Riparte la formazione (in servizio)?

Una nota MIUR di routine che prefigura i prossimi scenari

Da una nota di servizio inviata agli USR nei giorni scorsi, la n. 43439 del 2.10.2019, apparentemente di “tono minore” e di routine, apprendiamo molte informazioni utili per prefigurare il futuro della formazione in servizio dei docenti, a partire da questo anno scolastico.

Intanto, si stanno esaurendo in questo autunno gli effetti del Piano triennale di formazione, approvato con DM 797/2016 ed il cui terzo anno era stato finanziato con la nota 47777 dell’8.11.2017.

Proseguirà il Piano Nazionale di aggiornamento? Ci saranno novità nelle forme di gestione amministrativa? Quali saranno le priorità formative? Ce ne sono di nuove rispetto alle 9 indicate nel precedente Piano? E ancora, saranno risolti i dilemmi che hanno accompagnato la formazione in questi tre anni: l’aggiornamento è obbligatorio o no? Le ore di impegno come vanno conteggiate o riconosciute? Qual è l’incidenza delle delibere del Collegio dei Docenti e delle indicazioni del Dirigente scolastico?

È evidente che una nota amministrativa di routine non può dare risposte a queste domande sostanziose, anche perché siamo in presenza di una nuova direzione politica (che si dovrà esprimere in merito) e le organizzazioni sindacali rivendicano il diritto a dire la loro sulla formazione (almeno sull’impiego delle risorse).

Resta l’ambito territoriale, ma più spazio alle scuola

La nota, comunque, fa capire che ci sono “lavori in corso” per dare continuità alle attività di formazione in servizio, definite tra l’altro dalla legge 107/2015 come “obbligatorie, permanenti, strutturali”. Le risorse per la formazione in servizio, sia nella quota riservata all’organizzazione “pubblica” di attività (scuole, ambiti, MIUR), sia nella quota riservata alla gestione personale dello sviluppo professionale (la card per “consumi culturali” personali), sono – al momento – confermate. Dunque si rende necessario predisporre un nuovo Piano triennale e procedere celermente all’assegnazione delle risorse a scuole capo-fila. La nota, infatti, chiede di confermare o modificare l’indicazione della scuola capo-fila della formazione (che potrebbe non coincidere con la scuola capo-fila di ambito). Ma gli ambiti esistono ancora? Potrebbe chiedersi qualche acuto lettore… Certamente: sono stati superati gli ambiti intesi come territorio vasto in cui giocare la titolarità e la mobilità dei docenti, ma resta l’esigenza di aggregazione in rete delle scuole per favorire economie di scala, progettazione condivisa, semplificazione delle procedure. Ne va del futuro stesso dell’autonomia scolastica (di cui celebriamo i vent’anni del Regolamento, Dpr 275/1999), autonomia che non può tradursi in una competizione tra singole scuole. La rete può mettere in risalto la vocazione collaborativa delle scuole.

La formazione “sul campo” all’interno della scuola

E le singole scuole? E’ la stessa nota – tra le righe – ad “immaginare” un potenziamento del loro ruolo nella formazione dei docenti. Questo significa che probabilmente una quota dei finanziamenti arriverà direttamente alle scuole (le procedure amministrativo-contabili e di rendicontazione sono ancora da definire), in modo che ciascuna istituzione possa disporre di un “gruzzolo” per dare continuità alle attività interne di formazione. Non pensiamo tanto al classico corso di aggiornamento “fatto in casa”, ma a quelle attività di accompagnamento, tutoraggio, studio, ricerca didattica in classe, documentazione, che possono trasformare l’aggiornamento in una più significativa attività di “formazione sul campo”, legata agli effettivi bisogni del contesto in cui si opera, riconoscendo l’impegno di quelle figure che animano la formazione nella propria scuola. Insomma, si auspica una formazione come ricerca-azione verificata e sostenuta per gruppi di docenti che desiderano impegnarsi ed essere aiutati nell’innovazione di metodi e pratiche.

E per i corsi di aggiornamento?

Agli ambiti territoriali resterebbe la progettazione e la gestione di quei corsi che non possono essere realizzati all’interno delle singole scuole (pensiamo a discipline apparentemente minori o di forte specializzazione, alla formazione di figure di supporto e moltiplicatrici di iniziative nelle scuole, ad eventi formativi emblematici e di forte impatto). Forse avremo meno corsi di ambito, ma saranno certamente più sentiti e richiesti. Infatti non si può pensare all’aggiornamento come a “folate” di incontri frontali per grandi numeri di docenti, quasi che a ciascuno debba essere somministrata una dose annua di farmaci formativi. La formazione personale, di proprio interesse, di gusto, con libertà di scelta, dovrebbe essere soddisfatta con la card (oggi troppo spesso dirottata su acquisto di attrezzature tecnologiche), partecipando alle molteplici iniziative di formazione “accreditate” e “qualificate” offerte dal sistema, pubblico e privato. L’attività formativa attestata dal sistema SOFIA (piattaforma che dovrebbe essere resa più “attraente”) dovrebbe di diritto entrare nel portfolio o curriculum professionale, per riconoscere l’impegno del docente per il proprio sviluppo professionale.

C’è stato un monitoraggio

La nota informa anche che nei mesi scorsi è stato realizzato, a cura di INDIRE in collaborazione con gli Staff degli USR, un monitoraggio “qualitativo” sull’andamento del Piano triennale di formazione e che gli esiti di questa ricerca saranno alla base della re-impostazione del nuovo Piano. Gli esiti del monitoraggio, non ancora reso pubblico, saranno a breve messi a disposizione delle conferenze di servizio dei dirigenti (o comunque di incontri tematizzati sulla formazione) che dovranno essere convocati nei prossimi giorni in ogni territorio, se non altro per individuare le scuole capofila e per procedere ad un bilancio accurato di quanto si è realizzato in questi anni. A tal fine saranno utili anche gli esiti di monitoraggi regionali e locali. Non basterà certo fare la graduatoria degli argomenti più gettonati e dei “desiderata” dei docenti (che spesso si dirigono verso la didattica per competenze o le metodologie innovative), ma occorrerà entrare nel merito del “senso” della formazione, del rilievo che essa può assumere nella vita professionale dei docenti, delle molte forme in cui essa si articola. Ci sentiamo, in questa sede, di spenderci a favore delle metodologie operative, delle iniziative di tutoraggio-accompagnamento prolungato, del visiting (come immersione outdoor in realtà scolastiche diverse e stimolanti).

L’impressione è che il rinnovamento delle metodologie formative sia ancora limitato. Certamente, dal monitoraggio emergerà una forte richiesta di semplificazione amministrativa, perché i tempi di assegnazione (annuale) delle risorse, i vincoli per la rendicontazione, le difficoltà a reperire validi formatori, l’esiguità delle cifre in gioco, sono tutti elementi che mettono a rischio la qualità della formazione (e, a volte, la stessa possibilità di realizzarla). Il repertorio dei problemi è ancora quello registrato dal MIUR nella nota 9684 del 6 marzo 2017.

Obbligo sì, obbligo no

Fin qui la nota del MIUR. Più oltre non poteva spingersi, ma certamente ci sono delle domande impellenti a cui sarà necessario dare risposte. Una fra tutte riguarda la collocazione contrattuale della formazione in servizio.

Mentre le leggi (TU/1994, Legge 107/2015) sono molto chiare sul dovere della formazione, il contratto di lavoro è assai evasivo. Qualche pronuncia giurisprudenziale (buffo andare in tribunale per il proprio aggiornamento!) richiede di conteggiare con più certezza la formazione permanente tra i propri obblighi di servizio. Il fatto è che la formula delle 40 ore + 40, aggiuntive all’insegnamento, ormai è una coperta troppo corta (e il CCNL non colloca paradossalmente la formazione tra gli impegni di servizio). Nel frattempo il lavoro del docente è cambiato e non si concretizza solo in classe; curare la propria formazione rappresenta un impegno permanente e qualificante.

Necessità di una visione strategica

Fare formazione deve essere una attività gratificante e conveniente, che produce benefici documentati nel proprio curriculum. Le forme possono essere diverse, ma ormai si parla apertamente di standard professionali, di teacher expert, di nuove figure professionali, finanche di carriere[1]. Se ne dovrà discutere a livello nazionale contrattuale, ma il problema non potrà essere accantonato ripetendo stancamente che non ci sono risorse e che tutto dipende dal collegio dei docenti e dalla sua delibera in merito. Sappiamo che la formazione va inserita nel PTOF, che a tal fine è necessaria una specifica indicazione del dirigente scolastico, perché tra le sue responsabilità c’è anche quella – prioritaria – di curare le risorse professionali all’interno del proprio istituto. E lo stesso Contratto di Lavoro, ad ogni buon conto, prevede che a livello di istituto sia definito un Piano delle Azioni Formative.

[1] Questi temi strategici sono stati alla base dei lavori di tre gruppi di studio operanti presso il MIUR e istituiti con Decreto 941 del 21 settembre 2017. I documenti conclusivi sono disponibili in rete, nel sito del MIUR: https://www.miur.gov.it/web/guest/-/sviluppo-professionale-e-qualita-della-formazione-in-servizio-documenti-di-lavoro e sono stati pubblicati e commentati nel n. 16/2017-18 di Notizie della Scuola, Tecnodid, 26 aprile 2018: “Sviluppo professionale e qualità della formazione”.