Ritorna il “contratto” tra le parti per la formazione
Il 19 novembre scorso è stata raggiunta un’importante intesa tra MIUR e Organizzazioni Sindacali della scuola sul tema della formazione in servizio del personale scolastico. La sottoscrizione dell’Ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente i “criteri generali di ripartizione delle risorse per la formazione del personale docente, educativo ed ATA per gli anni scolastici 2019/20, 2020/21, 2021/22” costituisce la prima rilevante applicazione delle novità introdotte dal CCNL 2018 che, con l’art.22 commi 4 e 8, ha sostanzialmente riportato la materia della formazione in servizio del personale tra quelle oggetto di contrattazione nazionale integrativa (per quanto riguarda i “criteri generali di ripartizione delle risorse”) e di confronto (per quanto attiene agli “obiettivi e le finalità della formazione”)[1]. In tale contesto i contenuti dell’accordo, per la loro rilevanza e incidenza trasformativa, sembrano andare anche oltre l’ambito apparentemente neutro e solo amministrativamente rilevante definito dai “criteri generali di ripartizione delle risorse”.
Cambia il modello della governance: dall’ambito alla scuola
L’accordo sottoscritto, infatti, modifica in modo sostanziale il modello di governance del Sistema della formazione in servizio dei docenti promosso con il Piano Triennale della Formazione 2016/19 e messo in atto nell’ultimo triennio, modello, come è noto, centrato sulle Reti territoriali di ambito e relative “scuole polo”.
Il CCNI sulla formazione torna ad attribuire la centralità del sistema – la “programmazione e la concreta gestione delle attività di formazione in servizio” – alla singola istituzione scolastica, oltre che alle “reti di scuole”; tali reti non sono più, però, le “reti territoriali di ambito” specificamente promosse e finanziate dall’Amministrazione al fine di rilevare i bisogni su base territoriale e progettare e realizzare azioni formative sulla base di un più o meno variamente articolato repertorio di opportunità formative, ma “reti di scopo”, eventualmente e liberamente promosse in forma di aggregazione autonomamente determinata dalle scuole con specifico, e non causale, riferimento all’art.7 c. 2 del DPR 275/99.
Diversamente dal recente passato, nel quale i finanziamenti venivano integralmente attribuiti alle scuole polo d’ambito per progettare e realizzare attività formative per conto delle scuole della rete, il nuovo Contratto Integrativo prevede che, di tutte le risorse finanziarie disponibili annualmente, una quota del 60% sia distribuita direttamente alle istituzioni scolastiche, parametrata sulla base del numero del personale docente e ATA, e il restante 40% venga assegnato ancora alle “scuole polo d’ambito” ma per la “gestione coordinata delle iniziative di formazione previste dall’Amministrazione centrale” rappresentando, quindi, solo una sorta di terminale operativo e gestionale dell’Amministrazione stessa.
Si tratta, con tutta evidenza, di un ritorno al passato, probabilmente inevitabile e forse anche auspicabile a fronte del quadro di luci ed ombre dell’esperienza triennale delle reti di ambito; un’esperienza che, non fosse altro che per l’assoluta novità che ha rappresentato in termini di mobilitazione di energie collaborative e risorse progettuali, vale comunque la pena sia approfondita, analizzata a fondo e finalmente raccontata, magari proprio a partire dal monitoraggio realizzato dall’INDIRE i cui esiti dovrebbero essere presto disponibili e, auspicabilmente, già noti e utilizzati dai sottoscrittori del nuovo Contratto per fondare e motivare le scelte condivise.
Il fondamentale ruolo dell’Amministrazione centrale
Insieme alla valorizzazione della centralità di ciascuna singola Istituzione scolastica nella programmazione e gestione delle attività di formazione in servizio, il nuovo Contratto Integrativo attribuisce un importante rilievo, funzionale e strategico, al ruolo dell’Amministrazione centrale. Oltre, infatti, alla gestione sostanzialmente diretta, per tramite delle scuole polo di ambito, di una quota rilevante di risorse e di iniziative formative – definite “a carattere nazionale, azioni di sistema, formazione in ingresso del personale” – l’accordo attribuisce all’Amministrazione centrale compiti anche molto innovativi, di promozione e supporto all’innovazione metodologica, così descritti:
- compiti di indirizzo, coordinamento e monitoraggio;
- competenza in materia di promozione, individuazione, studio e diffusione di nuovi modelli di formazione ed aggiornamento connessi ai processi di innovazione del sistema.
Con particolare riferimento, inoltre, all’azione di monitoraggio l’Accordo attribuisce all’Amministrazione il compito di valorizzare le migliori pratiche, di incoraggiare la diffusione di modelli innovativi, di predisporre azioni di semplificazione “al fine di realizzare un sistema di formazione in servizio in grado di determinare la crescita professionale continua del personale, la qualificazione del sistema istruzione e un reale innalzamento dei livelli dell’offerta formativa”. Si tratta, come è evidente, di un importante riconoscimento della centralità della leva formativa per la qualificazione complessiva del sistema e, insieme, di una sfida rilevante per l’Amministrazione che dovrà dotarsi, sia a livello centrale che periferico, degli strumenti organizzativi e operativi necessari ad evitare che resti una vuota declaratoria di principi.
La centralità del Piano di formazione di Istituto
La restituzione alle scuole della centralità del sistema di formazione in servizio comporta la valorizzazione del Piano di formazione di Istituto quale strumento di sintesi, culturale ed operativa, tra gli obiettivi del PTOF, i traguardi del RAV, le priorità strategiche di ciascuna istituzione scolastica e le azioni formative necessarie a supportare i processi di miglioramento. La difficile sintesi tra priorità e bisogni formativi di ciascuna scuola e quelli definiti a livello di ambito territoriale ha rappresentato uno dei nodi di maggiore problematicità operativa nel triennio scorso. Ora le scuole potranno progettare iniziative formative direttamente funzionali a corrispondere ai propri obiettivi di miglioramento decidendo, eventualmente, di aggregarsi in reti di scopo con scuole che condividono tali obiettivi e strategie, nella prospettiva non solo di un’economia di scala ma anche di quell’arricchimento che deriva da confronto e dalla collaborazione tra diverse comunità professionali, arricchimento che costituisce indubbiamente una delle eredità positive della recente esperienza delle reti di ambito.
L’accordo sottolinea ed enfatizza la rinnovata centralità del Collegio dei docenti nella definizione del Piano di formazione di Istituto ma suggerisce anche prospettive operative innovative che, superando la tradizionale e riduttiva impostazione dell’elenco dei corsi di aggiornamento da realizzare, valorizzino “iniziative di autoformazione, di formazione tra pari, di ricerca e innovazione didattica, di ricerca-azione, di attività laboratoriali, di gruppi di approfondimento e miglioramento” oltre che ogni forma di aggiornamento individuale, del quale, assai opportunamente, si sottolinea la necessaria coerenza con il Piano di Formazione di Istituto.
Nell’ambito del Piano di formazione di Istituto viene ricordata la necessità di programmare azioni formative anche rivolte al personale ATA per la cui realizzazione si potrà attingere a risorse specifiche, prioritariamente ex L.448/1997.
Un budget per ogni istituto scolastico
Il tema delle risorse assume, nel nuovo scenario disegnato dal CCNI, una particolare rilevanza: la Legge 107/2017 aveva investito consistenti risorse a finanziare il Piano Nazionale di formazione, 40 milioni annui per il triennio 2016-19, che il sistema centrato sulle reti di ambito e le scuole polo sembra aver addirittura faticato a investire in modo completo ed efficace (ma anche su questo aspetto attendiamo l’esiti del monitoraggio INDIRE). Ora: quali risorse complessive e, soprattutto, su quali risorse potrà effettivamente contare ogni singola scuola per programmare e realizzare il proprio Piano di formazione? Un rapido e sommario calcolo sulla base delle tabelle allegate all’accordo, relative al solo esercizio finanziario 2019 e ulteriormente integrabili, prefigura una quota media di 2.500 euro per ciascuna Istituzione scolastica.
I nodi aperti
Restano non affrontati e irrisolti dall’accordo sottoscritto alcuni nodi di fondo, dal cui dipanamento dipende in gran parte, a parere di chi scrive, il successo della nuova stagione che si va aprendo sulla formazione in servizio del personale scolastico:
- Il Contratto Integrativo sottoscritto non cita neppure la questione della “obbligatorietà” della formazione in servizio dei docenti introdotta, come è noto, dal comma 124 della Legge 107/2015. La questione della natura giuridica – tra obbligo e diritto-dovere, tra sviluppo professionale e vincolo burocratico – delle attività di formazione e aggiornamento in servizio dei docenti non può più attendere di essere definitivamente chiarita, anche per prevenire il possibile esplodere di un microcontenzioso, diffuso e distribuito nelle migliaia di comunità professionali che saranno chiamate a deliberare.
- Il sistema della formazione dei docenti, come emerso particolarmente nell’esperienza dell’ultimo triennio, è pesantemente e negativamente condizionato da un insieme di vincoli procedurali e amministrativi: standard di costi ormai del tutto fuori mercato, procedure di gara farraginose e disfunzionali, forme di rendicontazione amministrativa rigide e ingiustificate. Tenuto anche conto della, assai ridotta, dimensione economica in gioco appare indispensabile che si individuino e vengano fornite alle singole scuole soluzioni amministrative che, nel rispetto della normativa generale sulla gestione amministrativo-contabile, consentano di individuare e contrattualizzare soggetti erogatori di formazione funzionali ai bisogni e alle progettualità specifiche.
- Il superamento delle rigidità nelle procedure amministrative – e auspicabilmente a questo si riferisce il Contratto Integrativo quando chiede all’amministrazione di predisporre “azioni di semplificazione” – è anche la precondizione necessaria perché sia davvero praticabile il coinvolgimento e la collaborazione con quei soggetti che anche il Contratto Integrativo chiede di favorire (Università, Istituti di ricerca, Associazioni professionali qualificate e Enti accreditati ai sensi della Dir. 170/2016) al fine di migliorare la qualità e gli esiti dei processi formativi attraverso il coinvolgimento di soggetti istituzionali più qualificati.
- Progettare la formazione dei docenti, che sia a livello di ambito o di singola scuola, non è un esercizio che si possa improvvisare; richiede competenze specifiche che la scuola non possiede per via naturale. Certamente non basta il pur meritorio catalogo della piattaforma SOFIA, che giustamente l’Accordo chiede di implementare, ma si tratta di investire sullo sviluppo di specifiche competenze di “progettazione della formazione”, a partire dalla figura e ruolo strategico del Dirigente scolastico. Anche su questo terreno l’Amministrazione potrà svolgere una funzione di indirizzo determinante.
[1] L’Accordo sottoscritto il 19/11 è accompagnato da un Verbale, datato 18/11, che restituisce la sintesi dei lavori e delle posizioni emerse dal Confronto tra le parti, come previsto dall’art.6 comma 2 del CCNL 2018. L’esito del confronto appare un documento ancora interlocutorio e generale, limitandosi ad indicare alcuni ambiti tematici sui quali le parti concordano di finalizzare prioritariamente le attività formative, sia per il personale docente che ATA. In considerazione di ciò, l’allegato all’Ipotesi di CCNI non è oggetto di analisi delle presenti note.