Cos’è un polo per l’infanzia?
Tra le numerose novità contenute nel d.lgs. 65/2017 (che regolamenta il sistema educativo integrato dalla nascita fino ai 6 anni) c’è senz’altro l’istituzione dei cosiddetti poli per l’infanzia, cioè strutture educative che si rivolgono ai bambini che normalmente frequentano i nidi d’infanzia (0-3 anni) o le scuole dell’infanzia (4-5 anni), ma che in questo caso potrebbero vivere esperienze educative di comunità, anche nel confronto tra età diverse. Naturalmente le forme organizzative sono molto diverse e possono andare da una piena integrazione tra i due servizi educativi (più facile quando è unico il gestore) a momenti temporanei di vita in comune, a scambi organizzati per gruppi di bambini di età diverse o per gli educatori delle due strutture educative di appartenenza.
L’avvio rallentato dello zerosei
Siamo appena ai primi passi, perché l’istituzione di questi poli sperimentali non è semplice e, a monte, richiede la sottoscrizione di un’intesa tra la Regione (che ha la titolarità dei nidi) e l’Ufficio Scolastico Regionale (che ha la titolarità delle scuole dell’infanzia, per conto del Miur). Risulta che pochissime regioni abbiano sottoscritto un tale tipo di accordo o intese più generali per avviare il sistema integrato zerosei (es. Toscana, Umbria, Marche). E dire che il Miur aveva sollecitato gli USR (con la nota 404 del 19-2-2018) a procedere sulla strada dell’applicazione del D.lgs. 65/2017, individuando tra i temi prioritari proprio i poli per l’infanzia, oltre ad altre questioni di notevole interesse come il coordinamento pedagogico territoriale, la stabilizzazione delle sezioni primavera, la formazione e qualificazione del personale docente ed educativo. Certamente ha influito su questo ritardo il cambio al vertice del Governo e del Miur, avvenuto nella primavera del 2018. Solo recentemente sono stati attivati i due gruppi previsti per governare lo zerosei:
- la Commissione Infanzia (cioè il comitato scientifico che ha il compito di supervisionare lo sviluppo del sistema integrato), di cui al D.lgs. 65/2017;
- la Cabina di Regia, promossa dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali, con il compito di verificare il corretto uso delle risorse, monitorare l’attuazione della legge, individuare le priorità di intervento.
Il polo infanzia come comunità educativa
In questa cornice ancora in fieri, l’attivazione dei poli per l’infanzia rappresenta certamente un banco di prova per la cultura dello zerosei, perché diventa un luogo fisicamente connotato in cui i temi pedagogici, organizzativi, didattici, tipici del raccordo nidi-infanzia e della continuità educativa 0-6 anni, possono trovare una realizzazione concreta ed operativa.
Nel nostro sistema educativo l’idea di polo non è una novità. Basti pensare agli istituti comprensivi, che sono un vero e proprio polo per la scuola di base, ai poli degli istituti tecnici e professionali o ai poli sperimentali dei bienni delle scuole superiori. Tutti esempi in cui si vogliono superare le rigide ripartizioni del sistema educativo per età, indirizzo o settore, per privilegiare invece una dimensione di apertura, continuità, flessibilità delle soluzioni, in cui mettere al centro l’iniziativa dell’allievo, il suo benessere, la sua capacità di trarre profitto dalle diverse opportunità predisposte dagli adulti. Insomma il polo concretizza l’idea di continuità, offre soluzioni organizzative che facilitano i passaggi, i raccordi, le passerelle, e rende visibile e praticabile l’idea di comunità educante. E questo deve valere anche verso il primo ciclo che segue, a maggior ragione sapendo che la stragrande maggioranza delle scuole dell’infanzia statali operano all’interno di istituti comprensivi (3-14 anni).
Un laboratorio sperimentale
Queste possibilità non sono immediatamente alla portata, ma vanno preparate con un’accurata progettazione pedagogica e organizzativa, e sottoposte ad un attento vaglio sperimentale, perché non basta avere nidi di infanzia e scuole dell’infanzia collocate nello stesso spazio o contigui, per dire che quello è automaticamente un polo per l’infanzia. Occorre un valore aggiunto, cioè un orizzonte pedagogico che faccia emergere la consapevolezza delle opportunità che si aprono per i bambini, per la continuità e crescita della loro esperienza educativa tra zero e sei anni.
Abbiamo sintetizzato la “fenomenologia” dei poli per l’infanzia in sette criteri-guida, che riassumono le questioni sottese all’attivazione di questi “laboratori sperimentali”, come li definisce la legge.
Il polo infanzia è uno spazio culturale
Il polo è una struttura organizzativa di carattere innovativo, che mette alla prova la capacità di accogliere l’infanzia e di predisporre le migliori condizioni per il suo sviluppo. Questo in sintonia con la piattaforma culturale del D.lgs. 65/2017, che parla (all’art. 1) di condizioni di “autonomia, creatività, benessere” da assicurare ai bambini, e della costruzione di contesti educativi caratterizzati da un clima affettivo, emotivo, ludico, cognitivo di qualità. Tutti punti che dovranno trovare posto nelle Linee Guida 0-6 con i poli per l’infanzia, che potrebbero fungere da rete sperimentale in cui assicurare il massimo della coerenza con questa prospettiva pedagogica.
Il polo infanzia è uno spazio architettonico
Il polo si avvantaggia certamente di una collocazione spaziale che vede intimamente collegato un servizio educativo 0-3 anni ed una scuola dell’infanzia. Può essere lo stesso edificio ad offrire questa opportunità, oppure strutture separate ma funzionalmente collegate da spazi comuni, zone di raccordo, aree verdi o servizi (mensa, piccola palestra, atelier) comuni. Questo censimento in alcune regioni è già stato effettuato: ad esempio in Emilia-Romagna risulterebbero “abilitande” come poli infanzia ben 361 strutture che usufruiscono di spazi comuni o contigui; ma in tale regione i servizi educativi 0-3 sono ben 1.233 e le scuole dell’infanzia 1.561. Dunque i poli non potranno essere una soluzione generalizzabile per l’intera scuola italiana, ma dovranno mantenere il loro carattere sperimentale. In Italia i servizi educativi sono circa 12.000 e le scuole dell’infanzia circa 23.000. È anche vero che la legge 107/2015 stanzia fondi per la costruzione di poli per l’infanzia, ma ne limita il numero a 2-3 per ogni regione. Una scelta di qualità, ma assai elitaria. In prospettiva si potrebbe pensare ad un “campus per i bambini”, con spazi differenziati ma connessi, con alcune aree comuni, dove l’impegno per la continuità è stimolato dalle condizioni di vicinanza spaziale.
Il polo infanzia è uno spazio pedagogico
Si tratta di uno spazio progettuale ove approfondire quel lessico comune che sta all’intersezione di cura, relazione educativa e apprendimento, che non è solo una scoperta recente dello zerosei, ma fa parte del DNA della pedagogia dell’infanzia. Termini quali corpo, cura, routine, benessere, relazione, comunicazione, esplorazione, sembrano tipici del nido, ma sono leggibili anche nel progetto della scuola dell’infanzia. Viceversa, termini quali curricolo, linguaggi, apprendimenti, competenze, che sono la parte “nobile” del curricolo della scuola dell’infanzia, sono in grado di orientare la progettualità dei nidi. Questi concetti li ritroviamo fin dagli Orientamenti del 1991, ove si parla di ambiente di apprendimento, di vita e di relazione, poi nelle Indicazioni Nazionali del 2012, ove sono evidenziati termini come contesto educativo e curricolo implicito, e nello schema di RAV-infanzia, ove campeggia tra le finalità la cura del benessere dei bambini.
Il polo è uno spazio organizzativo
L’allestimento di un polo per l’infanzia suscita un’infinità di problemi, soprattutto quando i gestori dei due servizi che si alleano (un nido e una scuola dell’infanzia) sono diversi, ad esempio un comune, un privato, lo stesso Stato. Il polo stimola soluzioni sostenibili, economie di scala, forme di gestione integrata. Questo livello di governance riguarda le scelte degli amministratori, ma ha una ricaduta sulla concreta organizzazione del servizio integrato: spazi articolati e polifuzionali, spazi verdi, saloncini e spazi comuni, laboratori variamente attrezzati, luoghi appartati, “tane”. Si può andare da una vera integrazione di spazi, personale, attività (ove il nido quasi si fonde con la scuola dell’infanzia), a più limitate presenze incrociate di bambini e adulti. Potremmo inserire in questo quadro anche i temi delle iscrizioni dei bambini (nel polo si devono rinnovare nel momento del passaggio?), dei titoli di studio (chi ha titolo ad insegnare nello zerosei?), della gestione del personale (con quale trattamento contrattuale?). La progettualità del polo infanzia si ispirerà a questa comune piattaforma pedagogica, offrendo esperienze progressive e occasioni di scambi produttivi tra bambini di età diverse. Una soluzione praticabile potrebbe essere un polo 2-6 anni, in cui la sezione primavera 24-36 mesi viene aggregata ad una scuola dell’infanzia. Lo stanno sperimentando molte strutture private, ma in questo caso anche lo Stato (che si trova a gestire le sezioni primavera) potrebbe dire la sua.
Il polo è uno spazio didattico
Qui didattica sta per ricerca, per qualificare le possibili esperienze dei bambini, attraverso una serie stabile di momenti (e con il ruolo strutturante delle routine) che fanno evolvere l’apprendimento del bambino. Il dispositivo “campo di esperienza” è la forma didattica più coerente con lo zerosei, perché vi ritroviamo il corpo del bambino, le sue mani, i suoi occhi, ma anche l’affiorare della dimensione evocativa della conoscenza. In questo repertorio le parole chiave possono essere: osservazione, interazione, documentazione, “posture”, che danno luogo ad una tastiera metodologica variegata di materiali, oggetti, relazioni. Il filo della continuità potrebbe coagularsi attorno ad un asse prevalente, che potrebbe diventare la musica, la lingua straniera, i linguaggi espressivi, l’esplorazione nell’“outdoor” ambientale.
Il polo è uno spazio professionale
Il polo infanzia può diventare il luogo della collaborazione e della condivisione tra operatori di diversa provenienza, del crescere professionalmente attraverso forme di interazione, scambio e osservazione in sezione, supervisione e aiuto reciproco. Si costituisce una piccola comunità professionale, che per crescere ha bisogno di una regia. Nasce da questa esigenza l’idea di estendere il coordinamento pedagogico, oggi diffuso soprattutto nei servizi educativi gestiti dai comuni della grandi regioni del Nord. In questo settore anche lo Stato dovrà fare la sua parte (le legge dice di valorizzare le risorse presenti nell’intero sistema integrato), cercando di promuovere a coordinatori i migliori docenti della scuola dell’infanzia statale. Apposite attività formative dovrebbero fungere da “talent scout” delle migliori figure presenti nelle scuole. E il coordinamento statale potrebbe caratterizzarsi come coordinamento di prossimità, cioè più vicino agli insegnanti e alle sezioni.
Il polo è uno spazio sociale
Il polo per l’infanzia stimola la presenza dei genitori e della comunità attorno alla cultura dell’infanzia e dell’educazione. Generazioni di genitori e di insegnanti si ritrovano attorno al nuovo servizio educativo, per collaudare forme di collaborazione e di partecipazione. Nei nidi e nelle scuole dell’infanzia i bambini escono dal loro ambiente familiare per incontrate un nuovo lessico, più ampio e aperto di quello privato di casa, per osservare e praticare diversi modelli educativi, per vivere le prime esperienze di cittadinanza attiva. È attorno a questo tipo di servizi educativi che la comunità cresce, e con essa la coesione sociale.
Per tutti i motivi che abbiamo esposto, il polo per l’infanzia si presenta come un promettente dispositivo pedagogico, meritevole di essere sperimentato, se non altro per “stressare” positivamente (nel senso di mettere alla prova la tenuta del modello) il nuovo sistema zerosei.