Stato dell’arte e problemi aperti
Il 28 dicembre scorso, un articolo a tutta pagina su diversi quotidiani (edizione online di Repubblica) riporta la notizia di un docente sanzionato (più volte) per essersi (ripetutamente) rifiutato di utilizzare il registro elettronico.
Eppure, sull’argomento sembrava ormai da anni calata una sorta di pax digitalis: nel 2015, il Piano Nazionale per la Scuola Digitale (PNSD) prevedeva l’azione #12 “Registro elettronico” con l’obiettivo di raggiungere il 100% delle classi di scuola primaria, dando evidentemente per scontato che la diffusione nelle scuole secondarie fosse già, se non consolidata, fortemente avviata.
Secondo il MIUR (comunicato stampa del 26/7/2017), “l’82% delle scuole utilizza strutturalmente il registro elettronico di classe”. Il rapporto “Educare Digitale” di AGCom, del febbraio 2019, riporta una percentuale lievemente superiore, 84%.
Il registro elettronico pareva quindi essere entrato nella routine, al pari della tradizionale strumentazione scolastica.
Evidentemente, non era così: continua a serpeggiare, tra alcuni docenti, un certo malcontento.
Soprattutto, sembra che non sia ancora chiaro se l’utilizzo del controverso (a questo punto, bisogna definirlo così!) strumento sia o meno “obbligatorio”.
L’obbligatorietà del registro elettronico
La disamina del problema si può sviluppare su almeno due traiettorie: da un lato la questione dell’obbligatorietà, dall’altro la riflessione sull’utilità, sui pregi e difetti e sulle opportunità e i rischi che derivano dal suo impiego.
L’obbligatorietà del registro elettronico rientra nelle più ampie misure rivolte alla dematerializzazione, contenute nel DL 95/2012 recante “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”, convertito con L. 135/2012.
L’art. 7, comma 31, recita: “A decorrere dall’anno scolastico 2012-2013 le istituzioni scolastiche e i docenti adottano registri on line e inviano le comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico.” In un comma precedente (il 28) si tratta delle iscrizioni online, andate a regime dall’a.s. 2013/14, nel 29 si parla delle pagelle ma (attenzione!), il comma 27 prescrive l’emanazione, da parte del MIUR, di un “piano per la dematerializzazione”, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.
Stiamo parlando ormai al passato remoto, trattandosi dell’anno 2012, tuttavia il fatto rilevante è che, ad oggi, dopo sette anni, di questo “piano” non si è avuta ancora alcuna notizia!
La diffusione di diverse “applicazioni”
È importante ricordare la nota MIUR prot. 1682 del 3/10/2012, con la quale si impartivano le prime indicazioni operative alle scuole, rivolgendosi prioritariamente alle scuole secondarie di primo e secondo grado, le quali avrebbero potuto richiedere un personal computer per le aule che ne fossero ancora sprovviste.
Nella nota si evidenziava già che il MIUR non avrebbe fornito direttamente un’applicazione (come, invece, è avvenuto per le iscrizioni) ma che le scuole avrebbero dovuto ricorrere al mercato nel quale, comunque, gli operatori avrebbero dovuto concordare criteri di interoperabilità dei dati con i sistemi ministeriali, che si realizzeranno poi con la “conformità” al cosiddetto Progetto SIIS.
Le scuole, nella loro autonomia, hanno quindi proceduto, negli anni, a implementare l’infrastruttura necessaria, dalla connettività via cavo o wi-fi alla dotazione di PC o tablet per le aule o direttamente per i docenti, fino ad arrivare alle alte percentuali di utilizzo, indicate dalle rilevazioni sopra citate.
Insomma, la questione sembrava pacifica, anche se, soprattutto nei primi anni, non sono mancate le prese di posizione contrarie, soprattutto da parte di alcune sigle sindacali.
Dotazioni informatiche e adozione del registro on line
Le argomentazioni principali erano legate alla dubbia obbligatorietà, in assenza del prescritto piano del MIUR, le questioni legate alla privacy, anch’esse mai affrontate in modo esplicito dal Garante, i problemi legati alla natura di atto pubblico dei registri di classe, rispetto a quanto previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale e la presunta necessità di delibere degli organi collegiali (in particolare del Collegio dei Docenti), per sancirne l’adozione.
Sullo sfondo, l’eterno problema delle dotazioni informatiche a disposizione dei docenti, sempre e tuttora molto variabili, talvolta anche all’interno dei singoli istituti (si pensi agli Istituti Comprensivi, spesso costituiti da molti plessi localizzati su territori anche vasti).
La “questione registri” è stata anche oggetto di diverse interrogazioni parlamentari. Nella risposta alla più recente, nell’agosto 2018, l’allora sottosegretario Giuliano forniva ulteriori dati sull’adozione, provenienti dall’Osservatorio Scuola Digitale “da cui risulta che, su 4.740 scuole, l’87 per cento delle scuole del I ciclo e il 94 per cento delle scuole del II ciclo adotta il «registro elettronico di classe» e che l’89 per cento delle scuole del I ciclo ed il 94 per cento delle scuole del II ciclo adotta il «registro elettronico personale del docente»”.
Le pronunce della Magistratura
Oltre alla presa di posizione del docente sardo, ripresa da Repubblica, è interessante un passaggio di una recente sentenza della Corte di Cassazione, nella quale si ricorda che il previsto piano per la dematerializzazione da parte del MIUR non è mai stato emanato “vanificando di fatto il processo normativo e, dunque, rendendo non obbligatorio l’utilizzo del registro e pagelle elettroniche, con conseguente coesistenza, nella pratica, di entrambe le forme di registri, quella cartacea e quella elettronica”.
In sintesi, ad oggi, sul piano strettamente giuridico, risulta impossibile una parola definitiva sull’obbligatorietà!
Probabilmente, però, il discorso andrebbe condotto su un altro piano, quello dell’opportunità.
Ha senso opporsi in modo frontale alla digitalizzazione della gestione scolastica, quando in ogni altro settore di attività, inclusa la Pubblica Amministrazione, al contrario, sono in atto processi opposti, con l’obiettivo di offrire ai cittadini servizi di sempre migliore qualità, attraverso sistemi informatici?
Le categorie di obiezioni contro il registro elettronico, tuttavia, non si limitano alla contestazione dell’obbligo giuridico di adozione ma si estendono a questioni di tipo giuridico, pedagogico e di tutela della privacy, oltre che sulle condizioni d’uso, stante la situazione non sempre ottimale delle dotazioni informatiche nelle scuole.
La coesistenza digitale-cartaceo
Le perplessità giuridico-formali sono legate alla natura di atto pubblico dei registri di classe e alla contestuale assenza di vera e propria firma digitale da parte dei docenti i quali accedono al sistema con una semplice coppia username-password equiparabile ad una firma elettronica, un livello inferiore a quella che, secondo alcuni, sarebbe invece necessaria per dare pieno valore legale alla “firma”. Per ovviare a questa incongruenza, alcune scuole mantengono forme di registro cartaceo, per le firme di presenza dei docenti e la gestione delle assenze degli studenti, anche per poter avere un supporto di facile accesso in caso di emergenza (ad esempio evacuazione dell’edificio).
Le potenzialità pedagogiche dello strumento
Dal punto di vista pedagogico, invece, si evidenzia spesso come il registro elettronico conduca (troppo?) facilmente i docenti ad un uso indiscriminato della “media aritmetica” nelle pratiche valutative, vanificando in qualche modo i processi di innovazione che, anche per via legislativa (si pensi al D.Lgs. 62/2017) si cerca di introdurre nella pratica didattica.
A questa osservazione si può naturalmente rispondere che non dovrebbe essere certo uno strumento a indirizzare le modalità di valutazione!
Ulteriori perplessità sono relative ai rapporti con le famiglie e tra famiglia e alunni: secondo alcuni, con l’uso del registro elettronico si deresponsabilizzano gli studenti, a partire dalla necessità di prendere nota dei compiti per casa (“tanto si trovano sul registro online”), ma anche nella comunicazione con i genitori, che avverrebbe per via diretta e non più mediata (si pensi alla possibilità di vedere i voti e le assenze, praticamente in tempo reale).
Va da sé che queste funzionalità sono proprio quelle che rendono il registro elettronico un sistema di comunicazione potenziato, rispetto al passato, da intendere e praticare non come sostituzione delle interazioni in presenza ma come nuove opportunità. Ad esempio, la possibilità da parte dei genitori di essere aggiornati quotidianamente sulle attività svolte può costituire l’innesco per una migliore condivisione in famiglia. Si può forse superare, insomma, l’antico scambio di battute tra ragazzi e genitori, al rientro da scuola: “com’è andata oggi?” “Bene” “Cosa avete fatto?” “Niente!”.
Diritto alla privacy e diritto all’accesso
Le questioni relative alla privacy attengono, da un lato, la gestione dei dati, dall’altro il tipo di comunicazioni che possono essere accessibili da parte del pubblico. Per il primo punto, è da notare che, come già accennato, i sistemi di registro elettronico non sono gestiti direttamente dal MIUR ma sono offerti alle singole scuole da operatori di mercato i quali sono, di volta in volta, nominati quali responsabili del trattamento dei dati personali. Si tratta di una prassi consolidata e prevista dalla normativa (art. 28 del Regolamento UE 2016/67 – GDPR) che quindi non dovrebbe allarmare nessuno.
Per quanto riguarda i dati gestiti, tutti i sistemi prevedono che alcune informazioni siano ad accesso pubblico (ad esempio circolari e comunicazioni generali, peraltro un ulteriore esempio dell’utilità del registro elettronico, dal momento che la maggior parte dei genitori vi accede tramite app installata sui propri smartphone e può così ricevere notifiche all’arrivo di una comunicazione) mentre altre, come quelle relative alle valutazioni e a note individuali, rimangano strettamente riservate ai singoli interessati.
Tuttavia, è di pochi giorni la notizia che il Garante della Privacy “vuole vederci chiaro” e chiede chiarimenti alla scuola protagonista del contenzioso iniziale!
Necessità di orientamenti nazionali
In conclusione, ritengo che si possa convenire sul fatto che “indietro non si torna”: sarebbe davvero surreale immaginare che il lavoro svolto in questi anni possa essere vanificato. Tuttavia, non si può negare che vi siano questioni aperte alle quali potrebbe rispondere efficacemente l’agognato “piano per la dematerializzazione”. Dopo quasi otto anni, con alcuni nodi che sembrano ormai venire al pettine, le scuole non possono essere lasciate sole a rispondere, paradossalmente, della “colpa” di essere andate (troppo?) avanti, sulla strada della digitalizzazione.