Pochi laureati e inflazione di titoli umanistici
È stato pubblicato lo scorso 10 settembre l’autorevole rapporto annuale dell’OCSE
“Education at a glance 2019”, uno sguardo sullo stato dell’istruzione nel mondo corredato dalle schede nazionali dei paesi membri e di una serie di paesi partner.
La tematica principale, quest’anno, si focalizza sull’istruzione terziaria sia universitaria sia professionalizzante non universitaria.
Sin da subito lo “sguardo” sul nostro Paese fa registrare un aumento per le generazioni più giovani del conseguimento del titolo di studio dell’istruzione terziaria.
E mentre gli adulti con un titolo di studio di istruzione terziaria in alcuni degli ambiti relativi a scienze, tecnologia, ingegneria e matematica (note con l’acronimo STEM) registrano tassi di occupazione prossimi alla media OCSE, il tasso d’impiego degli adulti con un’istruzione terziaria nel campo delle discipline artistiche e umanistiche è relativamente basso, anche se queste restano tra le discipline più popolari.
L’istruzione e la formazione tecnica e professionale (TVET)
L’istruzione e la formazione tecnica e professionale (nota come TVET) è un percorso alternativo per l’ingresso nel mondo del lavoro: i giovani adulti (25-34enni) che hanno raggiunto un livello d’istruzione secondario o post-secondario non terziario professionale hanno prospettive d’impiego simili ai giovani che hanno ottenuto un titolo di studio terziario.
Il vantaggio occupazionale dei giovani adulti con istruzione terziaria rispetto a quelli con istruzione secondaria è rimasto abbastanza costante negli ultimi dieci anni. Gli adulti con istruzione terziaria sono più resilienti contro la disoccupazione di lunga durata e, nel 2018, il loro tasso di occupazione era di 9 punti percentuali superiore a quello degli adulti con istruzione secondaria superiore.
Tuttavia, gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) sono ancora relativamente nuovi in Italia: solo l’1,7% delle matricole iscritte per la prima volta nel 2017 (il 2,7% degli uomini iscritti per la prima volta) si è iscritto a un ITS. Le istituzioni italiane, però, stanno fortemente promuovendo questi percorsi professionali a livello terziario per facilitare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
In Italia, l’istruzione e la formazione tecnica professionale (TVET) rappresenta una vera alternativa ai programmi secondari superiori di indirizzo generale, poiché a differenza di molti Paesi, l’età media di conseguimento del diploma è relativamente simile tra la scuola secondaria superiore di indirizzo generale (18) e i programmi di indirizzo tecnico-professionale (19).
Nel 2017, in Italia la maggior parte degli studenti della scuola secondaria superiore (55%) era iscritta negli istituti di indirizzo TVET e tale quota era anche più elevata per gli studenti maschi, con un rapporto di 2 studenti su 3 iscritti negli istituti tecnici o professionali.
Un triste primato: Italia terza per NEET
L’Italia registra la terza quota più elevata di giovani che non lavora, non studia e non frequenta un corso di formazione (NEET) tra i Paesi dell’OCSE: il 26% dei giovani di età compresa tra 18 e 24 anni è NEET, rispetto alla media OCSE del 14%.
Sebbene il livello d’istruzione sia più alto tra le donne, il tasso di giovani NEET aumenta fino al 37% per le donne di età compresa tra i 25 e i 29 anni e scende al 26% per gli uomini della stessa coorte.
Il gruppo NEET comprende sia i giovani inattivi (che non cercano lavoro in modo attivo) sia i disoccupati. L’Italia e la Colombia sono gli unici due Paesi dell’OCSE con tassi superiori al 10% per le due categorie (inattivi e disoccupati) tra i 18-24enni. Inoltre, la Grecia e l’Italia sono gli unici Paesi in cui più della metà dei 18-24enni è rimasta senza lavoro almeno per un anno.
Tab. 1 – Percentuale di NEET tra i 25-29enni, per livello d’istruzione (2018)
La spesa per studente aumenta, ma meno rapidamente rispetto ad altri Paesi dell’OCSE
L’Italia spende circa il 3,6% del suo PIL per l’istruzione dalla scuola primaria all’università, una quota inferiore alla media OCSE del 5% e uno dei livelli più bassi di spesa tra i Paesi dell’OCSE. La spesa per studente spazia da circa 8000 dollari statunitensi nell’istruzione primaria (94% della media OCSE) a 9200 dollari statunitensi nell’istruzione secondaria (92% della media OCSE) e 11600 dollari statunitensi nei corsi di studio terziari (74% della media OCSE).
Sebbene la spesa per studente aumenti ai livelli superiori di istruzione, il divario rispetto alla media OCSE diventa più ampio in quanto la spesa per l’istruzione aumenta di più in altri Paesi dell’OCSE.
Il tasso di piena scolarizzazione è già raggiunto a tre anni nella scuola dell’infanzia
Un altro dato che emerge a “colpo d’occhio” è che tutti i giovani di età compresa tra i 6 e i 14 anni sono scolarizzati in Italia. La piena scolarizzazione (con tassi di scolarizzazione superiori al 90%) inizia prima in Italia, all’età di 3 anni, con un tasso di scolarizzazione del 94% tra i bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni, rispetto all’87% in media nei Paesi dell’OCSE.
In Italia, l’istruzione pre-primaria è erogata principalmente dal settore pubblico. Solo il 28% dei bambini è iscritto in scuole private (media OCSE: 34%), mentre il 72% rimanente frequenta istituti pubblici.
Nelle scuole dell’infanzia il numero di bambini per insegnante si attesta a 12 [effetto del doppio organico per ogni sezione, ndr], rispetto alla media OCSE di 15.
A questo livello d’istruzione la spesa complessiva è stata pari allo 0,5% del prodotto interno lordo (PIL) nel 2016. La spesa privata è stata pari al 12% del totale delle risorse finanziarie a questo livello, mentre l’88% residuo è stato finanziato da fonti pubbliche.
Insomma, nonostante la non obbligatorietà della nostra scuola dell’infanzia, la partecipazione a questo segmento educativo è praticamente universale, con il 72% di bambini che frequentano la scuola pubblica e il resto iscritti nelle scuole private (in larga parte paritarie).
Il corpo docente in Italia è il più anziano tra i Paesi OCSE
Il corpo docente in Italia è il più anziano tra i Paesi dell’OCSE, con la quota maggiore di docenti ultra 50enni. Sebbene questo rapporto sia notevolmente diminuito nella scuola primaria e secondaria, dal 64% nel 2015 al 59% nel 2017 a seguito delle recenti campagne di assunzioni, l’Italia dovrà sostituire circa la metà degli attuali docenti entro i prossimi dieci anni.