La situazione dell’Italia analizzata dall’UE
Lo scorso aprile il Governo italiano ha presentato il Programma nazionale di riforma 2019[1] e il Programma di stabilità 2019[2]. A distanza di circa due mesi, il 5 giugno, la Commissione Europea pubblica una relazione preparata a norma dell’articolo 126, paragrafo 3, TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea)[3], che costituisce la prima fase della procedura per i disavanzi eccessivi. Con essa è stata esaminata «la conformità dell’Italia nel 2018 al criterio del debito stabilito dal trattato, tenendo debitamente conto del contesto economico e di altri fattori significativi»[4].
I dati riportati nella relazione presentano una situazione ormai abbastanza nota ai più: «il disavanzo pubblico dell’Italia è sceso al 2,1% del PIL nel 2018 (dal 2,4% del 2017), mentre il debito è salito al 132,2% del PIL (rispetto al 131,4% del 2017), ossia al di sopra del valore di riferimento del 60% del PIL. Per il 2019 il programma di stabilità 2019 dell’Italia prevede che il rapporto debito/PIL continui ad aumentare solo leggermente salendo al 132,6%, prima di scendere (di 1,3 punti percentuali) al 131,3% nel 2020. Secondo le previsioni di primavera 2019 della Commissione, il rapporto debito/PIL dell’Italia aumenterà in modo più marcato, salendo al 133,7% nel 2019 e al 135,2% nel 2020 … omissis … la non conformità dell’Italia con il parametro per la riduzione del debito nel 2018 è un elemento che dimostra prima facie l’esistenza di un disavanzo eccessivo ai sensi del patto di stabilità e crescita. Inoltre, sulla base sia dei piani del governo che delle previsioni di primavera 2019 della Commissione, l’Italia non riuscirà a rispettare il parametro per la riduzione del debito né nel 2019 (scostamento rispettivamente del 5% e del 9% circa del PIL) né nel 2020 (scostamento rispettivamente del 4 ½% e del 9 ¼% circa del PIL)»[5].
Dalle 24 cartelle dell’attenta disamina da parte della Commissione UE emerge un quadro certamente poco confortante, con la certezza che «le persistenti debolezze strutturali continuano a pesare sul potenziale di crescita dell’Italia»[6].
Lo scotto che pagheranno le future generazioni
L’analisi effettuata dalla Commissione mette in evidenza che:
– il rapporto debito pubblico/PIL dell’Italia, pari al 132,2% nel 2018, è il secondo più alto dell’Unione e tra i più alti al mondo;
– l’elevato stock di debito pubblico priva l’Italia del margine di manovra fiscale necessario per stabilizzare la sua economia in caso di shock macroeconomici;
– i costi del servizio del debito assorbono un ammontare notevolmente maggiore di risorse pubbliche, a discapito della spesa produttiva del paese.
Tutto questo rappresenta un notevole “onere intergenerazionale”, poiché gli effetti più devastanti saranno risentiti dalle future generazioni di Italiani: sul loro tenore di vita si ripercuoteranno le conseguenze di un debito pubblico elevato, che rappresenta la maggiore debolezza dell’economia italiana[7].
D’altra parte, non può non far riflettere ciò che nel documento della Commissione UE viene sottolineato, laddove si fa presente che «la spesa per interessi dell’Italia nel 2018 è ammontata a circa 65 miliardi di EUR, pari al 3,7% del PIL, sostanzialmente la stessa quantità di risorse pubbliche destinate all’istruzione»[8].
Spese limitate per l’istruzione
È ormai un dato di fatto che l’attuale condizione dell’Italia, «nel braccio preventivo del patto di stabilità e crescita»[9] ed assoggettata alla regola del debito, avrà ulteriori ripercussioni negative sugli investimenti possibili a favore dell’istruzione.
D’altronde, nelle Raccomandazioni del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2019 dell’Italia, dello scorso 5 giugno, viene ribadito che «un elevato rapporto debito pubblico/PIL attorno al 132% del PIL implica che ingenti risorse devono essere destinate a coprire il servizio del debito, a scapito di voci aventi un maggiore effetto di stimolo della crescita, tra cui l’istruzione, l’innovazione e le infrastrutture»[10].
È noto che, rispetto ai grandi paesi dell’area OCSE, l’Italia spenda per l’istruzione molto meno, e la fotografia scattata nelle citate Raccomandazioni del Consiglio mette a nudo un paese che sta bruciando il suo futuro[11].
Già nella Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2018 – Italia[12], redatta dalla Commissione Europea, veniva ribadita una condizione del nostro Paese lontana dagli standard europei e «inerme di fronte alla costante emorragia del settore scolastico»[13], con investimenti per la spesa pubblica tra i più bassi dell’UE, sia come percentuale del PIL (3,9% nel 2016 rispetto alla media UE del 4,7%), sia come percentuale della spesa pubblica totale (7,9%, media UE 10,2%). E sarà una percentuale destinata a diminuire sempre di più, visto che – come avevamo sottolineato in un altro numero di questa rivista[14] – nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2019 è prevista una costante diminuzione nel tempo, fino ad arrivare alla soglia del 3,1% nel 2035.
Effetti degli insufficienti investimenti
Tra le conseguenze più evidenti di un mancato investimento, serio e capillare, per un sistema di istruzione e formazione di qualità, vi è la fuoriuscita precoce dal sistema istruttivo e formativo del nostro Paese di un numero sempre maggiore di giovani. Nella Relazione di monitoraggio del 2018 viene segnalato che abbandona precocemente gli studi e la formazione una percentuale di giovani, tra i 18 e i 24 anni, pari all’11,2% delle ragazze e al 16,6% dei ragazzi, a fronte della media UE che si assesta al 10,6%.
Molto esplicito è il grafico presentato nella Relazione della Commissione UE, con cui viene tratteggiato un quadro di sintesi comparativo della situazione italiana, prendendo in considerazione i principali indicatori chiave del sistema di istruzione e formazione, in riferimento alla strategia 2020:
Preoccupante è anche il tasso di occupazione dei giovani, segnalato sia tra i diplomati sia tra i laureati. È difatti un livello ancora molto basso rispetto alla media UE, e «la penuria di opportunità professionali – come viene sottolineato nel Rapporto Economico OCSE Italia 2019 – Nota di sintesi – spinge molti giovani a emigrare, aggravando il processo di già rapido invecchiamento della popolazione»[15].
Le debolezze del nostro sistema di istruzione e formazione
La situazione è seria e allarmante, e l’Europa non può fare a meno di richiamarci, ricordando che «gli investimenti nell’istruzione e nelle competenze sono fondamentali per promuovere una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile … Migliorare la qualità del sistema di istruzione e formazione rappresenta una sfida importante»[16].
L’analisi operata dal Consiglio UE è spietata: le principali debolezze del nostro sistema di istruzione e formazione sono descritte nei paragrafi 19 e 20 delle già menzionate Raccomandazioni del Consiglio. Emerge una situazione dell’Italia molto critica, aggravata da ampie differenze regionali e territoriali, in termini di esiti scolastici e di risorse e opportunità.
Ma ciò che maggiormente colpisce di tale disamina è l’aver interconnesso gli aspetti fondanti di un sistema istruttivo e formativo, poiché non si può non condividere il principio di base secondo cui gli esiti degli apprendimenti e dello sviluppo delle competenze di cittadinanza sono strettamente correlati alla qualità professionale degli insegnanti[17].
Da un lato, invero, si evidenzia che:
– gli studenti e adulti italiani sono scarsamente competenti, ottenendo risultati tra i peggiori dell’UE per quanto riguarda le competenze chiave e le competenze di base;
– anche la partecipazione degli adulti all’apprendimento risulta in calo, con un divario occupazionale tra lavoratori altamente qualificati e lavoratori scarsamente qualificati tra i più elevati dell’UE;
– il sistema di apprendistato, nonostante lo slancio degli ultimi anni, è stato ridimensionato dalle ultime misure adottate;
– bisogna ancora investire per migliorare i livelli delle competenze digitali.
Dall’altro lato, viene messa a nudo la ben nota situazione degli insegnanti italiani, i cui stipendi «rimangono bassi rispetto agli standard internazionali e rispetto ai lavoratori con un titolo di istruzione terziaria. Le retribuzioni crescono più lentamente rispetto a quelle dei colleghi di altri Paesi e le prospettive di carriera sono più limitate, basate su un percorso di carriera unico con promozioni esclusivamente in funzione dell’anzianità anziché del merito»[18].
La valorizzazione professionale dei docenti e il loro reclutamento
La condizione dei docenti nel nostro Paese non è rosea, a prescindere dalla disomogeneità sociale che imperversa ovunque. Anche l’OCSE, nel suo rapporto 2018[19], ha posto in evidenza che l’Italia è il paese con un corpo docente tra i più anziani (circa 58% di docenti con almeno 50 anni di età), con retribuzioni contrattuali e con una progressione stipendiale inferiori alla media OCSE.
In questa prospettiva l’Europa ci sollecita a sforzi ulteriori «per attirare, assumere e motivare maggiormente gli insegnanti»[20]. Ma ad oggi le misure intraprese non sembrano andare in questa direzione, poiché l’unico spiraglio di valorizzazione professionale sul campo è stato affidato al bonus accessorio istituito con la Legge 107 del 2015, comma 126 dell’art. 1, che concretamente si traduce in una somma economica volta a valorizzare il merito dei docenti, e su cui ci si è soffermati a riflettere anche in queste pagine[21].
Una criticità di rilievo sottolineata nelle Raccomandazioni del Consiglio Ue riguarda il sistema di reclutamento dei docenti, ritenuto – a giusta ragione – troppo incentrato sul versante delle conoscenze, anziché sulle competenze e con la componente relativa alla formazione troppo limitata.
Questo è un aspetto nevralgico su cui si dovrebbe intervenire una volta per tutte in maniera organica, facendo scelte che non siano volte al ribasso e con percorsi tendenzialmente tessuti come sanatorie, allorquando si individuano procedure di stabilizzazione dei precari. Sebbene vada di certo riconosciuta e valorizzata l’esperienza sul campo, questa non può essere determinante e non sempre è espressione di qualità e competenza professionale[22]. Una dimensione scarsamente considerata nelle procedure di reclutamento vigenti riguarda le competenze relazionali e la sfera psicoattitudinale: un bagaglio ragguardevole di conoscenze non è sinonimo di elevata competenza professionale. Ma sarà molto difficile, al momento, immaginare di arrivare ad una procedura preselettiva non tanto mediante test di conoscenze nozionistiche, quanto piuttosto attraverso test psicoattitudinali.
Il richiamo dell’Europa va verso una direzione ben precisa: individuare modalità altre, che superino i limiti di una condizione professionale poco attrattiva del mestiere di insegnante per le persone altamente qualificate, che sta sempre più producendo effetti disincentivanti sul personale docente stesso. Questo a salvaguardia e per la valorizzazione di una delle professioni più delicate ed impegnative che vi sia, proprio per l’impatto che avrà sui risultati di apprendimento degli studenti.
Investire nel capitale umano
Vi è dunque una forte responsabilità da parte dei decisori politici rispetto a quali siano davvero le scelte prioritarie da intraprendere. L’UE ci rammenta che l’investimento nel capitale umano è un prerequisito indispensabile a tutti i livelli, prioritariamente per la ricaduta a cascata che esso può produrre in ogni settore, a cominciare proprio dal sistema di istruzione e formazione, che, se prevedesse non tagli ma un incremento sostanziale di risorse, potrebbe di certo garantire la crescita e lo sviluppo necessari di tutto il Paese.
Non a caso, nel paragrafo 20 delle Raccomandazioni, il Consiglio UE sottolinea che «anche le lacune in materia di istruzione contribuiscono a spiegare la minore produttività delle microimprese e delle piccole imprese italiane rispetto a quelle di paesi comparabili»[23]. Oggi siamo uno dei Paesi che contano il minor numero di laureati (27,9% della popolazione di età compresa tra i 30 e i 34 anni nel 2018), e anche l’istruzione terziaria patisce carenza di organico qualificato e finanziamenti mirati. Siamo il Paese con un numero non sufficiente di diplomati in possesso di un titolo di studio post-secondario, specialmente nei settori scientifici e tecnici. Siamo uno dei Paesi che meno investe in maniera finalizzata in competenze specifiche per stimolare investimenti pubblici e privati, in particolare in attività immateriali.
Cambiamento di rotta
È urgente cambiare rotta, per evitare una deriva peggiore, non tanto lontana nel tempo, che purtroppo coinvolgerà inesorabilmente le giovani generazioni, verso le quali oggi in tanti hanno la responsabilità di essere “ladri di futuro”[24], che lasceranno sulle loro spalle un esercito di pensionati e un pianeta da curare[25].
Bisogna fare scelte oculate, che guardino agli interessi reali dell’intera nazione, vista la necessità di investimenti seri e mirati. A cominciare da tutto il sistema di istruzione e formazione, che non può più essere oggetto di scelte populistiche, riforme e controriforme smozzicate, investimenti per ragioni incomprensibili[26]. Tutto ciò non servirà a dare le risposte che invece l’UE si aspetta, unitamente a tutti quelli che nell’attuale sistema di istruzione e formazione si adoperano quotidianamente con resilienza, per essere al servizio del proprio Paese.
Bisogna avere il coraggio di ripensare l’intero sistema di istruzione e formazione, con i giovani come fine[27].
—–
[1] http://www.mef.gov.it/doc-finanza-pubblica/def/2019/03a_-_PNR_2019.pdf
[2] http://www.mef.gov.it/doc-finanza-pubblica/def/2019/01_-_PdS_2019.pdf
[3] Il TFUE, all’art. 126, definisce la procedura che Commissione e Consiglio UE adottano in caso di “Disavanzo Pubblico”: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12008E126&from=IT.
[4] https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2019/IT/COM-2019-532-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF.
[5] Relazione della Commissione – Italia – Relazione preparata a norma dell’articolo 126, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea – COM (2019) 532 final, p. 3.
[6] Ibidem, p. 16
[7] Cfr. COM (2019) 532 final, op.cit.
[8] Ibidem, p. 23
[9] Cfr. Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2019 dell’Italia – COM (2019) 512 final https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2019/IT/COM-2019-512-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF
[10] Ibidem, p. 4
[11] Cfr. https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-06-07/istruzione-ritratto-ue-un-italia-che-brucia-suo-futuro-120840.shtml?uuid=ACWZ9uO&refresh_ce=1
[12] https://ec.europa.eu/education/sites/education/files/document-library-docs/et-monitor-report-2018-italy_it.pdf
[13] Cfr. P. Mecarozzi, Istruzione, l’Italia spende poco e male (e gli studenti abbandonano la scuola), in https://www.linkiesta.it/it/article/2019/04/18/miur-investimenti-scuola-istruzione-italia/41834/
[14] Cfr. Scuola 7 – n. 133 https://www.scuola7.it/2019/133/?page=2
[15] Cfr. Rapporto Economico OCSE ITALIA – Nota di Sintesi, Aprile 2019 (https://www.oecd.org/eco/surveys/Rapporto-Economico-OCSE-Italia-2019-sintesi.pdf)
[16] COM (2019) 512 final, op, cit., p. 8
[17] Cfr. ibidem pp. 8 e 9
[18] Ibidem, p. 8
[19] Cfr. “Uno sguardo sull’istruzione 2018: indicatori dell’OCSE” (Education at a glance 2018) – https://www.oecd-ilibrary.org/docserver/eag-2018-en.pdf?expires=1560668756&id=id&accname=guest&checksum=FBAF8CEEDB8F8678710CC866E195608B
[20] COM (2019) 512 final, op, cit., p. 8
[21] Cfr. www.scuola7.it/2017/25/docfinali/monitoraggio_spinosi.htm e https://www.scuola7.it/2017/25/?page=3
[22] V. le continue riforme che hanno investito e continua ad investire il sistema di reclutamento dei docenti dei diversi ordini di scuola, creando anche disparità di procedure in relazione ai diversi gradi scolastici. Non ultimo, si veda l’intesa tra MIUR e OO.SS., siglata l’11 giugno scorso, relativamente ai percorsi PAS e alle procedure di stabilizzazione dei precari della scuola secondaria
[23] COM (2019) 512 final, op, cit., pp. 8-9
[24] Cfr. L. Monti, Ladri di futuro. La rivolta dei giovani contro un’economia ingiusta, LUISS University press, 2014
[25] https://www.researchgate.net/publication/311497183_Ladri_di_futuro_La_rivolta_dei_giovani_contro_l’economia_ingiusta
[26] V. l’iter per l’approvazione della legge sulla installazione delle telecamere negli asili nido e nelle scuole di infanzia o il DDL “Concretezza” divenuto Legge n. 135 pochi giorni orsono
[27] Cfr. A. Oliva, A. Petrolino, Il coraggio di ripensare la scuola, Quaderno n. 15 – aprile 2019 – TREELLE