L’assistenza per l’autonomia e la comunicazione può e deve essere migliorata
Da quando “l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione” degli alunni disabili (1), a seguito del passaggio dei collaboratori scolastici nei ruoli dello Stato (2), è stata forzatamente suddivisa in “due segmenti”, ovvero da un lato “l’assistenza di base” e dall’altro “l’assistenza specialistica” (3), il sistema è andato in crisi e si sono prodotti disservizi e sprechi di risorse.
Non sono mancate penose discussioni, sulle competenze dei diversi soggetti coinvolti, che ancora oggi si trascinano e che vedono in prima fila, strenuo difensore dei diritti dei disabili, il caro autorevole amico avvocato Salvatore Nocera (4).
Le difficili situazioni che continuano a ripetersi, rischiano, assieme alla ben più grave carenza di insegnanti di sostegno qualificati (5), di minare alla base il modello italiano che rappresenta(va?) un’eccellenza a livello internazionale nell’ambito dell’inclusione scolastica. A questa deriva si può e si deve porre rimedio.
I collaboratori scolastici e l’assistenza di base
I circa novantamila collaboratori scolastici in servizio nelle scuole, sono diventati dipendenti statali nel 1999 ma solo in tempi recenti le mansioni dell’assistenza di base e dell’assistenza igienica sono divenute effettivamente esigibili. La questione è stata chiarita, a parere di chi scrive, dalla norma che ha reso obbligatoria, per tali lavoratori, la partecipazione alle iniziative formative loro rivolte (6), senza le quali, secondo alcuni interpreti, gli stessi avrebbero potuto rifiutare taluni compiti, e da una sentenza della Cassazione con la quale è stato stabilito che il collaboratore che si rifiuta di cambiare il pannolino a un’alunna disabile è punibile per rifiuto di atti d’ufficio e deve risarcire, per i danni causati, la parte civile, anche se non ha mai ricevuto, per tali mansioni, né una formazione specifica né un compenso a ciò finalizzato (7).
Nonostante tutto questo, c’è ancora chi sostiene che “il collaboratore scolastico non può né deve cambiare il pannolino all’allievo disabile perché non è uno ‘specialista’ e non ha una formazione in tal senso” (8).
Gli operatori degli enti locali e l’assistenza specialistica
Oltre agli insegnanti di sostegno e i collaboratori scolastici, in Italia operano circa quarantottomila assistenti educativi per lo sviluppo dell’autonomia e della comunicazione. Essi sono nella quasi totalità addetti alle dipendenze di cooperative, che si aggiudicano i relativi appalti di servizi, e in piccolissima parte sono dipendenti degli enti locali. Gestiscono interventi individualizzati volti ad incrementare le competenze in ambito scolastico e nei contesti quotidiani di vita sociale e curano principalmente gli aspetti educativi e di relazione, collaborando con i docenti di classe e di sostegno. Svolgono compiti di collegamento fra il “progetto di inclusione”, che definisce, nell’ambito del PEI, gli interventi di assistenza educativa, e il “progetto individuale” di competenza dell’Ente Locale, che si proietta oltre l’inclusione nel segmento scolastico.
Quando i collaboratori scolastici erano dipendenti degli enti locali, gli assistenti specialistici erano meno di cinquemila e non sono pochi gli enti locali che affermano oggi di effettuare, con la massiccia presenza di questo personale, una supplenza a carenze di personale sia di sostegno sia di assistenza di base. Altre volte, all’opposto, si verifica una sovrapposizione di operatori che produce isolamento ed esclusione e quindi esattamente il contrario della finalità dichiarata dell’intervento. In ogni caso si determina e si registra nei fatti una differenziazione territoriale delle modalità operative che costituisce un ulteriore problema in ordine al principio generale di pari opportunità.
Prima proposta: promuovere in B tutti i collaboratori scolastici
Negli enti locali, da tempo, molti collaboratori operanti negli asili nido e nelle scuole comunali dell’infanzia sono inquadrati in categoria B e non sono semplici “ausiliari” ma “operatori socio-scolastici”. Quest’inquadramento permette una notevole flessibilità nell’utilizzo del personale all’interno delle strutture e di ottenere, oltre alle mansioni classiche degli ausiliari, anche ogni tipo di assistenza igienica nonché minime forme di collaborazione nella gestione delle attività di supporto ai servizi.
Il costo di un dipendente inquadrato in categoria B è di poco maggiore e quello della categoria A, ma i benefici per il servizio sono rilevanti.
Nello Stato è stata prevista una “Area As” che pare non sia mai stata attuata. In ogni caso le differenze retributive, rispetto alla ”area A” sono irrisorie.
La proposta, in sintesi, è quella di creare una “Area B zero” nella quale collocare tutti i collaboratori scolastici statali che operano presso le scuole dell’infanzia e le scuole primarie. La differenza retributiva rispetto alla “Area A” dovrebbe essere di almeno 1.200 euro annui. Potrebbe rimanere, invece, la “Area As” nella quale collocare, solo al bisogno (cioè in presenza di alunni necessitanti di specifica qualificata assistenza), gli ausiliari operanti nelle scuole secondarie di primo e secondo grado. L’inquadramento in “area B zero” potrebbe essere definitivo, mentre l’attribuzione dell’area As potrebbe essere legata, annualmente all’effettiva necessità.
Il costo di quest’operazione è stimabile, al massimo, in 60 milioni annui (ma probabilmente molto di meno in quando l’aumento tabellare dovrebbe assorbire altri istituti oggi utilizzati per incentivare l’espletamento di certe mansioni) e sarebbe un costo sostenibile, in relazione alle economie che si vanno delineando per la riduzione della popolazione scolastica, e congruo, in relazione alla maggiore esigibilità di mansioni che ne potrebbe derivare.
Il tutto al netto del processo, previsto dalla legge di bilancio 2019 per il 2020, di internalizzazione dei servizi ausiliari affidati da diversi anni a ditte esterne.
L’introduzione di una qualifica ad hoc con corsi biennali attraverso il sistema della FP regionale come requisito di accesso per il futuro e con la previsione della riqualificazione pluriennale del personale già in servizio rappresenterebbe il compimento coerente di un percorso di riforma che istituisca un nuovo profilo professionale che potremmo denominare OSE (analogamente a quanto già realizzato nel comparto della sanità dove da diversi anni ormai troviamo il profilo professionale degli OSS).
Seconda proposta: passaggio allo Stato della competenza relativa all’assistenza educativa
Una volta sistemata definitivamente la questione dei collaboratori scolastici con un nuovo inquadramento e una chiara declinazione dell’esigibilità di tutte le mansioni rientranti nell’assistenza di base e di supporto, rimane da riformare il sistema del “secondo segmento”, ovvero quello dell’assistenza educativa e specialistica per lo sviluppo dell’autonomia e della comunicazione.
Con un provvedimento analogo a quello che fu adottato (per il personale ATA) con l’art. 8 della legge 124/1999, tutto il personale e tutti gli appalti di servizio relativi a tale assistenza dovrebbero essere trasferiti allo Stato, assieme alle risorse impiegate annualmente da parte degli enti locali. In sostanza lo Stato potrebbe riprendersi le risorse stanziate per i trasferimenti agli enti locali per tale assistenza, nonché abbattere annualmente i trasferimenti a qualsiasi titolo dovuti, per ogni ente locale, di una somma corrispondente a quanto speso, annualmente, da ogni ente per garantire tale servizio.
Per questa seconda proposta, quindi, non vi sarebbe alcun aggravio della spesa pubblica, ma si opererebbe una razionalizzazione nell’impiego delle risorse, nel ricondurre tutti gli operatori presenti all’interno della scuola sotto la piena potestà organizzativa diretta di un unico soggetto istituzionale (il Miur) e funzionale (il dirigente scolastico).
Si noti a questo proposito che il profilo professionale dell’educatore esiste già nella dotazione organica del Miur ed è già contemplato anche nel CCNL della scuola, essendo riferito a oggi al personale in servizio nei convitti nazionali (presenti e funzionanti in 18 regioni e 39 province) (9). Basterebbe quindi un piccolo adattamento, di quanto già scritto e regolamentato, per gestire un processo di transizione come quello qui ipotizzato. Si noti anche il fatto che nella Provincia di Trento già sono previsti educatori nei ruoli delle istituzioni scolastiche, grazie ad una norma speciale adottata nell’ambito della potestà legislativa autonoma che tale Provincia ha in materia di Istruzione.
In ordine alla necessità di garantire un trattamento equipollente anche agli alunni disabili iscritti e frequentanti le scuole paritarie di ogni ordine e grado, infine, si potrebbe operare una revisione delle prassi vigenti prevedendo la generalizzazione alle scuole paritarie delle modalità di intervento di sostegno economico da parte del Miur ad oggi previsto per la scuola primaria e il trasferimento sul conto del Miur dedicato a questo tipo di interventi della quota equivalente al costo complessivo degli interventi ad oggi sostenuti, per la stessa finalità, dal sistema degli Enti Territoriali (10)
1) Legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 13, comma 3
2) Legge 3 maggio 1999, n. 124, art. 8
3) Circolare Miur 30 novembre 2001, n. 3390
4) Si veda “https://www.orizzontescuola.it/cambio-pannolino-alunno-disabile-nocera-lassistenza-igienica-e-attivita-specialistica/”
5) I docenti di sostegno non specializzati sono oltre un terzo del totale e oltre la metà non sono di ruolo
6) D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 66, art. 13, comma 3
7) Corte di Cassazione, sentenza 19 febbraio 2016, n. 22.786
9) si veda: https://www.miur.gov.it/istituzioni-educative
10) per approfondire l’evoluzione normativa relativa all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione si veda anche https://www.scuola7.it/2019/150