Sul filo di lana, il correttivo sull’inclusione
Nell’ultima seduta prima della crisi di governo, il 31 luglio 2019, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo contenente le “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107”. Il decreto, 7 agosto 2019, n. 96, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 agosto 2019, n. 201, ed entrerà in vigore il 12 settembre prossimo.
Sono molti gli aspetti che, nelle prossime settimane e nei mesi a venire, dovranno essere approfonditi per meglio comprendere e commentare la portata delle modificazioni introdotte e per giungere all’adozione dei quattordici provvedimenti attuativi che dovranno essere adottati; alcuni di questi in tempi brevissimi, altri senza un termine definito.
I due provvedimenti attuativi sull’assistenza specialistica
Due provvedimenti, in particolare, vedranno al centro una questione che, da anni, richiede di essere meglio chiarita e definita: si tratta della “assistenza per l’autonomia e la comunicazione”, in relazione alla quale il decreto prevede sia la stipula di un intesa sui profili professionali del personale destinato a tale servizio (con l’auspicio di raggiungere una progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale) sia la definizione di un accordo volto a definire le modalità e le sedi per l’individuazione e la definizione del fabbisogno (contenente anche la definizione degli standard qualitativi di tutti i servizi di supporto di competenza degli enti territoriali).
Le differenze sul territorio nazionale sono enormi e la conclusione di questi accordi sarà un lavoro non facile. Tra gli altri possibili, si dovrà evitare l’errore di incoraggiare il sorgere, o il consolidarsi, di “luoghi sicuri” che, come ben sappiamo, producono solo solitudine, tenendo presente che l’inclusione, prima nella scuola e poi nella società, è un cammino che esige cambiamenti collettivi e che tutto quello che isola forzatamente la persona dal micro contesto sociale e culturale in cui è inserita costituisce ostacolo alla sua realizzazione. Rifuggire, insomma, da quella che Andrea Canevaro definisce “la rassicurazione benevola che mette da parte qualcuno per sviluppare una solidarietà tale da non creare nessun cambiamento sociale”.
In questo orizzonte e con questo spirito, si deve analizzare anche il tema delle competenze degli enti territoriali (Regioni, Province e Comuni), a supporto dell’inclusione scolastica delle persone con disabilità, iniziando da un’attenta disamina dell’evoluzione normativa che ha interessato la questione specifica.
L’evoluzione normativa in materia di assistenza educativa
La formulazione “assistenza per l’autonomia e la comunicazione” appare per la prima volta nell’art. 13, comma 3, Legge 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. Il comma recita testualmente: “Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l’obbligo per gli enti locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati”.
Il D.P.R. 616/1977, nel trasferire agli enti locali le funzioni amministrative relative alla materia “assistenza scolastica”, all’art. 42, utilizzava la seguente formulazione: “le funzioni suddette concernono tra l’altro: gli interventi di assistenza medico-psichica; l’assistenza ai minorati psico-fisici” e, all’art. 45, aggiungeva che “le funzioni amministrative indicate nell’art. 42 sono attribuite ai comuni che le svolgono secondo le modalità previste dalla legge regionale” e che “I patronati scolastici sono soppressi e le funzioni di assistenza scolastica, i servizi ed i beni sono attribuiti ai comuni”.
La normativa inerente i soppressi patronati scolastici prevedeva, all’art. 1 della legge 4 marzo 1958, n. 261, che gli stessi dovessero “provvedere all’assistenza degli alunni bisognosi frequentanti la scuola nell’adempimento dell’obbligo scolastico” e tale assistenza, all’art. 71 della legge 4 giugno 1911 n. 487, era definita come “istituzione della refezione scolastica, concessione di sussidi per vesti e calzature, distribuzione di libri, quaderni ed altri oggetti scolastici”.
Con le formulazioni “interventi di assistenza medico-psichica” e “assistenza ai minorati psico-fisici”, utilizzate nel D.P.R. 616/1977, ci si riferiva, invece e prevalentemente, alle funzioni svolte dai “medici condotti” che, alle dipendenze dei comuni, fornivano assistenza gratuita ai cittadini poveri e in condizione di bisogno.
Con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, la figura del “medico condotto” fu definitivamente superata e l’art. 2, comma 2, lett. e), stabilì che “la promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attuazione dei servizi medico-scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati” fosse perseguita, per tutti i cittadini, da tale Servizio.
Le normative regionali e le diverse declinazioni dell’assistenza
Le normative regionali, che seguirono tali importanti provvedimenti, meglio specificarono in merito. Una per tutte, la legge regionale Emilia Romagna 25 gennaio 1983, n. 6, che, all’art. 6, disponeva: “Gli interventi di assistenza sociale e medico psichiatrica e di assistenza ai minorati psico-fisici, nell’ambito delle istituzioni scolastiche e formative, sono attuati dalle Unità sanitarie locali di competenza”.
Già da questa sintetica ricostruzione, ben si comprende che “l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione”, oltre agli interventi di tipo sanitario, oggi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, riguarda altre tipologie di prestazioni a supporto della frequenza scolastica degli alunni con disabilità.
Si tratta dell’assistenza degli alunni per la migliore fruizione della struttura scolastica, compreso l’ausilio materiale per l’accesso dalle aree esterne, e dell’assistenza nel momento del pasto, nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale, all’epoca di competenza del personale ausiliario comunale, in servizio nelle scuole statali e il cui mansionario, stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347, prevedeva espressamente che le “funzioni di collaborazione comprendono anche quelle inerenti la presenza, nei vari servizi scolastici e/o socio-assistenziali, di soggetti portatori di handicaps”; oltre a ciò si tratta di interventi per lo sviluppo delle abilità di autonomia e comunicazione e cioè di interventi specialistici per migliorare le possibilità di inclusione degli alunni con “handicap fisici o sensoriali”, quest’ultima tipologia storicamente di competenza, per tutti gli ordini e gradi di scuola, delle Province (art. 144, Regio decreto 3 marzo 1934, n. 383; art. 14, legge 8 giugno 1990, n. 142; art. 3, comma 5, decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9) e poi in carico alle Regioni, ove le leggi regionali non abbiano disposto in modo diverso, ai sensi dell’articolo 1, della legge 7 aprile 2014, n. 56.
Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, chiarisce, all’art. 139, comma 1, lettera c), che “i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio” sono attribuiti “alle province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola”. Consolidata giurisprudenza specificherà, negli anni successivi che l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione rientra tra i “servizi di supporto” e che, anche per essa, vale la ripartizione indicata dal decreto legislativo.
I problemi dopo il passaggio del personale ATA allo Stato
La legge 3 maggio 1999, n. 124, art. 8, stabilisce che “il personale ausiliario, tecnico e amministrativo dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili”.
Il protocollo d’intesa sulle cosiddette “funzioni miste” sottoscritto il 12 settembre 2000 tra il Ministero dell’Istruzione, le Associazioni degli enti locali e tutte le sigle sindacali, prevede, all’art. 2, lett. B, intitolata “Assistenza agli alunni disabili”, che “L’attività di assistenza ai disabili, di competenza della Scuola, è assicurata dal personale ausiliario delle scuole, nei limiti di quanto previsto dal CCNL – comparto Scuola – art.31 – tab. A – Profilo A2: collaboratore scolastico. Restano invece nella competenza dell’Ente Locale quei compiti di assistenza specialistica ai disabili da svolgersi con personale qualificato sia all’interno che all’esterno all’Istituzione scolastica”.
La circolare 30 novembre 2001, n. 3390, con estrema chiarezza, spiega come, dopo il passaggio allo Stato del personale ausiliario, l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione si debba intendere come suddivisa in due segmenti: la “assistenza di base” e la “assistenza specialistica”.
La circolare 3390/2001 chiarisce che “l’assistenza di base agli alunni disabili è parte fondamentale del processo di integrazione scolastica e la sua concreta attuazione contribuisce a realizzare il diritto allo studio costituzionalmente garantito” specificando che “l’assistenza di base, di competenza della scuola, va intesa come il primo segmento della più articolata assistenza all’autonomia e alla comunicazione personale prevista dall’art.13, comma 3, della legge 104/92” e citando, a titolo esemplificativo, le attività di “ausilio materiale agli alunni portatori di handicap nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche e nell’uscita da esse, in cui è ricompreso lo spostamento nei locali della scuola” (definendole “mansioni proprie del profilo di tutti i collaboratori scolastici”) e le attività di “ausilio materiale agli alunni portatori di handicap per esigenze di particolare disagio e le attività di cura alla persona ed ausilio materiale nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale dell’alunno disabile” (definendole, secondo il CCNL allora vigente, “mansioni rientranti tra le funzioni aggiuntive”).
La stessa circolare 3390/2001, infine, specifica che “rimane all’Ente Locale il compito di fornire l’assistenza specialistica da svolgersi con personale qualificato sia all’interno che all’esterno della scuola, (Protocollo d’Intesa del 13/9/2001) come secondo segmento della più articolata assistenza all’autonomia e alla comunicazione personale prevista dall’art. 13, comma 3, della Legge 104/92, a carico degli stessi enti. Si tratta di figure quali, a puro titolo esemplificativo, l’educatore professionale, l’assistente educativo, il traduttore del linguaggio dei segni o il personale paramedico e psico-sociale (proveniente dalle ASL), che svolgono assistenza specialistica nei casi di particolari deficit”, aggiungendo che “nulla esclude che tale servizio potrà essere assicurato anche attraverso convenzioni con le istituzioni scolastiche e conseguente congruo trasferimento delle risorse alla scuola, avvalendosi di personale interno (previa acquisizione della disponibilità) o esterno, nella logica degli accordi di programma territoriali previsti dalla Legge 104/92”.
Dalla legge 328/2000 (Legge quadro) al D.Lgs. 66/2017 (decreto inclusione)
La legge 8 novembre 2000, n. 328, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, art. 14, stabilisce che “Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell’àmbito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale” che ricomprende “le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, il piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale”. Si tratta, evidentemente, di un grande passo in avanti per l’inclusione delle persone disabili. Lo stesso percorso scolastico è, quindi, un tratto di un cammino più ampio che mira alla realizzazione della piena integrazione, che riguarda l’intera vita della persona.
Il parere del Consiglio di Stato 20 febbraio 2008, n. 213, espresso su richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, definisce alcuni conflitti di competenze che si erano creati negli anni e stabilisce, trattando del trasporto scolastico, che per i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio frequentanti le scuole del secondo ciclo, in attesa che le regioni provvedano a definire le competenze, “conformemente agli orientamenti giurisprudenziali determinatisi, la competenza è delle Province”.
La legge 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 947, stabilisce che “ai fini del completamento del processo di riordino delle funzioni delle province, di cui all’articolo 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n. 56, le funzioni relative all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità fisiche o sensoriali, di cui all’articolo 13, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e relative alle esigenze di cui all’articolo 139, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono attribuite alle regioni a decorrere dal 1º gennaio 2016, fatte salve le disposizioni legislative regionali che alla predetta data già prevedono l’attribuzione delle predette funzioni alle province, alle città metropolitane o ai comuni, anche in forma associata” specificando che “Per l’esercizio delle predette funzioni è attribuito un contributo di 70 milioni di euro per l’anno 2016”; budget poi incrementato fino 100 milioni di euro l’anno dalla legge 30 dicembre 2018, art. 1, comma 561.
La sentenza della Corte di Cassazione 30 maggio 2016, n. 22.786, occupandosi dell’ “assistenza di base” ha sancito che il collaboratore scolastico che si rifiuti di occuparsi dell’igiene personale di un alunno disabile è punibile per rifiuto di atti d’ufficio e che inoltre debba risarcire, per i danni causati, la parte civile, anche se non ha mai ricevuto, per tale mansione, né una formazione specifica né un compenso a ciò finalizzato. La difesa ha sostenuto che non può essere ritenuto “incaricato di pubblico servizio” un dipendente in possesso di “una qualifica che comporta unicamente mansioni di natura materiale”, ma il giudice ha ribattuto che il personale in questione “svolge anche mansioni di vigilanza, sorveglianza degli alunni, guardiania e custodia dei locali, nonché assistenza personale agli alunni con disabilità, che non si esauriscono nell’espletamento di un lavoro meramente materiale, ma che, implicando conoscenza e applicazione delle relative normative scolastiche, sia pure a livello esecutivo, presentano aspetti collaborativi, complementari e integrativi di funzioni pubbliche” e che, di conseguenza, “nei limiti di queste incombenze compete a tali figuri professionali la qualifica di incaricati di un pubblico servizio”.
Il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107”, opera una ricognizione delle competenze dei vari soggetti in relazione all’inclusione scolastica e chiarisce meglio, rispetto ai precedenti provvedimenti normativi, le competenze delle istituzioni scolastiche rispetto all’assistenza di base e rende obbligatoria la partecipazione dei collaboratori scolastici alle iniziative formative loro dedicate, togliendo così l’ultimo, pur labile, pretesto per rivendicare la non esigibilità della mansione.
La sentenza Corte Costituzionale 20 febbraio 2019, n. 83, trattando il ricorso di una regione, riepiloga le competenze dei vari soggetti istituzionali nell’ambito dell’inclusione scolastica e ben illustra come l’attribuzione di competenze, da parte dello Stato, agli enti territoriali debba essere accompagnato da adeguati stanziamenti, concludendo che 100 milioni di euro annui, destinati ai servizi di supporto per gli alunni con disabilità frequentanti le scuole del secondo ciclo, possono soddisfare questo vincolo. Purtroppo, niente di analogo è mai avvenuto per gli alunni con disabilità frequentanti le scuole dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione…
Il correttivo del D.Lgs. 66/2017 e le due intese sull’assistenza specialistica
Si arriva così a oggi e al correttivo al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, che entrerà in vigore il prossimo 12 settembre (ove, naturalmente, siano adottati i principali provvedimenti attuativi indispensabili per l’effettiva applicazione della norma).
I due grandi compiti che attendono, nell’immediato, l’amministrazione scolastica e gli enti territoriali consistono nel prendere parte a:
– un’intesa con la quale siano individuati “i criteri per una progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione personale, ferme restando le diverse competenze dei collaboratori scolastici …, anche attraverso la previsione di specifici percorsi formativi propedeutici allo svolgimento dei compiti assegnati, nel rispetto comunque degli ambiti di competenza della contrattazione collettiva e nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 947, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e delle altre risorse al medesimo fine disponibili a legislazione vigente”.
– un accordo per individuare le “modalità attuative degli interventi e dei servizi di cui alle lettere a), b), c) del comma 5 [interventi necessari per garantire l’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione personale; i servizi per il trasporto per l’inclusione scolastica per l’inclusione scolastica; l’accessibilità e la fruibilità senso percettiva e comunicativa degli spazi e degli strumenti delle istituzioni scolastiche] ivi comprese le modalità e le sedi per l’individuazione e l’indicazione, nei limiti delle risorse disponibili, del fabbisogno di servizi, delle strutture e delle risorse professionali, nonché gli standard qualitativi relativi alle predette lettere”.
Per arrivare a definire questi due atti, i soggetti coinvolti dovranno chiarirsi bene le idee su cosa intendono per “assistenza per l’autonomia e la comunicazione”. E, tenendo presenti le competenze, in quest’ambito, delle istituzioni scolastiche (si vedano i profili vigenti dei collaboratori scolastici che all’area A prevedono l’assistenza di base e all’area As che prevedono lo svolgimento di “attività qualificata di assistenza all’handicap”), dovranno capire se le definizioni dei due segmenti di assistenza potranno essere riformulate come “assistenza educativa e specialistica per lo sviluppo dell’autonomia e della comunicazione“, rimasta nella competenza degli enti territoriali, e “assistenza materiale e di base per l’esercizio dell’autonomia e della comunicazione” trasferita allo Stato assieme al personale.
Se queste due definizioni sono accettabili e potranno essere di aiuto a fare chiarezza, ci si dovrà, allora, chiedere anche se il ruolo degli “assistenti specialistici” debba estendersi, nei casi di maggiore gravità e necessità, anche all’ausilio igienico e di base ordinariamente di competenza dei collaboratori scolastici, oppure se questa “collaborazione” con il personale ausiliario, nell’assistenza materiale, debba essere fornita da tutti gli adulti presenti nel momento della necessità, indipendentemente dai ruoli (e quindi, oltre che dagli assistenti, anche dagli insegnanti e dagli ausiliari) prevedendo che a tutti siano fornite le istruzioni e, ove necessaria, la formazione minima per intervenire.
La questione è di grande rilievo e per capire di cosa stiamo parlando, è sufficiente prendere atto che negli ultimi venti anni, da quando cioè il personale ATA è passato allo Stato e fino ad oggi, gli alunni certificati sono quasi triplicati, lo stesso aumento vi è stato per gli insegnanti di sostegno mentre, pur non essendoci dati precisi, si stima che gli assistenti specialistici siano decuplicati. In effetti, le problematiche seguite alla non esigibilità, nei primi anni del passaggio, di alcune mansioni da parte dei collaboratori scolastici, ha prodotto un’esplosione della domanda di tale personale che, come noto, è andato ben oltre alla “assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali” stabilita dalla legge 104/1992.
Nel definire l’intesa sui profili e l’accordo sui servizi, questo tema dovrà essere chiarito e, assieme ad esso, dovrà essere stabilito un ben definito percorso amministrativo che dovrà accompagnare la proposta, la risposta e la gestione nel procedimento relativo all’assegnazione delle ore di “assistenza specialistica” e degli altri servizi di competenza degli enti territoriali. Le domande sono: Chi, dove, come e quando avanza la domanda per i servizi? Chi, dove, come, entro quali termini, fornisce la risposta? Quali sono gli standard qualitativi di riferimento? E, soprattutto, cosa si potrà decidere, come indirizzo generale, a livello centrale e cosa dovrà essere rinviato agli accordi di programma a livello territoriale?