La firma del recente CCNI (19/11/2019) sui criteri di ripartizione delle risorse per la formazione del personale della scuola e la (speriamo) prossima apertura del CCNL inducono ad ulteriori riflessioni e proposte sulla formazione dei docenti oltre a quelle già pubblicate su scuola7 nei nn. 164/163/162/161.
Andiamo per punti.
Dagli ambiti al collegio
Il CCNI riconferma, e non poteva essere altrimenti, la centralità del Collegio Docenti nell’approvazione e realizzazione del Piano di Formazione di Istituto. Gli ambiti e le scuole polo alle quali erano affidati i finanziamenti spariscono ma le scuole possono, come facevano anche prima, costituire reti di scopo per la formazione. E’ anzi opportuno che lo facciano: lo scambio in un contesto di formazione con altre scuole è certamente positivo. Il contratto richiama la coerenza con il PTOF, ma non impegna i collegi a definire una formazione che possa avere una ricaduta sulle attività didattiche dell’Istituto. E’ una delle criticità sottolineate dal monitoraggio sul Piano della Formazione 2016/2019. L’art. 2 elenca opportunamente modalità di formazione che possono accompagnare il lavoro dei docenti (formazione tra pari, ricerca e innovazione didattica, ricerca azione, attività laboratoriali…), ma non manifesta nessuna opzione per attività centrate sul gruppo docenti della singola scuola. Troppo spesso docenti impegnati in formazione esterna all’Istituto di appartenenza, invitati a riportare nel gruppo le competenze in via di acquisizione, ritengono che non ve ne siano le condizioni. Il contratto avrebbe dovuto in qualche modo incentivare questo processo, come contributo a costruire la comunità professionale (obiettivo lontano da molte scuole) come comunità di pratica (obiettivo ancor più lontano).
Le “tematiche” della formazione
Il giorno prima della firma del CCNI, Miur e le OO.SS. Firmatarie del CCNL avevano stipulato un’intesa allo scopo di fornire “un organico quadro comune di riferimento a sostegno dell’elaborazione del Piano di formazione di Istituto”. L’intesa assegna alla formazione l’obiettivo di “sostenere e sviluppare la ricerca e l’innovazione educativa per migliorare l’azione didattica, la qualità degli ambienti di apprendimento e il benessere organizzativo e lavorativo”. Declina poi gli ambiti disciplinari, trasversali, e suggerisce altri interventi formativi più legati alle innovazioni (valutazione degli allievi e di sistema, zerosei, PCTO ecc). Non emerge un elemento centrale che dovrebbe qualificare la competenza professionale dei docenti ormai da anni. Sul punto riporto un passaggio del documento approvato dal recente congresso nazionale di Proteo Fare Sapere che parte dalla definizione della scuola come “comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni”. (CCNL 2018).
Nel documento congressuale di Proteo si legge: “riteniamo che a questa idea di scuola, una scuola sempre più inclusiva e luogo di integrazione sociale, debba corrispondere un docente che, forte di specifiche competenze disciplinari e didattiche, comunque da tenere aggiornate, sia capace di:
– lavorare in team (l’unica condizione di lavoro adeguata alla complessità della conoscenza);
– considerare la “collegialità” sul versante istituzionale e la “cooperazione” su quello professionale, valori e metodi imprescindibili per l’esercizio della professione;
– viversi come professionista riflessivo, inserito come dipendente nel sistema pubblico di educazione, istruzione e formazione.”
Un tempo professionale per la riflessione condivisa
L’esperienza delle nostre scuole, accanto a significative ma ancora poche e isolate realtà in cui gruppi di insegnanti sono “comunità di pratica”, vede mantenersi la figura del docente che “lavora da solo”, soprattutto nelle scuole secondarie. Docenti di scuola primaria, dove pure sono previste dal contratto due ore di programmazione settimanale che vengono regolarmente svolte, raccontano però che non sempre vengono utilizzate per lavoro di team, cooperazione, riflessioni, confronto di metodi e strategie. Vanno invece considerate una risorsa preziosa che andrebbe estesa anche alle scuole secondarie e dell’infanzia. Si farà un passo avanti con il prossimo contratto? La nuova ministra è donna che viene dalla scuola. Si propone giustamente di abbassare il numero di alunni per classe ed è consapevole che non tutto si può fare subito. Proponga (e finanzi!) un pacchetto annuale di ore di “dialoghi di riflessione” per i docenti di tutti gli ordini di scuola.
La questione dell’obbligo
E’ strano che dell’art. 1 comma 124 della legge 107/2015 non si citi mai l’incipit: “Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo e’ obbligatoria, permanente e strutturale”. E’ chiaro, come è riconosciuta da tutti, che i docenti non possono non essere in costante formazione. Non lo cita il CCNI del 19 novembre u.s., non lo cita l’intesa MIUR/OO.SS. del 18 novembre u.s. e nemmeno la direttiva del presidente del Consiglio all’Aran per i rinnovo del contratto. Eppure è evidente che la formazione obbligatoria va compresa all’interno della funzione docente: non si può essere docenti se non in continua formazione. E poiché i docenti, che sono i professionisti della scuola, sono anche lavoratori dipendenti, il prossimo contratto nazionale dovrebbe definire un numero minimo di ore di formazione. Dovrebbero stare all’interno delle 40+40 ore delle attività collegiali. Che a questo punto dovrebbero intanto diventare 80, superando una rigidità totalmente priva di logica: le delibera il collegio, si lasci al collegio la facoltà di decidere come distribuirle tra riunioni del collegio docenti, dipartimenti e consigli di classe. Se devono comprendere la formazione, in misura almeno significativa, sono poche. Ministero e Organizzazioni Sindacali ci vogliono pensare?
Il piano di formazione
Il Collegio dei docenti, che ha un ruolo centrale nella comunità educante (art. 24 del CCNL 2018), è chiamato non da ora a deliberare il piano annuale delle formazione. Sarebbe utile, come già fanno alcuni collegi, che il piano fosse “a maglie larghe”, in modo non solo di consentire, come già si fa, ma di riconoscere anche ai singoli la partecipazione a iniziative di formazione esterne all’Istituto o alle reti. Il monitoraggio sulla formazione nel triennio 2016/2019 (scuola7 n. 164/2019) ha segnalato come criticità una debole ricaduta sulle attività delle singole scuole. Il collegio potrebbe vincolare un certo numero di ore ad una formazione interna, su temi che lo stesso collegio dovrebbe identificare come prioritari anche sulla base del Rav e del Piano di miglioramento.