Perché si diventa dirigenti scolastici?
Leggo per caso una notizia di cronaca: una maestra litiga con i suoi alunni e li sgrida, perché – dice – i loro genitori non le hanno voluto fare il regalo di fine anno. Dentro di me spero che la notizia sia infondata, che verrà smentita, che nella scuola non lavorino persone così poco professionali. Ma a un certo punto vengo colpito da una frase che la maestra avrebbe detto in questo diverbio: “Sono contenta di diventare dirigente scolastico, così da non vedere più voi e i vostri genitori”. Ecco, qui emerge qualcosa di molto più inquietante. Se anche questa frase fosse smentita, insieme a tutto il resto, so però dentro di me che contiene una parte di verità: ci sono molte persone che decidono di lasciare l’insegnamento e fare il concorso a dirigente scolastico per ragioni del tutto estranee a questo lavoro, perché sono stanche di insegnare (o magari non ne sono mai state capaci) o solo perché, più legittimamente, vogliono guadagnare di più.
Fare il dirigente: un progetto di vita?
Ho appena passato l’orale del concorso a dirigente scolastico e, come sempre in casi del genere, mi viene da dire: “mi è andata bene”. Lo dico per scaramanzia, per non irritare gli dèi, ma sono soddisfatto, perché ho fatto la scelta in vista di un progetto culturale: dopo anni di insegnamento, per fare un salto di qualità, per dare un contributo alla scuola – e quindi alle istituzioni del nostro Paese – in un altro modo, con un ruolo di maggiore responsabilità, e in questo portare avanti, senza forzare i limiti della correttezza istituzionale, un progetto politico. So che ci sono tante altre persone che hanno fatto il concorso con ambizioni simili. È un momento di crescita, per le persone e per la scuola.
E poi manca una carriera docente
Tuttavia non è solo così, lo sappiamo. I numeri lo dicono: a fronte di circa 2500 posti messi a bando (poi portati a 2900), i candidati iniziali erano oltre 35000. Come capita spesso, c’è una forte sproporzione tra i candidati e i posti. Perché si fanno pochi concorsi, in maniera irregolare; ma anche perché la professione docente è squilibrata. Non esiste una progressione di carriera, non c’è la possibilità di differenziare la propria attività, andando avanti negli anni pur rimanendo docente, non ci sono consistenti aumenti salariali. L’unico modo per migliorare la propria posizione è diventare dirigente scolastico. E così succede che molti facciano il concorso per ragioni del tutto contingenti: perché stanchi di un lavoro ripetitivo; perché disamorati dell’insegnamento; perché vogliono guadagnare di più. Tutte ragioni, come è evidente, che non coincidono con quello che serve veramente per fare un buon dirigente; e che a volte tolgono alla scuola, invece, dei buoni docenti.
Prove d’esame a volte discutibili
A tutto ciò si aggiungono procedure discutibili e delegittimate.
Discutibili, perché alcuni passaggi non sono forse i migliori per selezionare i dirigenti che servono. Ricordiamo che, nel contesto attuale, i dirigenti devono avere non solo capacità di gestione amministrativa (management, nel gergo dei manuali), ma anche di guida e coordinamento di risorse umane molto complesse (leadership). Purtroppo i concorsi attuali tendono a privilegiare troppo il primo aspetto. Il problema non è la prova preselettiva: quando bisogna ridurre la platea dei candidati, è uno strumento del tutto razionale. I contenuti erano sensati: certo si poteva fare una scelta più strategica, limitando le aree e decidendo di investire di più sulla conoscenza in profondità di ciò che serve realmente a un dirigente. Questo si può dire soprattutto per le altre due prove. Sia la prova scritta che la prova orale dovrebbero servire a selezionare persone con una buona conoscenza del quadro istituzionale in cui dovranno agire, ma anche con le capacità intellettuali e umane adeguate ad affrontare il tipo di mediazioni molto complesse che questo lavoro deve fronteggiare. Dal punto di vista dei contenuti, a questo scopo sarebbe stato meglio concentrarsi su quello che serve veramente a un dirigente. Ma il problema fondamentale è la forma di queste prove.
La forma delle prove: scritti e orali
Il vecchio tema, inadeguato, è stato abbandonato. La nuova prova scritta, con cinque domande su problemi specifici, in effetti tutti collegabili alla pratica quotidiana di un dirigente, è certo meglio. Però l’ossessione tipicamente italiana per l’esaustività ha impedito di pensare a uno scritto più mirato su uno o due problemi veri, da affrontare in profondità: un dossier, completo e complesso, con un problema da analizzare e risolvere in dettaglio. Magari a questo si poteva aggiungere una parte più generale, di nozioni di base.
L’orale continua a essere un problema. L’Italia non riesce a liberarsi del modello dell’interrogazione, che premia chi ha imparato a memoria (mi ci metto dentro, intendiamoci), ma non necessariamente sa affrontare la gestione di una scuola. Si è cercato di ovviare con una domanda volta alla risoluzione di un caso. Ma una domanda sola (ce ne sono anche altre), e in più su un caso limitato, da affrontare in un tempo ristretto, serve a ben poco. Per valutare la capacità di una persona di affrontare e gestire una situazione difficile con competenza, ci vogliono un caso costruito, elaborato, e un tempo di riflessione. Nessun dirigente darebbe la risposta a un caso complesso in venti-trenta minuti. Studierebbe il dossier, parlerebbe con le persone coinvolte, si prenderebbe il tempo per riflettere e discutere. Questo non si può fare in un esame, ma si può pensare di proporre un dossier complesso e poi di lasciare al candidato il tempo e gli strumenti per affrontarlo. Invece spesso la domanda “sul caso” era una domandina nozionistica, non diversa dalle altre.
Un vero colloquio di reclutamento
Insomma il problema di fondo è che per selezionare un dirigente serve un vero colloquio, condotto da chi quel lavoro lo fa, in cui i commissari cerchino di capire le capacità e le competenze della persona. Invece le prove d’esame continuano a essere ancora molto sbilanciate sul lato della gestione amministrativa, del nozionismo normativo, condizione necessaria, forse, ma non sufficiente per fare un buon dirigente. Se questi aspetti si sommano a quelli citati all’inizio, possiamo capire come mai molto spesso i dirigenti scolastici sono persone sempre all’erta, che cercano solo di essere impeccabili dal punto di vista amministrativo per non correre rischi, ma non vanno oltre.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede per concorso
Infine la delegittimazione: non solo gli addetti ai lavori, ma anche i media nazionali hanno puntato il faro su questo concorso. Piovono i ricorsi e si parla addirittura del rischio di annullare la prova scritta, con conseguenze a catena gravissime. In realtà sappiamo tutti che non succederà: anche se i ricorsisti vinceranno, si troverà il modo per sanare la loro situazione, senza mettere in forse i diritti di chi ha passato le prove. Ma è proprio questa la cosa grave: chi viene bocciato a un concorso fa un ricorso e sa che ha buone possibilità di vincere, perché l’amministrazione non si tutela, è spesso inefficiente e lenta, zeppa di contraddizioni e di errori. E questo delegittima tutte le procedure concorsuali, soprattutto, purtroppo, nella scuola. La priorità è uscire una volta per tutte da questa emergenza endemica.