La valutazione formativa, un nodo non sciolto
La sospensione delle attività scolastiche per l’emergenza sanitaria, con la formula della didattica a distanza (DAD), ha portato al centro del dibattito, tra tante riflessioni circa l’istruzione, il tema della valutazione.
In queste settimane molti hanno fatto riferimento alla valutazione formativa come peculiarità della didattica a distanza. Ciò è inesatto, in quanto la finalità formativa della valutazione è sempre, anche nella didattica in presenza che costituisce la “normalità” della scuola, il cuore del processo di insegnamento/apprendimento, come dichiarato anche dal comma 1 della norma di riferimento, il D. Lgs. 62/2017.
La didattica a distanza ha però certamente messo in evidenza nodi irrisolti circa il rapporto tra il senso della valutazione e le sue forme di espressione, soprattutto in riferimento al I ciclo di istruzione. Già nel percorso di approvazione del D. Lgs. 62/2017 si era manifestata nelle Commissioni parlamentari una posizione, risultata poi minoritaria, che chiedeva il superamento della valutazione con voti in decimi nella primaria, ma tale dibattito aveva coinvolto una ristretta minoranza del mondo della scuola.
Dal 1977 si discute di voti o giudizi…
Lontani i tempi del maestro Manzi e del suo timbro “fa quel che può…”, oramai uscita dall’insegnamento la generazione che aveva vissuto la stagione della L.517/1977, che per la prima e unica volta aveva disposto di valutare descrivendo l’acquisizione di obiettivi curricolari, la scuola del I ciclo appare da tempo attestata su una generale condivisione, o rassegnazione, rispetto all’utilizzo della scala decimale nella valutazione intermedia e finale. Anche il percorso legato alla certificazione delle competenze, prevista al termine della scuola primaria e della secondaria di I grado, è stato avviato senza mettere in discussione il significato e il “primato” dei voti. Al voto in pagella corrisponde una prevalenza, nella pratica quotidiana, di valutazioni attribuite a prestazioni puntuali (compiti, interrogazioni, test) integrati in misura diversa con variabili quali l’impegno, la partecipazione, il miglioramento nel percorso…
Di poco antecedente all’emergenza Covid, la campagna promossa dall’associazione professionale MCE, “Voti a perdere”, ha dato voce a quella parte del modo della scuola che vive con disagio l’appiattimento sul dispositivo del voto a favore invece di forme di valutazione qualitativa e narrativa, in grado di rappresentare al meglio la finalità formativa nei confronti dei soggetti che apprendono e la regolazione del processo da parte degli insegnanti.
La persistenza del voto nelle ultime Ordinanze
Molti hanno percepito un contrasto ancora più stridente tra la DAD e l’attribuzione di una valutazione sommativa in voto e da più parti (MCE e CIDI, i già componenti del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni nazionali del primo ciclo, molte associazioni come ANDIS, AIMC, ADI) si sono levati appelli alla Ministra per concludere questo anno drammatico e speciale con forme alternative di valutazione da parte dei docenti.
Con l’emanazione dell’Ordinanza Ministeriale n. 11 del 16 maggio 2020 che regola gli scrutini di fine anno, questa richiesta (espressa all’unanimità anche dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione) non è però stata accolta. Nonostante il “non lieto fine”, questi appelli possono aprire la strada ad una diversa concezione del rapporto tra didattica, apprendimento e valutazione oltre l’emergenza.
Le argomentazioni “no al voto” (combattere differenze che diventano ingiustizie, valorizzare competenze più traversali, dare importanza ai processi più che ai prodotti e alle performance, rendere davvero “trasparente” la valutazione perché spiega e argomenta e non etichetta) possono diventare un fondamentale tassello di quel cambiamento della scuola, da più parti invocato.
L’impatto del registro elettronico sulla valutazione
Vi sono aspetti della valutazione nella scuola del I Ciclo che condizionano pesantemente la concezione “formativa” di questa funzione. Uno di questi è il registro elettronico, del quale, oltre a riconoscere il merito di supportare la permeabilità tra la scuola e la comunità degli attori del contesto scolastico, vanno affrontati i limiti e, forse, l’eccessiva “direttività” che ha assunto, fino a rivestire una sorta di pensiero unico. Difficile cambiare approcci e punti di vista senza mettere in discussione l’adozione di strumenti tecnologici rigidi e sottratti alle pratiche di riflessione professionale.
Introdotto da una decina d’anni a partire dall’Agenda digitale, l’utilizzo di un registro elettronico è oramai diffusissimo, fin dalla scuola dell’infanzia. Ogni giorno centinaia di migliaia di docenti utilizzano uno strumento che contiene dati amministrativi e di gestione dei gruppi classe (presenze, assenze, uscite, ritardi) tutto sommato neutri, ma che invece “dà forma” e quindi denota, qualifica, orienta, l’idea di valutazione.
Non sono disponibili ricerche specifiche circa la struttura dei diversi modelli di registro elettronico proposti alle scuole (non sono un vasto numero); si possono però evidenziare alcuni aspetti ricorrenti per i quali è lecito ipotizzare un forte condizionamento delle pratiche valutative e del rapporto tra didattica e valutazione, non solo in termini operativi, ma soprattutto in termini di senso, visioni, atteggiamenti, posture pedagogiche e opzioni metodologiche. Ciò è tanto più singolare se si pensa che tale struttura non nasce dalle scuole, che adottano un modello predefinito, ma dalla mente e dalla concezione di programmatori di aziende, per cui non è modificabile o adattabile se non in minima parte.
L’impostazione docimologica del registro elettronico
L’impostazione di default dei registri elettronici è quella di un tabellone di voti attribuiti per materia, associati a prestazioni che si collocano in un giorno ed un orario. Invece del voto in decimi, è possibile utilizzare altre forme sintetiche (giudizio, simbolo + -, lettera, livello) e abbinare alcune opzioni, un commento discorsivo, se concorre alla media per la valutazione finale, se è visibile ad alunni e famiglie. Alcuni registri danno la possibilità di utilizzare una valutazione per competenze, che il docente organizza in termini di indicatori e descrittori dei livelli.
Quali implicazioni ha tale configurazione dello strumento?
-Predispone alla corrispondenza univoca prova-voto; alcuni registri propongono inoltre il riferimento rigido a prova scritta e orale (talvolta pratica), incoerente con molti ambiti disciplinari (Ed. motoria, Musica, Tecnologia, Scienze). La struttura, il linguaggio, non sono funzionali a valutazioni articolate relative a periodi (e non prove) di osservazione, a compiti complessi, ad ambiti di esercizio di competenze trasversali o transdisciplinari, a valutazioni narrative e qualitative: per tali formulazioni è necessario “forzare” il sistema con vari escamotage, come fossero forme bizzarre, non riconosciute, di rango inferiore.
– Induce a considerare la media aritmetica un dispositivo fondamentale e “ufficiale”, rafforzando, anche attraverso la condivisione con le famiglie, una dei meccanismi perversi della valutazione. Per quanto sia possibile in ogni momento escludere la media, non mostrarla alle famiglie, non considerarla in sede di scrutinio (i passaggi da compiere sono per non farla risultare), il calcolo della media è di fatto la bussola dei comportamenti valutativi dei docenti, mentre si tratta di un riferimento che non è contemplato in nessuna norma, escluso l’esame di Stato conclusivo del I ciclo. La nozione stessa di media aritmetica è, al contrario, intrinsecamente in contrasto con il concetto di valutazione formativa che invece è, essa sì, norma.
– Si presta ad una descrizione meramente prestazionale e riduttiva del percorso di apprendimento degli alunni, che modifica lo stesso clima relazionale tra alunni e docente, all’interno del gruppo classe e tra docenti e famiglie. Ciò, in particolare per la scuola primaria, costituisce un arretramento culturale rispetto alla concezione di apprendimento come esperienza e a pratiche “calde” di feedback (in positivo o per segnalare criticità).
Necessità di una riflessione pedagogica approfondita
Vi sono poi altri aspetti che, indirettamente, suscitano perplessità. Le notifiche che compaiono sugli smartphone dei genitori sono una forma di condivisione, di trasparenza, o non rinforzano piuttosto l’idea deleteria che l’esperienza di apprendimento si riduca al “quanto hai preso?”
Nelle valutazioni per livelli di competenza, l’attribuzione arbitraria di un codice colore rosso al livello base, presente in più di una piattaforma, rivela misconcezioni assai diffuse nella mente degli sviluppatori dei “pacchetti” informatici.
In questi giorni stanno circolando esempi di documenti di valutazione alternativi alla pagella, forme coerenti con profili didattici orientati alla proposta di esperienze di apprendimento significative e all’autovalutazione da parte degli alunni, che è centrale nella valutazione formativa, alimentata dal feedback da parte dei docenti.
Si tratta di contributi preziosi, in quanto potrà cambiare la valutazione nel I ciclo di istruzione se si attiveranno ampi circuiti di riflessione e di elaborazione, per “smontare”, letteralmente, abitudini e schemi mentali diffusi, in grado di produrre poi pratiche didattiche e scelte coerenti da parte dei collegi dei docenti.
Gli insegnanti sono oggi ai margini nell’adozione di strumenti che si configurano come azioni amministrative di modernizzazione e invece diventano il “volto” meno propenso al cambiamento della scuola stessa.