Docenti di sostegno senza titolo: che fare?

Dall’integrazione all’inclusione

Nel nostro Paese si sta sviluppando un interessante dibattito sulla specializzazione necessaria per i docenti che svolgono funzioni di sostegno per gli alunni disabili. Se ne è avuta un’eco nel convegno di Forlì (organizzato nelle settimane scorse da ANMIC, ANFFAS e CIDI, in collaborazione con Tecnodid) sul tema dell’inclusione, con al centro la riflessione sul modello ICF e il PEI partecipato[1].

Le posizioni in campo sono sostanzialmente due.

C’è chi chiede di intensificare la specializzazione, fino a prevedere il superamento della specializzazione “polivalente” per ritagliarla su specifiche disabilità (autismo, sindrome di down, disabilità sensoriali, ecc.). Molte associazioni dei genitori spingono per questa soluzione, che tuttavia si scontra con una situazione drammatica dovuta alla mancanza di qualsiasi tipo di specializzazione in oltre un terzo dei docenti che svolgono funzioni di sostegno nell’a.s. 2019/20 (che all’inizio dell’anno assommavano complessivamente a 150.000 unità).

Dall’altra parte c’è chi propone un sostegno “diffuso”, cioè in grado di coinvolgere molti soggetti nella gestione di classi inclusive. Riecheggiano in queste proposte le parole di un esperto come A.Canevaro, che ha sempre messo in guardia dalla logica della copertura di sostegno, in favore dell’idea di sostegni al plurale (compagni di classe, tecnologie, docenti di sostegno ma anche insegnati curricolari, personale ausiliario, genitori, ecc.). Tra l’altro, l’introduzione del sistema ICF sembra privilegiare questa dimensione allargata dell’inclusione, in quanto mette in relazione il deficit dell’allievo con le caratteristiche dell’ambiente di vita, del contesto sociale, delle diverse opportunità di crescita.

Una prospettiva pienamente educativa, e non strettamente riabilitativa, sembra dar ragione all’idea di un coinvolgimento di più attori nel processo di integrazione, non delegandola al solo docente di sostegno, per il quale – comunque – continua ad essere richiesto il prescritto titolo di abilitazione. Le modifiche introdotte nei D.lgs. 66/2017 e 96/2017 si muovono proprio nella prospettiva dell’inclusione come processo “partecipato”.

Fabbisogno di sostegno e risorse per l’inclusione

Resta tutta da interpretare la dinamica tra certificazione di disabilità e posti di sostegno assegnati. Entrambi i valori risultano in aumento, ma i posti in misura proporzionalmente maggiore[2]. Questo fenomeno, particolarmente visibile con la gestione delle deroghe, ci segnala che ancora oggi il tema dell’inclusione sembra orientarsi verso l’assegnazione di ore di sostegno (sempre più richieste e sempre più reclamate) a scapito di una maggiore attenzione all’insieme dei sostegni che dovrebbero garantire una effettiva inclusione e non solo una (mal sopportata) integrazione. Ci riferiamo:

  • alla presenza di “educatori” o “assistenti all’autonomia e alla comunicazione” (di cui non esiste una stima attendibile), che sono quantificabili in almeno 25.000 unità fornite da enti locali e cooperative di servizi),
  • al ruolo di supporto che potrebbe svolgere il personale ATA (anche se manca una incisiva politica di riconoscimento del ruolo “potenziato” che dovrebbero svolgere i collaboratori in tema di assistenza)[3],
  • alla indispensabile funzione dei docenti curricolari nell’affrontare il tema dell’inclusione (con la necessità di una loro formazione specifica).

Qualche esperto ha anche ipotizzato la composizione di “cattedre miste”, cioè l’affidamento allo stesso docente sia di insegnamenti curricolari, sia di compiti di sostegno, proprio per suggellare la piena contitolarità dei docenti specializzati nel partecipare alla vita “didattica” della classe. Non dimentichiamo che i 259.757 alunni con disabilità sono accolti nella maggioranza delle 369.769 classi in cui si articolano le scuole dell’infanzia, le scuole primarie, le scuole secondarie di I e II grado.

Graf. 5 – Serie storica degli alunni con disabilità e dei posti di sostegno_ AA.SS. 2015/2016-2019/2020

Nota: A partire dall’a.s. 2016/2017 sono inclusi i posti di potenziamento. Il dato dell’a.s. 2019/20 è riferito al 10/09/2019, in via di aggiornamento da parte degli Uffici periferici. Fonte: MIUR, 2019.

Come frenare la fuga dal sostegno?

I dati forniti dal MIUR ad inizio d’anno mettono in evidenza che a fronte di un complesso di 150.609 docenti impegnati sul sostegno, ben 50.529 lo sono in virtù della cosiddetta “deroga”, cioè di un aumento di ore di sostegno concesso solo in organico di fatto (di qui la estrema volatilità e precarietà dei posti. Sulle deroghe si va spesso in mancanza di titolo e come ultima possibilità per ottenere un incarico di insegnamento, seppure a tempo determinato. La riduzione di questo fenomeno richiede la disponibilità di un maggior numero di docenti forniti di titolo di specializzazione, disponibili all’insegnamento di sostegno (problema cui si sta ovviando attraverso l’attuale ciclo TFA sostegno in fase di svolgimento ed il nuovo ciclo TFA in fase di indizione) e, sull’altro versante, dalla stabilizzazione dei posti di deroga in organico di diritto (che potrebbero essere offerti ai vincitori dei prossimi concorsi sul sostegno).

Resta comunque il problema della fuoriuscita dal sostegno di molti docenti specializzati che, al termine del quinquennio previsto dalla legge, ottengono il passaggio ai posti di ruolo curricolari, evidentemente considerati più prestigiosi. Fintanto che non si pone un argine a questa “fuga” il problema non avrà fine. Il sostegno continuerà ad essere considerato canale agevolato per l’immissione in ruolo, da abbandonare poi prima possibile. La soluzione potrebbe essere trovata nell’allungamento del periodo di permanenza obbligatoria sul ruolo di sostegno (le associazioni dei genitori avevano proposto di portarlo da 5 a 10 anni) oppure in vari tipi di incentivi alla continuità sul ruolo e sulla sede. Anche la valorizzazione delle competenze “esperte” acquisite dai docenti di sostegno potrebbe stimolare una maggiore continuità di presenza nel ruolo.

In questa ottica si muove la recente nota MIUR 2215 del 26 novembre 2019 che propone di affidare a docenti di sostegno particolarmente esperti funzioni di tutoraggio e di accompagnamento nei confronti dei docenti di sostegno privi di specializzazione. La nota sembra prefigurare una specifica figura di coordinatore dell’inclusione all’interno di ogni istituzione scolastica, cui affidare appunto un compito di consulenza e di supervisione professionale dei colleghi. Questo profilo era già stato messo a fuoco nelle note 37900/2015 e 32839/2016.[4]

La formazione di docenti tutor di sostegno e dei docenti privi di titolo

La nota ministeriale compie una scelta, forse di necessità ma innovativa, perché abbina l’organizzazione integrata di corsi di 2° livello (per docenti di sostegno esperti) con la realizzazione di corsi di 1° livello (per docenti “principianti”) affidando ai primi compiti di accompagnamento, supporto e orientamento dei “novizi”: una sorta di mutuo insegnamento (o di peer review) che responsabilizza notevolmente il docente di sostegno “esperto”. Questo parteciperebbe ad un percorso formativo classico di circa 10 ore, per mettere a fuoco temi emergenti anche dalla decretazione più recente (D.lgs. 66/2017 e D.lgs. 96/2019), in particolare la nuova impostazione ICF, per poi svolgere azioni di laboratorio formativo a scuola per le ulteriori 15 ore.

Infatti si prende come unità di misura una unità formativa di 25 ore “all inclusive”. Le 15 ore di laboratorio vengono sviluppate all’interno del proprio luogo di lavoro, in forma di tutoraggio ai colleghi di sostegno in particolare a quelli privi di titolo, per affiancarli anche nei possibili momenti di difficoltà.

La nota del MIUR propone anche l’organizzazione di corsi di formazione di primi livello, da rivolgere ai docenti di sostegno “principianti”, preannunciando l’arrivo di ulteriori finanziamenti.

I contenuti della formazione

I temi oggetto della formazione in servizio si riferiscono a:

  1. Le implicazioni del modello ICF, di matrice bio-psico-sociale, sulla progettazione educativa e didattica, per cogliere le relazioni tra condizioni/potenzialità del soggetto, caratteristiche del contesto di vita e fattori facilitanti dei processi di inclusione.
  2. Le modalità per una progettazione integrata, a partire dall’elaborazione del PEI, dalla gestione delle classi inclusive, dalla scelta delle forme più efficaci di mediazione didattica e comunicativa.
  3. Le modalità di valutazione degli allievi in situazione di disabilità, anche alla luce delle novità previste dal D.lgs. 62/2017 e dalle nuove norme sulla certificazione di disabilità, sul profilo di funzionamento, sulla progettazione condivisa e sulla valutazione della qualità dell’inclusione.
  4. L’apporto delle nuove tecnologie e di software dedicati, per arricchire le scelte didattiche ed organizzative in materia di inclusione.

Si tratta di argomenti che possono consolidare la cultura dell’integrazione nell’ottica che abbiamo cercato di argomentare in questo breve contributo, per sottolineare l’esigenza di un superamento della logica del sostegno come protesi, in favore di un sostegno come elemento di “facilitazione” della conquista di maggiori gradi di autonomia e iniziativa negli allievi disabili all’interno delle classi che frequentano.

[1] Il relatore del convegno è stato l’ispettore Luciano Rondanini, che ha preso spunto dal volume recentemente edito dalla casa editrice Tecnodid: L.RondaniniL’ICF e la progettazione partecipata del PEI, Tecnodid, Napoli, 2019.

[2] Il dato dei posti, censiti dal MIUR al 10 settembre 2019, sembra in rapido aumento visto che il MIUR nella nota 2215 del 26-11-2019 parla di 176.000 docenti impegnati su posti di sostegno (ma probabilmente si riferisce anche a brevi spezzoni di orario per supplenze).

[3] G.Ventura, M.Nutini, Migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni disabili, in “Scuola7.it”, n. 159, 11 novembre 2019. I due autori distinguono tra assistenza di base e assistenza specialistica, proponendo soluzioni innovative per valorizzare l’impegno delle figure addette all’assistenza.

[4] A.Carlini, Il docente coordinatore dell’inclusione, in “Rivista dell’istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2016, Maggioli, Rimini.