Il rischio della marginalità sociale
Ho esaminato con preoccupazione l’approfondita analisi dell’INVALSI sui livelli di apprendimento rilevati (e da me condivisi per esperienza quotidiana) nelle ultime classi delle scuole superiori poche settimane prima dell’esame di stato: il 7,1% dei ragazzi, dopo almeno 13 anni di scuola, non arriva al livello 3 nelle prove di italiano e matematica e nemmeno al livello B1 nella lettura e nell’ascolto in inglese (livelli di competenza che corrispondono agli obiettivi formativi previsti per gli studenti di terza media!). L’Istituto nazionale di valutazione parla di “dispersione implicita” (ved. Scuola7 n. 156) che sommata a quella “esplicita”, propria dell’abbandono precoce della scuola (14,5%), porta all’allarmante 20,6% la quota nazionale dei giovani (con punte del 37% in alcune aree del sud) che non troverebbero nella scuola stimoli significativi, responsabilità e strumenti, qualità e quantità di competenze per affrontare la vita sociale e lavorativa.
La prevenzione della dispersione scolastica
I dati dell’INVALSI non colgono solo il livello finale della dispersione (la scuola perde 1 persona su 5 evidenziando un costante declino e un grave tracollo nazionale dell’istruzione), ma permettono di diagnosticarla precocemente così da rendere possibile un intervento di potenziamento durante l’iter formativo; l’entità del fenomeno andrebbe individuata già a livello di scuola primaria (quinte classi) e secondaria di primo grado. Si tratta di superare la prevalente cultura di una società “terapeutica” sempre più impegnata a riparare i danni, invece di operare come società “educante” in un’ottica di prevenzione dei danni. E’ anzitutto necessario recuperare credibilità della scuola e dei suoi insegnanti rendendo contestualmente consapevoli i giovani e le loro famiglie sull’importanza degli anni destinati all’apprendimento.
Tra le azioni urgenti ritengo prioritarie quelle legate all’impegno e alla qualità professionale degli insegnanti, mettendo mano anche ad una seria formazione professionale, iniziale e continua, davvero obbligatoria perché sostenuta con impegni e orari definiti e magari anche retribuiti. Andrà contrastato nel contempo l’inerzia e il disimpegno, la superficialità e l’approssimazione professionale che oggi nelle scuole possono tranquillamente convivere indisturbate accanto al loro contrario, con l’introduzione di carriere premianti, basate sulla quantità e qualità dell’insegnamento.
Il coinvolgimento di giovani e famiglie
Ho sempre creduto e divulgato che tra i rischi professionali dell’insegnante spicchi quello di esigere che lo studente conosca e sappia applicare quello che nessuno collega gli ha mai insegnato (nell’anno precedente o in disciplina collegata). Per questo ho sempre “accolto” l’utenza con l’illustrazione della scuola, le sue regole con pregi e difficoltà, senza trascurare la richiesta di un impegno serio sorretto da un buon metodo di studio (non considerabile patrimonio genetico). Nel riquadro esemplifico molto sinteticamente quanto illustrato (e accolto con alto indice di gradimento dalle famiglie) agli studenti di prima superiore ed ai loro genitori nelle prime settimane dell’anno scolastico.
IMPARARE A STUDIARE IN 6 PUNTI
Consapevolezza: Lo studio è il mio lavoro: lo devo svolgere con serietà, metodo e serenità 1. Attenzione in classe (prendere eventualmente brevi appunti) |
Ancora una volta: lo specifico della scuola
Il riquadro può sembrare acqua tiepida, ma è una sorta di contratto tra la scuola e la famiglia per sconfiggere la povertà educativa ed il disagio scolastico relativamente alle più svariate emergenze sempre più incredibili e scomode. Questo è lo specifico della Scuola, le cui svariate attività formativo/educative devono svolgersi in locali consegnati sicuri al Dirigente scolastico. E’ quel particolare luogo di lavoro in cui operare in sicurezza per far acquisire alle future generazioni la “cultura della prevenzione” dei rischi con uno studio coinvolgente e di qualità che comprenda l’attenzione all’educazione civica, stradale ed agli stili di vita sani (nelle relazioni, nell’uso degli alimenti, delle sostanze,..del tempo).
Si tratta di una sfida per la scuola “… terreno privilegiato di cultura per qualsiasi attività educativa: per i giovani le istituzioni si presentano con il volto della scuola. La scuola è normalmente la prima fondamentale istituzione, dopo la famiglia, con cui essi si confrontano e su cui misurano immediatamente l’attendibilità del rapporto tra le regole sociali ed i comportamenti reali”. (C.M. 25 ottobre 1993, n.302 – Educare alla legalità).
Non va dimenticato il punto 7.1 della Carta dei Servizi: “La scuola… è responsabile della qualità delle attività educative e si impegna a garantirne l’adeguatezza alle esigenze culturali e formative degli alunni, nel rispetto degli obiettivi educativi validi per il raggiungimento delle finalità istituzionali”.