Una grande occasione di confronto a Rimini
Si è conclusa, da qualche giorno, al Palacongressi di Rimini, la dodicesima edizione del convegno internazionale Erickson “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale”; evento a cui hanno partecipato più di centocinquanta relatori ed esperti di fama nazionale e internazionale, provenienti da ambiti diversi e che hanno offerto spunti di riflessione a una platea di oltre quattromila persone impegnate nell’educazione inclusiva, intesa come scelta di civiltà e di valore.
I lavori si sono articolati in tre giorni che hanno visto tre sessioni plenarie incentrate sui temi dell’inclusione, della disabilità e dell’interculturalità; dodici Q TALK su idee particolarmente stimolanti e innovative ed, infine, quarantatre workshop basati su pratiche didattiche efficaci.
Un confronto a tutto tondo con i maggiori esperti su focus da presidiare strategicamente da chi, quotidianamente, lavora per promuovere un processo d’inclusione scolastica e sociale sempre più efficace. Tanto è vero che lo slogan del Convegno è stato “La Q siamo noi”, nel senso che la qualità del processo inclusivo va costruita sul campo quotidianamente da tutti gli operatori della comunità educante e professionale.
Cosa intendiamo per processo d’ inclusione scolastica e sociale?
Ragionevolmente quando parliamo di processo d’ inclusione scolastica e sociale possiamo intendere un insieme di azioni implementate al fine di mettere l’altro in condizioni di “funzionare” al meglio, in relazione alle sue capacità nel campo degli apprendimenti e della partecipazione. In altre parole accogliere e integrare tra loro le molteplici eterogeneità umane offrendo opportunità di piena autorealizzazione attraverso una didattica il più possibile universale, accessibile e personalizzabile per tutti gli alunni.
È una questione di vera e propria giustizia sociale e di diritti umani di tutti e di ciascuno.
Tuttavia come ha precisato il Prof. Dario Ianes in apertura del Convegno, l’inclusione è una realtà complessa e, sempre più spesso, in diversi paesi europei si aggirano i cosiddetti “inclusio-scettici”[1], cioè coloro che non credono che una scuola inclusiva sia possibile. L’Italia vanta una tradizione relativa all’inclusione di circa quarant’anni, sia pure con le diverse problematiche e fragilità note a tutti. Rifuggendo da pratiche autoreferenziali, appare doveroso riflettere sulle debolezze del nostro sistema ma nell’ottica di “inclusio-costruttori”, cercando di trovare risposte concrete alle difficoltà e trasformando l’impegno ideale in operatività.
Come rendere più efficace il processo d’inclusione scolastica e sociale?
Lungo questa traiettoria, tracciata dal Prof. Dario Ianes, si sono svolti i lavori del Convegno attraverso intensi momenti di confronto e ricerca per costruire una comunità sempre più inclusiva ed approdando alla conclusione, desumibile tra l’altro dalla mozione finale prodotta, che l’abbattere muri deve essere il filo conduttore dell’impegno da profondere quotidianamente per scongiurare il pericolo di rendere fragile la nostra esperienza inclusiva, con il rischio di un ritorno al passato di pratiche educative, selettive e separative.
Si rende necessaria una formazione in servizio, obbligatoria e costante nel tempo; in particolare una formazione iniziale per tutti i docenti sulla didattica inclusiva come pratica normale. Atteso, inoltre, che il processo inclusivo richiede un gioco di squadra appare imprescindibile da una formazione di tutti gli attori della comunità educante e professionale, ivi compresi i Dirigenti Scolastici come loro competenza strutturale non accessoria.
Fondamentale risulta anche un reale sviluppo dell’autonomia didattica e della flessibilità dei curricoli ottimizzando i tempi e gli spazi della progettazione didattico-educativa e prevedendoli anche per Scuola Secondaria.
Occorre, pertanto, una filosofia contrattuale della scuola che valorizzi gli insegnanti nella misura in cui tutela i diritti degli studenti; ogni alunno, riconosciuto in rapporto alla propria condizione, ha diritto ad una relazione che sviluppi e solleciti i potenziali con didattiche individualizzate idonee, anche speciali, ma mai segreganti.
Quali competenze per il docente specializzato per le attività di sostegno inclusivo?
Strategica risulta la figura del docente specializzato per le attività di sostegno, inteso come partner strutturale dello sviluppo di una classe inclusiva, in cui regna la corresponsabilità dell’intervento didattico a favore di tutti gli alunni.
Come sostengono Andrea Canevaro e Dario Ianes[2], le due voci più autorevoli nel campo dell’inclusione, un altro sostegno è possibile ed un docente specializzato per le attività di sostegno inclusivo è un insegnante che:
- Valorizza tutte le differenze
- Comprende il funzionamento basato su ICF
- Costruisce eterogeneità nei gruppi
- Collabora con tutti i colleghi
- Promuove interventi fondati su evidenze
- Attiva le risorse della scuola e dell’extrascuola
- Promuove lo sviluppo globale della scuola
- Rompe schemi e li evolve in modo creativo
- Attiva le risorse delle famiglie e della comunità
- Amplia il PEI nel Progetto di Vita
- Promuove un utilizzo «misto» del sostegno
- Evolve radicalmente il sostegno.
Azioni ineludibili per la realizzazione di una comunità educante e professionale sempre più inclusiva e che richiedono ricerca costante, puntuale documentazione dei percorsi implementati e diffusione di buone prassi.
Formazione continua e ricerca in situazione
Solo attraverso la formazione continua e scrupolosa è possibile individuare risposte pedagogiche speciali di qualità ai diversi bisogni educativi speciali.
Fondamentale è l’azione di ricerca in situazione, costante e mirata sul singolo caso bisognoso di attenzione pedagogica: “E’ con la ricerca e nella ricerca che il lavoro dell’insegnante smette di essere un mestiere e diventa una professione” come del resto, sosteneva già Piaget.
Rigore scientifico e concretezza, dunque, per favorire una cultura dell’inclusione.
Documentazione e diffusione buone prassi
Ma risulta parimenti importante lasciare traccia dei percorsi implementati documentandoli in maniera puntuale.
Attraverso la documentazione di quanto realizzato si apre la possibilità di rivedere e riflettere sui percorsi svolti in modo da individuare i punti di forza e quelli di criticità; incrementare i primi e superare e/o almeno ridurre i secondi. In tal modo il docente riflette sulle prassi didattiche implementate nell’ottica del docente riflessivo ed al fine di un miglioramento continuo.
La documentazione di un percorso svolto può costituire una buona base di partenza per ulteriori percorsi da attivare ed una prassi da condividere con altri docenti della propria comunità o di altre. Fondamentale risulta quindi la formalizzazione delle buone prassi didattiche e la loro disseminazione; le buone prassi costituiscono la voce e la testimonianza della scuola autentica che quotidianamente si interroga per trovare risposte ai diversi bisogni educativi.
Sarebbe un vero spreco se restassero gelosamente chiuse nei cassetti …è necessario dar loro voce nell’ottica di una scuola quale comunità educante che crea comunità.
Riprendiamoci la PEDAGOGIA: una possibile risposta per un efficace processo inclusivo?
Infine i tempi sono maturi per riprendersi coraggiosamente la PEDAGOGIA, ovvero la sensibilità pedagogica che ci spinge a considerare la PERSONA prima del suo funzionamento; sensibilità pedagogica quale vera linfa di ogni azione educativa e didattica finalizzata a creare una comunità educante sempre più inclusiva.
Pedagogia che operi in un approccio multidisciplinare ed in un dialogo multiprofessionale al fine di realizzare una governance locale inclusiva: premessa perché il processo d’inclusione scolastica e sociale funzioni efficacemente.
[1] D. Ianes, G. Augello, Gli inclusio-scettici, Erickson, 2019.
[2] A. Canevaro e D. Ianes (a cura di), Un altro sostegno è possibile. Pratiche di evoluzione sostenibile ed efficace, Erickson, 2019.