L’autonomia potenziata delle regioni
Le “bocce” non sono ancora ferme e l’accordo sul federalismo a geometria variabile (la cosiddetta autonomia “potenziata” richiesta da tre regioni, quali il Veneto, la Lombardia, l’Emilia-Romagna) sembra ancora lontano. Il tema della scuola è proprio uno dei più controversi e oggetto di accesi conflitti. Fino a che punto le singole regioni possono acquisire nuove competenze pesanti in materia di istruzione, senza mettere a repentaglio l’unitarietà del nostro sistema educativo nazionale e i diritti di base dei cittadini? Il rischio, infatti, è che il territorio di nascita possa determinare una diversa qualità del suo diritto all’istruzione.
E’ allora il caso di aprire il dibattito su questo tema e lo facciamo a partire dal modello Emilia-Romagna, cioè su una idea ragionevole di autonomia potenziata, per provare a valorizzare l’iniziativa di ogni regione, senza ledere il principio dell’uguaglianza delle opportunità educative. (g.c)
Un dibattito che viene dal 2001
La bagarre politica intorno alle autonomie regionali non è nuova, è andata in scena già nel 2001 quando fu varata la riforma del titolo quinto della Costituzione e soprattutto in relazione al trasferimento della gestione del sistema di istruzione. L’art. 117 infatti era in continuità con il decentramento delle competenze alle autonomie scolastiche e territoriali, ma mentre nei settori della sanità e del welfare furono compiuti sforzi in tal senso fino ad arrivare alla determinazione dei livelli essenziali dell’assistenza, nell’istruzione non fu possibile applicare il predetto articolo per la ferma e persistente opposizione del ministero competente, nonostante un tentativo della conferenza delle regioni andato a vuoto. Anche allora ci fu un referendum popolare che approvò tale riforma.
In questi anni abbiamo visto cosa è successo: decentramento incompleto, autonomia delle scuole più dichiarata che agita, nessun passo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni; governo del sistema debole sul versante della parte politica e forte contrasto in quella sindacal-burocratica.
Nostalgia di centralismo?
Da parte statale nulla fu tentato per attuare la Costituzione, così come rimane ancora da applicare quella del 1948 nel settore della scuola, ma l’art. 116 lasciava aperta l’iniziativa alle regioni ed alcune di loro l’hanno colta, supportate da altrettanti pronunciamenti popolari o istituzionali. Ma arrivati al momento dell’intervento decisivo del governo nazionale di nuovo scendono in campo più o meno le stesse forze ad ostacolare il percorso, la cui responsabilità è facile addossare alla litigiosità di questa confusa maggioranza politica. La Lega portatasi al sud sembra attenuare la foga di completare l’operazione, i 5S non osano contrapporsi alla volontà popolare dei referendum ma frenano senza una ragione spiegata nel merito ed anche il PD sembra aver perso di vista il governo degli enti locali per il quale si è sempre battuto. Da queste incertezze prende corpo il partito del centralismo che già in passato aveva contribuito a creare scompiglio evitando un esame approfondito nel merito delle questioni.
In attesa delle decisioni del Governo
Tre regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna avanzano una proposta, ma non poche altre hanno assunto deliberazioni in tal senso e tutte hanno inserito il comparto istruzione nelle loro richieste. Allora non si può dire che si tratti di pressioni soltanto politiche, visti gli spazi giuridici ed i percorsi partecipativi avviati, che completerebbero quello che si era iniziato con le leggi Bassanini ed i successivi provvedimenti sul federalismo fiscale e proseguito con la regolamentazione dei settori dell’istruzione e formazione professionale e dei servizi per l’infanzia.
Siamo dunque in attesa del pronunciamento del governo per quanto riguarda gli accordi con le singole regioni: una risposta la devono dare anche se poi va portata all’approvazione del Parlamento. Si tratta qui di chiarire i passaggi essenziali per evitare che la bagarre appunto sovrasti la necessità che i cittadini e non solo il personale o i loro sindacati hanno di capire le posizioni in campo.
Tre regioni in movimento e la diversità delle proposte
Le tre regioni che meglio hanno articolato la proposta fanno aprire due scenari diversi: Lombardia e Veneto, seguiti a ruota dal Friuli VG, tendono ad imitare le regioni a statuto speciale: Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, che molto assomigliano ai Lander tedeschi, dove cioè le competenze statali passano alle regioni salvo il recepimento nella loro legislazione dell’ordinamento nazionale. Queste vogliono trasferire anche gli uffici dell’amministrazione scolastica, mentre l’Emilia Romagna ricerca un accordo con l’USR, intervenendo però nella definizione degli organici.
Nel primo caso si può parlare di scuola regionale, mentre nel secondo di accordi Stato-regione per l’efficientamento del sistema affinché meglio aderisca alle esigenze del territorio e del mondo del lavoro. Fermo restando però che l’autonomia scolastica ha valenza costituzionale e quindi non si potrà passare da un centralismo nazionale ad uno regionale.
“…fatta salva l’autonomia delle scuole…”
Se la strada è quella dell’autonomia differenziata per tutte allora si potrebbe pensare ad una nuova legge costituzionale con l’istituzione di una camera delle autonomie, il nostro Bundesrat, ma forse occorrerebbe un’azione politica più pacata e disciplinata; per ora si può partire dal basso, in un’ottica di sussidiarietà orizzontale per quanto riguarda i rapporti tra sistema formativo e realtà territoriali e verticale circa il ruolo dello stato proprio per evitare fughe in avanti o eccessivi ritardi.
E’ chiaro che le intese Stato-regioni dovranno riguardare l’ordinamento degli studi, lo status del personale e la valutazione del sistema, senza escludere un reclutamento su base regionale ed un eventuale salario aggiuntivo, contrattato con i sindacati. C’è da notare inoltre che già oggi per effetto del decreto sull’autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, il curricolo è flessibile, sia per l’introduzione di altre discipline, sia per l’attenzione che si vuole porre alle realtà culturali dei vari territori, sia per gli accordi che possono intercorrere con altre agenzie formative nel campo della formazione professionale. Con la legge 53/2003 una parte del piano di studi può contenere proposte redatte dalla regione stessa.
I livelli essenziali e la garanzia delle risorse
Il finanziamento statale per ora sarà uguale per tutti, sulla base della spesa storica, in vista del calcolo del fabbisogno standard che potrà far partecipare le regioni al dividendo della fiscalità generale in base alla crescita del rispettivo PIL, senza dimenticare però che l’art. 119 della Costituzione prevede un fondo perequativo per quelle regioni che hanno scarsa capacità fiscale.
Per quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni, certo si possono ricercare responsabilità nel passato, ma sarebbe già possibile prenderli ad esempio dalla suddetta legge sul federalismo fiscale, in relazione alle funzioni fondamentali indicate per gli enti territoriali, da far adottare dalla legislazione regionale; i livelli saranno condivisi nelle conferenze tra lo stato e le regioni sull’azione amministrativa, nonché nell’apposita commissione parlamentare.
L’introduzione del costo standard, nell’ottica delle autonomie territoriali, potrebbe portare a soluzione anche il finanziamento delle scuole paritarie, per passare dalla scuola di stato al sistema nazionale di educazione, istruzione e formazione (L. 62/2000).
Un monitoraggio sull’erogazione delle prestazioni ed un controllo di gestione, la valutazione dell’efficacia e dell’equità con riferimento a rilevazioni nazionali e internazionali, sono utili per arrivare fino alla revisione dei livelli medesimi in rapporto all’evoluzione culturale, sociale ed economica del Paese.
Una tavola di sintesi (con riferimento all’Emilia-Romagna)
Fase formativa | Parte generale | Normativa | Competenze regionali | Governance | Competenze delegate | Autonomia differenziata |
---|---|---|---|---|---|---|
0-6 anni | D lgs 65/2017 L r 19/2016 | Competenza esclusiva (0-3) Competenza concorrente (3-6) | Sistema integrato (Enti Locali-paritario) | |||
6-14 anni | D lgs 112/1998 Dpr254/2012 Lr 12/2003 | Competenza concorrente | Istituti comprensivi Aree interne (salvo autonomie scolastiche) | Programmazione rete scolastica | Programmazione organici del personale | |
14-16 anni | D lgs 112/1998 Dm 139/2007 L r 12/2003 Lr 5/2011 | Competenza concorrente | Sistema integrato i/fp (salvo autonomie scolastiche) | Programmazione rete scolastica | Programmazione organici del personale | |
Art. 117 Cost. L 144/1999 L r 12/2003 | Competenza esclusiva | Accreditamento istituto professionali Doppio canale | ||||
16- 18 anni | D lgs 112/1998 Dm 76/2005 D m 88/2010 D m 89/2010 D m 92/2018 L r 12/2003 | Competenza concorrente | (salvo autonomie scolastiche) | Programmazione rete | Programmazione organici del personale.
Supporto all’istr.tecnica | |
Formazione superiore | L 144/1999 D lgs 81/2015 Delibera Regione 775/2011 | Competenza esclusiva | Rete politecnica (salvo autonomie universitarie) | Programmazione organici, raccordi con le imprese. Politiche regionali | ||
Formazione adulti Apprendimento permanente | D lgs 112/1998 Dpr 263/2012 L 92/2012 L r 12/2003 | Competenza concorrente | Università popolari (salvo autonomia cpia) Raccordi con terzo settore | Programmazione rete | Programmazione organici del personale | |
Edilizia scola-stica | L 107/2015 L r 13/2015 | Competenza esclusiva | Piano triennale | Accordo risorse | ||
Diritto allo studio permanente | Dpr 616/1977 L r 26/2001 | Competenza esclusiva | Accordo risorse |
Note: L r (Legge regionale). Negli altri casi il riferimento è alle fonti normative statali