Puntualmente, l’annuale presentazione degli esiti delle prove INVALSI scatena le prime pagine dei giornali e gli opinionisti circa il pessimo stato di salute del nostro sistema scolastico (Cavadi, 145). Le evidenze sono note da tempo: persiste la differenza tra Nord e Sud, ma anche tra scuole e scuole, ed un’ampia quota di allievi si colloca su livelli inadeguato negli apprendimenti (le fasce 1 e 2 sulle 5 previste). Ora è spuntata anche l’emergenza “lingua inglese”. La conoscenza dei dati INVALSI, elaborati dall’istituto (Imperato, 144), dovrebbe consentire ad ogni istituzione scolastica (qui sta la ratio della rilevazione censuaria, cioè universale e non a campione) di procedere ad una rigorosa analisi dei propri punti di forza e di criticità (Paglialunga, 126), di incamminarsi sulle strade del miglioramento, di sperimentare prime forme di rendicontazione sociale (Paglialunga, 130).
I dati vengono aggiornati ormai in tempo reale (e non si tratta solo delle prove INVALSI) in modo che il RAV (Rapporto di Autovalutazione), vero e proprio cruscotto sul funzionamento della scuola, presenti una fotografia tempestiva e realistica dello stato di salute dell’istituto (Stancarone, 138). Nell’autunno 2019 sarà inoltre sperimentata l’adozione, per la prima volta, di forme di rendicontazione sociale, sulla base di un format digitale (non obbligatorio) messo a disposizione dal MIIUR.
Dunque la cultura della valutazione di sistema si sta consolidando e potrebbero essere le scuole stesse ad esigere la disponibilità dei dati valutativi per meglio regolare il proprio sviluppo (Davoli, 120). Questo, nonostante le ricorrenti tentazioni di ridimensionare il Sistema Nazionale di Valutazione, derubricando le rilevazioni degli apprendimenti ad una scelta facoltativa. Resta, comunque, il problema del “peso” da attribuire alle prove: regolazione complessiva del sistema o attestazione di competenze per i singoli allievi? Vedremo l’evoluzione del dibattito.