Un quarto di secolo dopo… quale idea di sicurezza?
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 1994 entrava in vigore il d.lgs. 626/1994 “Misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro in tutti i settori di attività privati o pubblici”, atteso da 5 anni, pur con significative resistenze, in attuazione di 8 Direttive dell’UE destinate ad armonizzare la disciplina nei Paesi aderenti. Per l’Italia si chiedeva un capovolgimento culturale: transitare da una visione della sicurezza prevalentemente tecnologica, legata a buone pratiche, ad una comportamentale e organizzata, basata sulla valutazione preventiva di tutti i rischi per la salute della salute e sicurezza di chiunque risultasse presente sul “luogo di lavoro”. Si trattava di entrare nella logica del “miglioramento continuo” secondo le 21 “misure generali di tutela”, di cui le prime 9 in ordine di priorità (art. 15 d.lgs. 81/2008). Da subito ci fu chi segnalò il pericolo, vivo ancor oggi, di un’applicazione prevalentemente formale delle nuove norme.
Il DS datore di lavoro o organizzatore dell’ambiente di apprendimento?
Il mondo della scuola si mostrò quantomeno sorpreso con i Dirigenti Scolastici (DS) “individuati” Datori di Lavoro (D.M. 21.06.1996, n. 292) e mancò la necessaria distinzione, pur in clima di responsabile cooperazione, tra gli obblighi dell’Ente Locale e quelli del DS “organizzatore dell’ambiente di apprendimento” a lui consegnato idoneo allo svolgimento delle attività didattiche ed educative. Erano i tempi in cui si chiedeva alla scuola di intervenire sulle tante emergenze educative, in primis quella stradale conseguente alle cosiddette “stragi del sabato sera”.
Va segnalata tuttavia la chiarezza della C.M. 119/1999 applicativa del d,lgs. 626/1994: è appena il caso di sottolineare che le Norme …, prima ancora che un obbligo … rappresentano un’opportunità per promuovere … una cultura della sicurezza (sul lavoro),.. per sollecitare la convinta partecipazione di tutte le componenti scolastiche in un processo di crescita collettiva, con l’obiettivo della sicurezza sostanziale della scuola, nel presente, e della sensibilizzazione, per il futuro, ad un problema di fondamentale rilevanza”.
Cosa si intende per cultura della Prevenzione
Nel 2004, una classe di scuola media ha partecipato ad un concorso sulla sicurezza stradale “Disegna la tua mascotte”. I ragazzi si sono domandati: “Quale immagine suscita in me la parola sicurezza?”. Poco soddisfatti degli scontati casco, cintura di sicurezza, no alcol, paletta del vigile, il carapace di una tartaruga,…hanno trovato il messaggio forte: “La Sicurezza deve essere vissuta come un bisogno interiore, un diritto dovere, deve nascere dentro di noi, in tutti noi…deve nascere nel nostro cervello, anzi nel nostro DNA, che codifica tutto ciò che siamo” e la Mascotte che li ha portati a vincere il premio della Polizia Stradale è stata la foto della spirale del DNA con tante sferette riportanti i segnali stradali.
Sulla stesa lunghezza d’onda ho sempre spiegato la “cultura della prevenzione” con un caso di cronaca avvenuto più di dieci anni fa a Napoli. Dopo giorni di pioggia tre operai impegnati a depositare cavi sotto il suolo stradale hanno aperto un lungo e profondo scavo, ma al momento di scendere con il cavo uno di loro si è rifiutato giudicando l’armatura delle pareti carente e insicura. La cronaca ha registrato il suo pronto licenziamento da parte del caposquadra, la discesa degli altri due operai, evidentemente intimoriti, subito travolti e uccisi dalle pareti franate loro addosso. Debbo ritenere che l’operaio disubbidiente avesse una solida mentalità di prevenzione.
Nel corso di questi anni la Corte di Cassazione, in sede di condanna di datori di lavoro, insiste: deve avere la cultura e la forma mentis del garante di un bene prezioso quale sicuramente è l’integrità fisica del lavoratore, illustrare ai dipendenti i rischi cui va incontro, pretendendo che la superficialità venga bandita e che a ciascuno debba essere assicurata idonea formazione, informazione e addestramento.
Come sviluppare una sensibilità di prevenzione del rischio
Dobbiamo anzitutto recuperare la C.M. 25.10.1993, n. 302, “Educazione alla legalità” emessa 26 anni fa a seguito di gravissime vicende nazionali. In essa si fa appello alla responsabilità della scuola all’educazione[1] dei giovani alla società elaborando e diffondendo una autentica cultura dei valori civili nel convincimento che la reciprocità fra soggetti dotati della stessa dignità sviluppa la consapevolezza che condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, sicurezza, non possono considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette.
La CM suggerisce alcuni progetti ponendo al primo posto l’organizzazione di un’efficace attività di contrasto della dispersione scolastica. L’impegno contro la dispersione (anche degli immigrati) costituisce una linea di azione prioritaria per contrastare il fenomeno con efficacia e continuità (cfr. Scuola7, n 163).
Invitando il lettore a recuperare il testo completo segnalo ancora: la scuola è normalmente la prima fondamentale istituzione, dopo la famiglia, con cui essi si confrontano e su cui misurano immediatamente l’attendibilità del rapporto tra le regole sociali e i comportamenti reali. Infatti per i giovani le istituzioni si presentano con il volto della scuola.
E’ necessario allora che la scuola offra ai giovani l’immagine coerente di “luogo” dove i diritti e le libertà di tutti, nel reciproco rispetto, trovano spazio di realizzazione, dove le aspettative dei ragazzi ad un equilibrato sviluppo culturale e civile non vengano frustrate. In questa prospettiva vanno particolarmente sottolineati i rapporti che si instaurano all’interno della comunità classe. Una valutazione del rendimento scolastico ispirata a criteri di trasparenza, coerenza, equità e solidarietà, può, ad esempio, costituire in molti casi una lezione di legalità più efficace di tante parole.
Un’importante testimonianza
A questo punto il lettore accuserà certamente un brusco salto nel ragionamento, ma l’esperienza di Elia[2] l’ho letta come contemporanea conseguenza di un’autentica cultura dei valori civili da presentare agli studenti frequentanti il triennio conclusivo delle scuole secondarie superiori. La lucida consapevolezza acquisita in una scuola stimolante, e sorretta dalla famiglia, possono portare a risultati inimmaginabili ma sempre attesi da chi opera in campo educativo con passione.
[1] Inserisco qui la definizione di “formazione” contenuta nell’art.2 del d.lgs. 81/2008: processo educativo attraverso il quale trasferire (ai lavoratori) ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambienti (di lavoro). Segnalo la sua generalità ponendo tra parentesi il riferimento al solo ambito lavorativo.
[2] Elia Minardi, Guardare la mafia negli occhi, Rizzoli, 2017. Trattasi delle inchieste di uno studente di Reggio Emilia che svelano i segreti dell’infiltrazione della ‘ndrangheta al nord. Hanno inizio nel 2009 quando Elia frequenta il liceo e si accorge che le feste della scuola si tengono sempre in una discoteca gestita da personaggi vicini ad una cosca mafiosa; emerge tra l’altro la cecità e/o leggerezza di Comuni intenti ad edificare scuole!