Un preside H24: sempre connesso?
Sono sei anni che mi ritrovo una reggenza, nonostante sia responsabile di un grande Liceo, con a settembre 93 classi e 2330 studenti, in tre sedi a Bassano del Grappa.
La ministra Bongiorno non lo sa, vista l’infelice decisione del controllo biometrico, quasi a dire che, sparando nel mucchio, prima o poi qualche pollo di preside che non si comporta bene riuscirà a catturarlo.
La ministra Bongiorno non ha neppure l’idea di come sia possibile, con una scuola così grande, articolata, complessa, seguire anche un’altra scuola superiore.
E sono già sei anni.
Prima per tre anni reggente in un liceo artistico sotto-dimensionato, poi per un biennio in un istituto agrario, infine, quest’anno, in un itis con 47 classi e 1100 studenti.
Come sia possibile è difficile solo descriverlo, per chi il preside l’ha fatto anni orsono.
Potenza della tecnologia, mi verrebbe da dire.
Perché con il cellulare ed il tablet, di fatto, si è sempre collegati con tutti, e, purtroppo, sempre necessariamente disponibili.
Per senso di responsabilità
Ho fatto la scelta, in questi anni, di dichiararmi disponibile alla reggenza per potere, in qualche modo, dirottare la scelta, senza lasciare all’Usr il compito dell’assegnazione d’ufficio.
Perché, è inutile che ce lo nascondiamo, immaginando il compito, in pieno agosto, da parte dei dirigenti degli uffici provinciali e regionali, di individuare chi sia in grado di offrire una qualche garanzia, un minimo di garanzia.
Perché poi conta, ed è purtroppo anche la nostra “malattia”, pensare sempre ai nostri ragazzi, ai tanti docenti in gamba, al personale DSGA, amministrativo ed ausiliario che danno garanzie di buon servizio.
Non ci nascondiamo, cioè, che ce ne sono di presidi che fanno fatica a gestire, a coordinare anche una sola scuola.
Ma credo non sia giusto confidare troppo nel senso di responsabilità dei soliti noti, tra i presidi.
Un limite cioè, ci dovrà pur essere, perché le emergenze sono sempre possibili, ma nessuno è salvatore della patria.
Come tenere le fila di una (due) scuole?
E non si deve dare nemmeno l’impressione che, quasi quasi, visto che ne gestiscono persino due di scuole, i presidi sono/sarebbero quasi superflui.
No, perché un preside non si limita, non può limitarsi, all’ordinario.
Si vede chiaramente, invece, se in una scuola vi è un dirigente che dà impulso, che crea gioco di squadra, che trasmette pensiero positivo, che diventa punto di riferimento per tutti.
Non nei termini, ovviamente, di un uomo solo al comando. Ci mancherebbe!
Se uno pensasse di essere o diventare l’uomo solo non potrebbe alla lunga reggere le sorti nemmeno di una singola scuola, pensiamoci se sia possibile, anche se in via straordinaria, che lo possa cioè fare per due scuole.
Qual è l’attitudine, il modo di essere di un preside in una scuola, quella che gli può consentire di tenere le fila anche di una seconda scuola?
Rispondo in modo secco.
La capacità di fare squadra, in una cornice nella quale, comunque, deve essere chiaro che, alla fine, una responsabilità di sistema non si può mai condividere sino in fondo, non si può delegare in tutto e per tutto.
La responsabilità è, cioè, responsabilità.
Esserci comunque: la scuola “vive” di relazioni
Per questa ragione, nelle scuole di reggenza la prima cosa che ho promosso è quello di costituire subito uno staff, con un appuntamento settimanale di due ore con tutte le figure di sistema: vicepresidi, funzioni strumentali, responsabili di sede, dsga, responsabili asl, pon, sistema qualità.
Ah, il sistema qualità: dovrebbe essere estesa a tutte le scuole, per rendere inter-soggettive le competenze in capo alle varie figure, scelte, comportamenti.
Oltre a questo momento comune, essenziale, è altrettanto importante che un preside nella scuola di reggenza, a seconda delle situazioni, ci sia almeno per un’ora al giorno, o due ore, se necessario.
Ogni giorno, cioè.
Per incontrare persone (genitori, studenti, docenti), per verificare i vari uffici, per entrare di sorpresa nelle classi.
Soprattutto per entrare di sorpresa nelle classi, farsi vedere, dialogare con tutti.
Il preside come suscitatore di coscienza, ai là dei ruoli.
Perché la scuola vive di relazioni, non è un mero luogo burocratico.
Il resto lo fanno poi le tecnologie, per garantire la comunicazione.
In capo poi al preside reggente devono restare i rapporti istituzionali, e quelli con la stampa.
Il preside, cioè, come interfaccia con gli enti locali e con le diverse espressioni del proprio comprensorio.
Le qualità del “buon” dirigente, reggente e non
Dispiace, invece, qui sottolineare che alcuni presidi reggenti hanno preso molto “sottogamba” il proprio compito. Tanto da garantire la propria presenza nella scuola di reggenza solo poche ore alla settimana.
Non è corretto comportarsi così, anche se le emergenze “reggenze” vanno avanti ormai da troppi anni.
Sappiamo di casi di scuole di reggenza sparse nel territorio e lontane da casa. In questi casi, se vi è senso della responsabilità ognuno saprà come muoversi, e con quali tempi.
Io resto convinto che, per rispetto dei nostri ragazzi e delle famiglie, noi non possiamo e non dobbiamo mai scaricare su di loro i limiti, le incapacità, l’incompetenza degli uffici scolastici centrali e periferici.
Giusto protestare sul serio, quando lo si intende fare, ma poi la responsabilità è responsabilità.
Freschezza, empatia, disponibilità, fiducia reciproca, precisa competenza, pensiero positivo: queste le caratteristiche di un compito straordinario che può e deve essere assunto da un dirigente a scuola.
Il problema è che nei profili che sottostanno ai bandi per dirigente scolastico queste qualità, invece, sembrano essere non prioritarie, non sono preselettive, per la scelta dei candidati.
Per cui, se uno è, diciamo così, un buon preside in una scuola, allenato alle relazioni e alle complessità, non avrà difficoltà ad estendere anche ad una seconda scuola queste sue qualità.
Chi è in difficoltà, cioè, in una seconda scuola, lo è, e lo dico per esperienza, anche in una sola, anche nella sua scuola di titolarità.
Il problema è che il Miur, con le reggenze, ha decisamente esagerato.
Non programmando per tempo la copertura delle sedi disponibili.
Responsabilità solo dei politici pro-tempore?
E la struttura ministeriale, pasticciona come nel caso della sentenza del TAR del concorso per i presidi, non ha niente da dire?
Ed un sistema terzo, finalmente, di valutazione della scuola? A quando?
Il problema oggi è l’eccezione si è preteso che diventi la regola, visto il grande numero di reggenze.
Non può, cioè, una disponibilità straordinaria essere usata ed abusata. Tanto che vi sono presidi persino con due reggenze. Un non-senso.
Il “reggente” nei momenti topici
Ma ritorniamo alla fenomenologia della reggenza.
È ovvio che, nella seconda scuola, il dirigente seguirà le attività ordinaria fidando e confidando delle e nelle figure di sistema, anzitutto dai vicepresidi al dsga.
Mi è capitato, ad esempio, di notare che alcuni colleghi, prima di indicare una opzione per una reggenza, hanno preso informazioni su queste figure di sistema.
Le quali sono fondamentali, tanto che, nei primi incontri, la mia prima preoccupazione, nell’indicare uno stile di responsabilità, è quello di garantire a loro una fiducia preventiva. L’importante è la correttezza reciproca, la trasparenza reciproca.
Nel senso che un errore in buona fede ci può sempre stare, ma la garanzia della fiducia deve rassicurare e garantire una certa autonomia. E, nel caso di dubbi od opzioni complicate, il cellulare è e rimane sempre aperto, disponibile.
Poi, un preside reggente deve garantire la propria presenza nei momenti topici, come gli organi collegiali, l’orientamento, la contrattazione, in alcuni dipartimenti problematici, col comitato genitori e studenti, con gli enti locali e le associazioni di categoria.
Tutti, cioè, devono capire e sentire che il preside c’è, anche se reggente.
Come lo devono capire chiaramente gli uffici interni, tanto che, quasi quotidianamente, la propria presenza, sempre supportata dal dsga, si deve vedere, notare, sentire.
Un preside, in poche parole, sì reggente, ma responsabile sino in fondo.
Poi, tutti i docenti devono sentire che il preside c’è, anche se non sempre si vede.
Tanto da avvertire che uno stile, delle priorità, presentate negli atti e negli organi collegiali, devono essere avvertite, per essere discusse, deliberate, e quindi applicate e verificate. Di contro al dominante pressappochismo, unito, oggi, ad un ceto minimalismo, camuffato dietro il mito della libertà di insegnamento.
Il ruolo dei dipartimenti disciplinari
Per fare un esempio, centrale è e deve essere il ruolo, oltre del collegio, dei dipartimenti disciplinari.
Centrali, in particolare, dal 2010, mentre mi è capitato di trovare scuole, in qualche parte d’Italia nelle quali i dipartimenti sono/sarebbero ancora delle libere opzioni non obbligatorie, mentre sono fondamentali per stabilire le programmazioni a partire dalle Indicazioni nazionali o Linee di indirizzo.
Come si fanno a costruire, per dirla tutta, le cattedre dei docenti?
Anzitutto, va ribadito in collegio il filo conduttore, anticipato in consiglio di istituto, cioè il criterio-base: la continuità didattica a chi è funzionale?
Ai docenti o agli studenti?
Chiarito il criterio-base non sarà poi difficile, con l’aiuto dei vicepresidi e, se il caso, dei capi dipartimento, costruire un piano cattedre che sia garanzia di equità tra e nei consigli di classe.
Un altro esempio.
Una volta analizzati gli atti della scuola, in particolare il Ptof, il manuale della qualità, il Rav ed il PdM, le prove invalsi, perché non fare in modo che la scuola sperimenti prove comuni tra classi parallele? Lasciando poi alla discrezionalità del preside la scelta di chi debba alla fine correggerle queste prove comuni, magari scambiando i docenti tra di loro.
Sono aspetti qualitativi che, senza troppa fatica, incidono nella prassi e nel modo di intendere la vita della scuola.
Dalla fenomenologia dell’emergenza alla filosofia della responsabilità
Un preside reggente può, nel poco tempo a disposizione, incidere nella nuova scuola? Può, in modo rispettoso, imporre uno stile di collaborazione? Può far intendere che un gioco di squadra è un bene comune? Può far riscoprire cosa voglia dire servizio pubblico, oltre la tradizionale autoreferenza?
Io credo di sì.
Basta volerlo, basta prendere sul serio le proprie responsabilità.
Nonostante tutto e tutti.
Nonostante le ignavie governative e ministeriali.
Come si può notare, una fenomenologia della reggenza che, piano piano, si scopre una filosofia della reggenza.