La classe come paradigma amministrativo
All’inizio della scuola elementare c’erano le pluriclassi, soprattutto nelle zone rurali dove per effetto dei fenomeni di inurbamento rimanevano pochi bambini e per garantire loro il diritto alla frequenza scolastica obbligatoria si formavano aggregazioni di età diverse sotto la cura di un unico maestro. L’insegnamento però era riconosciuto efficace solo se impartito in cicli di classi omogenee. Assemblarle in pluriclasse, per cercare di portare il servizio in comuni e frazioni più decentrati, voleva dire indebolire la didattica che doveva praticare allo stesso momento livelli diversi.
La classe di età costituì il modello per lungo tempo e viene praticato ancora ai giorni nostri, sebbene sia venuto meno lo stretto rapporto tra “stadi” evolutivi e apprendimento e già negli anni della nuova scuola media si pensava ad una didattica individualizzata. Le diverse e non sempre coerenti riforme delle superiori avrebbero potuto introdurre organizzazioni diversificate, ad esempio a seconda degli indirizzi, ma le classi nel frattempo divenute paradigma della burocrazia statale hanno condizionato sia il percorso degli studenti, salvo pochissime eccezioni per quel che riguarda l’accesso agli esami finali, sia le modalità di articolazione del curricolo e l’assegnazione dei docenti.
Individualizzazione e socialità alla prova della classe
Parlando di individualizzazione già da tempo era emerso il problema che il successo, ma soprattutto l’insuccesso, non poteva avvenire nell’insieme delle discipline impartite in una determinata classe, in quanto risultava più produttivo far leva su quelle che avrebbero potuto esercitare un’azione orientativa per gli allievi, ma prevalse sempre l’idea di far progredire la formazione di base per tutti al massimo livello possibile, anche rischiando l’abbandono, affidando al consiglio di classe il controllo del percorso, con modalità valutative che nel tempo hanno cambiato obiettivo diverse volte: dalle schede individuali al raggiungimento della media del sei.
Alla classe venne attribuita un’altra funzione, quella della socializzazione che oltre a presidiare le dinamiche della crescita doveva occuparsi anche dell’equità, evitando formazioni di élite, sia per richieste sociali che per caratteristiche cognitive.
In periodo di vacche magre le classi divennero l’indicatore della spesa statale, che da un lato ha determinato le ormai famose “classi pollaio” e dall’altro ha reintrodotto le pluriclassi nella primaria e secondaria di primo grado, nonché gli istituti comprensivi per fornire un servizio integrato tra tre diversi gradi di scuola nelle zone disagiate.
La scoperta dei piccoli gruppi
Le attuali pluriclassi non si sentono come in passato inadeguate, anzi valorizzano i gruppi di età diverse con modalità di apprendimento che mettono in dialogo una pluralità di intelligenze attraverso la cooperazione e l’educazione tra pari. Sotto accusa invece sono le classi sovraffollate e rigide, che faticano a contenere un curricolo sempre più variegato, fatto di progetti, di rapporti con il territorio e il mondo del lavoro.
L’INDIRE ha sostenuto in questi anni da un lato il movimento delle piccole scuole, dove non ci sono più le classi nemmeno per la definizione dell’organico dei docenti: si parte dalla conoscenza del proprio territorio e si usa la rete come supporto ai saperi; il progetto europeo sui diversi ambienti di apprendimento vede scuole cambiare anche dal punto di vista edilizio, dove non ci sono più lezioni frontali e spazi omogenei ad una sola tradizionale destinazione, ma con l’impiego delle tecnologie gli studenti diventano protagonisti del loro piano di studi ed assumono un rapporto più dinamico e di libero scambio con i loro insegnanti.
La didattica per competenze ed i percorsi personalizzati
L’introduzione della didattica per competenze poi ha rafforzato la personalizzazione del curricolo in un’ottica di sviluppo verticale del percorso formativo, che fa maturare crediti verso gradi successivi di apprendimento e di passaggio al mondo del lavoro. Una tale impostazione avrebbe bisogno di una diversa organizzazione dove non sia più l’età a scandire i cicli scolastici ma il progresso che si registra tra risultati ottenuti e nuove acquisizioni, in grado veramente di valorizzare l’eccellenza, anche se il sistema valutativo è ancora fermo all’ammissione alla classe successiva.
Già nel DPR 275/1999 con l’autonomia del progetto educativo e la flessibilità organizzativa nei tempi e nei gruppi si ammetteva il superamento delle classi. Si tratta di passare da una logica di tipo selettivo ad una orientativa che aiuta a salire tra livelli successivi nelle diverse discipline, con un sistema di debiti/crediti. Le competenze infatti vanno valutate nel progresso di ciascun individuo e non nella media della classe.
Una tale consapevolezza dal predetto decreto in poi sta gradualmente maturando, ma la burocrazia continua la sua programmazione secondo la logica delle classi e degli organici per discipline, sui quali calcolare la spesa dello Stato. Un dialogo tra sordi!
Quale architettura per superare il concetto di classe?
La ripartenza dopo il corona virus ripropone il problema delle aggregazioni degli alunni in relazione agli spazi, il che per ottenere il necessario distanziamento ha bisogno di piccoli numeri e fa venir meno tutti gli standard stabiliti sia sul piano amministrativo, sia su quello edilizio. Sarebbe questa l’occasione per decretare il superamento delle classi, andando verso un’architettura che si va diffondendo nel nord Europa e che prevede spazi polifunzionali per curricoli integrati con il territorio, secondo una didattica laboratoriale, supportati dalle numerose tecnologie, e gli organici di istituto, che hanno già iniziato a fare capolino anche nel nostro ordinamento.
C’è da domandarsi secondo quali logiche progettuali stiano operando i numerosi cantieri sull’edilizia scolastica e a cosa serve la recente ordinanza sugli organici che a rigore di quanto indicato dall’emergenza sanitaria non potrà utilizzare l’attuale formazione delle classi nemmeno come parametro di valutazione per la finanza pubblica.
La legge 107/2015 aveva introdotto le “scuole innovative”, ma il finanziamento è risultato residuale rispetto ad altre priorità, come la sicurezza sismica, lasciando all’INDIRE di sostenere le nuove progettualità per passare “dall’aula agli ambienti di apprendimento”. Ora tutto quel materiale messo a punto con il sostegno dell’Unione Europea sarebbe da riproporre, anche se sappiamo quanto tempo ci vorrà perché entri nelle procedure degli appalti pubblici, che invece continueranno a ricalcare i vecchi schemi e al termine dei lavori saranno superati da esigenze che non sembrano più tanto animare un dibattito accademico, ma che rivestono carattere di urgenza sociale e sanitaria.
La gestione flessibile del personale
Un’altra importante questione riguarda il personale necessario per andare incontro alle indicazioni del citato DPR 275/1999, che ha aperto la strada all’autonomia delle scuole e alla loro flessibilità curricolare e organizzativa. La legge 107/2015 ha cercato di sviluppare questa prospettiva con l’istituzione dell’organico di “potenziamento”. Queste norme aspettano solo di essere attuate con le necessarie risorse finanziarie e assunzioni, cosa che fino a qui il ministero dell’economia non ha consentito, limitandosi al solito numero di classi autorizzate con le annuali disposizioni ministeriali sempre piuttosto restrittive.
Per assecondare le esigenze della ripresa delle scuole in sicurezza occorre dare fiato all’autonomia del progetto educativo, d’intesa con gli enti locali e le realtà sociali ed economiche del territorio, e su questa base poter disporre di personale adeguato al progetto stesso. Infine si dovranno elaborare piani regionali di edilizia scolastica che sappiano realizzare, anche in tempi brevi e con modifiche all’esistente, quelle innovazioni che sono necessarie alle prescrizioni sanitarie, ma anche ad una nuova didattica, difficile da mettere in atto a partire da processi interni agli istituti, ma che il corona virus può indurre in maniera efficace.