numerico si attua nella sola scuola primaria, in questo modo si reintroduce una netta separazione su un fondamentale aspetto qualitativo qual è quello della valutazione degli apprendimenti all’interno di un quadro di Indicazioni Nazionali che prefigurano un curricolo unitario non solo nella premessa, ma anche nella stessa stesura delle singole discipline.
Non voglio entrare più di tanto nel merito della valutazione, della misurazione, del voto, delle rubriche, del numero, delle lettere e dei giudizi: il tema necessita di un confronto e approfondimento ben diversi.
Una produzione normativa disordinata
È un fatto che si continua nella pratica della produzione normativa senza un disegno organico.
Per avere un quadro complessivo delle norme sulla valutazione si devono consultare:
1. Il D. L.gs. n. 62 del 13 luglio 2017 per:
a. le finalità generali;
b. l’esame di Stato del I e del II ciclo;
c. la valutazione degli alunni della scuola secondaria di I grado;
d. parzialmente per la valutazione degli apprendimenti della scuola primaria (ammissione alla classe e al grado successivi);
2. L’art. 1 comma 2 bis delle Legge n. 41 del 6 giugno 2020 per la valutazione degli apprendimenti della scuola primaria
3. Il DPR n. 122 del 22 giugno 2009 per la valutazione degli apprendimenti degli studenti della scuola secondaria di II grado.
Naturalmente tralascio i conseguenti Decreti Ministeriali e Note varie.
Si possono fare tanti altri esempi, valga per tutti il dimensionamento scolastico, dove un articolo di una legge finanziaria che tratta di tutti i problemi del Paese (l’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008), ha stravolto quanto previsto da norme organiche (L. 59/1997 e DPR n. 233/1998) aumentando il numero minimo di alunni per conferire autonomia agli istituti scolastici.
Una domanda: la modifica della valutazione degli alunni della scuola primaria è misura urgente che impatta sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico?
Ancora una volta, una riforma (parziale ma positiva a mio avviso) viene introdotta attraverso una norma che c’entra come “il burro con la ferrovia” (è un detto svizzero-brianzolo).
L’edilizia scolastica e i poteri speciali agli enti proprietari
Sempre nella sintesi del MI si legge:
Velocizzata l’esecuzione degli interventi di edilizia scolastica: fino al 31 dicembre 2020 i Sindaci e i Presidenti delle Province e delle Città metropolitane potranno operare con poteri commissariali. Gli Enti locali avranno, dunque, uno strumento in più per agire e garantire che gli interventi possano svolgersi rapidamente e in tempi utili per l’avvio del prossimo anno scolastico.
Il riferimento è l’articolo 7 ter.
Si tratta indubbiamente di una condizione fondamentale affinché possano essere eseguiti i lavori di adeguamento degli spazi (non parlerei di edifici) alle condizioni di sicurezza che saranno indicate nelle linee guida del Ministero per la ripresa delle attività in presenza.
Non c’è dubbio che il Codice degli appalti rappresenti un ostacolo per l’esecuzione dei lavori in tempi rapidi.
Leggendo la norma però si scopre comunque che in ogni caso debbono essere emessi bandi (e ci mancherebbe!) che, per quanto ridotti, i tempi minimi di ricezione delle offerte devono essere rispettati (10 giorni).
Il crono programma è realistico?
Ci sono almeno tre aspetti che fanno fortemente dubitare sul fatto che gli ambienti possano essere pronti per il primo di settembre:
1. Le linee guida: Il Ministero dell’istruzione deve fare una sintesi delle indicazioni pervenute dal Comitato Tecnico del Ministero della Salute, quelle del Comitato insediato dallo stesso Ministro che, a tutt’oggi, non sono state pubblicate ed emanare linee guida chiare, possibilmente sostenibili.
2. I finanziamenti: il decreto non indica cifre, anzi l’art. 8 c. 2 prevede la clausola dell’invarianza finanziaria “Le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione del presente decreto nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Sono stati annunciati alcuni miliardi, ma questi debbono essere stanziati sul serio e gli Enti Locali proprietari debbono sapere su quali finanze concretamente contare.
3. I tempi: sono una settantina di giorni per sopralluoghi, previsione dei lavori, bando, esecuzione del lavoro, approntamento delle aule e degli spazi.
Il decreto si riferisce alle misure urgenti, per consentire una frequenza scolastica che potrà essere ridotta nel tempo, in gruppi poco numerosi compatibili con la dimensione dell’aula. Questa organizzazione può essere studiata e messa in atto solo nelle singole realtà, le linee guida dovranno offrire un ventaglio di possibilità sostenibili: la scuola, con il concorso di comuni/province, genitori e studenti dovrà ridefinire tutto il piano organizzativo.
Credo sia l’aspetto più complicato, ma non vedo alternative praticabili.
Supplenti, le graduatorie diventano provinciali e digitali
Le graduatorie dei supplenti saranno aggiornate, ma anche provincializzate e digitalizzate. Si attuerà, perciò, quanto previsto dal decreto scuola di dicembre, ma con un’importante semplificazione per garantire l’attuazione delle nuove regole in tempo per il nuovo anno scolastico: il Ministero potrà emanare un’apposita Ordinanza, anziché muoversi per via regolamentare. La provincializzazione consentirà di sgravare le segreterie delle istituzioni scolastiche: saranno gli Uffici territoriali del Ministero a seguire il processo e assegnare le supplenze. La presentazione delle domande sarà, poi, informatizzata per tagliare i tempi e rendere il processo più efficiente anche a vantaggio degli insegnanti e degli studenti. Con il nuovo modello le supplenze saranno assegnate più rapidamente.
Le procedure sono indicate all’art. 1 quater.
Per quanto velocizzate, la norma prevede che le graduatorie siano aggiornate. Vero è che tale aggiornamento riguarda i docenti inseriti già nella terza fascia delle graduatorie per posto comune nella scuola e coloro che hanno titoli specifici, ma i docenti sono chiamati a indicare le 20 scuole, ci sono anche qui tempi tecnici da rispettare:
a. Deve essere emanata l’ordinanza;
b. Devono essere dati i tempi minimi necessari per l’inserimento della domanda, per la pubblicazione della graduatoria provvisoria, per la presentazione dei reclami, il loro esame da parte dell’ufficio, per la pubblicazione della graduatoria definitiva, la chiamata degli aspiranti supplenti e la loro assegnazione alle scuole.
Ma quando inizia l’attività didattica a settembre?
Mettendo insieme quanto già previsto nel Decreto Legge con gli emendamenti successivamente inseriti, ci sono alcuni aspetti che, sicuramente per mia incomprensione, reputo delle incongruenze o delle mancanze, ad esempio l’art. 2 c. 1 a prevede la possibilità che il Ministero possa adattare l’inizio delle lezioni tenendo conto dell’eventuale necessità di recupero degli apprendimenti quale ordinaria attività didattica e della conclusione delle procedure di avvio dell’anno scolastico.
Io credo che si tratti di due necessità antitetiche: da un lato la necessità di recupero porterebbe a pensare ad un’anticipazione dell’inizio delle attività didattiche, dall’altro i tempi tecnici per l’assegnazione dei docenti alle scuole. Per quanto semplificate, l’esperienza ci dice che almeno da vent’anni a questa parte, le lezioni sono sempre iniziate con un numero significativo di cattedre vuote e assegnate provvisoriamente durante le prime settimane di scuola.
Per questo, non solo non è opportuno iniziare le lezioni dal primo settembre, ma risulta essenziale rispettare i calendari previsti dalle singole regioni per consentire una progettazione ragionata delle attività e una predisposizione dei locali che non possono essere fatte in agosto, se non altro perché il personale trasferito o supplente entra il servizio il primo settembre.
Il termine “recupero” a me pare, tra l’altro, concettualmente sbagliato. Non ci sono programmi da rispettare annualmente, bensì indicazioni nazionali e linee guida che indicano traguardi scanditi in cicli quinquennali (scuola primaria), triennali (scuola secondaria di I grado), biennali/triennali (scuola secondaria di II grado).
Se si ritiene fondamentale aumentare il numero di giorni e ore di lezione, è sufficiente, ad esempio:
– non consentire ai Consigli di istituto di deliberare adattamenti del calendario con aggiunta di giorni di sospensione delle attività didattiche che talvolta hanno motivazioni risibili;
– far saltare quei progetti di accoglienza che prevedono un inizio “soft” non solo per i bambini di tre anni o per la prima classe della scuola primaria, ma anche per ragazzi che vanno a scuola da anni che non hanno bisogno di adattarsi lentamente al “trauma” della ripresa delle lezioni;
– prevedere realmente la copertura di tutte le cattedre dal primo giorno di scuola, così da evitare riduzioni d’orario dovute alla mancanza di docenti.
Il potenziamento degli organici del personale
Il decreto non dice nulla sugli organici, non prevede alcuna misura di assegnazione di docenti e personale a.t.a., dando forse per scontato che:
– sia possibile far riprendere l’attività didattica in presenza con gli organici assegnati (tra l’altro tagliati);
– siano sufficienti il minimo adeguamento alla situazione “di fatto” previsto annualmente e la conferma dei posti nonostante la riduzione del numero degli alunni peraltro non generalizzata.
Questa assenza è preoccupante, vero è che mancano le linee guida per la ripresa a settembre, ma pensare di ricominciare la scuola senza prevedere un aumento del personale docente, soprattutto nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo, a me pare un’ipotesi del terzo tipo, un periodo ipotetico dell’irrealtà.
Ciò non può peraltro significare un raddoppio del personale, come in maniera velleitaria viene richiesto da qualcuno.
Relativamente al personale ausiliario sono state avanzate proposte che prevedono l’impiego del mondo del volontariato che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare in questa fase emergenziale, di lavoratori in cassa integrazione o percettori del reddito di cittadinanza.
Tale possibilità deve essere esperita rapidamente, con un coinvolgimento dei ministeri e delle parti sociali e sindacali interessate. Si deve capire che il problema del rientro a scuola non può essere di pertinenza esclusiva del settore dell’istruzione, ma è il Ministero a doversi farsi carico di attivare tutte le interlocuzioni necessarie, senza pensare di avere forze e intelligenza per far tutto da solo.
Gestire in sicurezza e con serietà la ripartenza
Ciò detto, tutti dobbiamo però avere alcune consapevolezze:
1. A settembre a scuola si deve tornare. In alcuni Paesi le lezioni sono ricominciate, anche su questo purtroppo viene dato spazio a banalizzazioni:
a. possibile che si ricominci dappertutto e solo noi restiamo chiusi? (lettura plausibile nel sud Italia, un po’ meno in Lombardia, oggi);
b. nei Paesi in cui hanno voluto riaprire, ora richiudono perché si verificano contagi (lettura negativa di una cosa che è normale accada);
Perché invece, come suggeriscono alcuni non andare vedere come hanno riaperto, con esperti (evitando l’ennesima task force possibilmente), studiare le misure concrete, la riorganizzazione degli spazi, degli orari (senza limitarci a guardare i filmati su youtube dei bambini coreani), per poi contestualizzare il tutto alle diverse situazioni in Italia?
2. Dovranno essere messe in atto tutte le misure possibili per limitare i contagi, ma occorre avere la consapevolezza che questi potranno verificarsi e non dovranno essere gestiti in maniera isterica, prendendosela con gli altri.
In tal senso vanno benissimo i piani di formazione per il personale, per gli studenti, per le famiglie per garantire il rispetto delle regole ma, accanto a ciò, ha altrettanta importanza (se non di più) la definizione di un piano sanitario territoriale che consenta il controllo, l’individuazione immediata di eventuali focolai e l’attuazione delle misure conseguenti (isolamenti, chiusure parziali e temporanee…). Tutti devono sapere con precisione cosa accade se vi è un contagio a scuola, quali misure e per quanto tempo vengono prese.
Guardare al futuro, usando bene le maggiori risorse
Non c’era bisogno del COVID 19, ma questa emergenza ha messo in luce alcune gravi lacune in cui versa la scuola. Si susseguono norme per gestire questa fase e mettere in atto misure urgenti per garantire la chiusura di questo e il complicato avvio del prossimo anno scolastico.
Il discorso però è ben più ampio e se vogliamo parlare realmente di nuovo avvio:
– la scuola ha bisogno di una riforma complessiva che metta mano alla selva di norme ancora vigenti nella scuola emanate in periodi diversi per scuole diverse, spesso contraddittorie e fonte di contenzioso perpetuo.
Il governo della scuola autonoma si regge su organi collegiali emanati quando la scuola autonoma non era, che devono essere riformati da vent’anni, lo stato giuridico del personale su norme di fatto ancor più vecchie, risalenti in gran parte al 1957 e rivisitate nel 1974 quando il rapporto non si basava su una norma pattizia qual è il contratto di lavoro.
– l’obsolescenza delle strutture, l’inadeguatezza degli spazi sono venute alla luce in modo ancor più drammatico.
Al di là di come ognuno possa pensarla politicamente, è un fatto che saranno a disposizione fondi europei, tanti, abbiamo il diritto di chiedere alla politica di spenderli per avere in ogni territorio scuole sicure con spazi interni ed esterni ripensati. Non scuole scandinave, svizzere e quant’altro. Semplicemente degne di noi, dove i nostri ragazzi possano passare una buona parte della loro vita in spazi sicuri e adeguati.