Anche le buone leggi…
Anche una legge “rivoluzionaria” come la 517/1977, che ha inaugurato per le persone con disabilità una stagione unica al mondo, nasconde il proprio tallone d’Achille. Qual è il vulnus di questa importantissima norma? Quello di aver di fatto avallato una prassi didattica di tipo duale: la classe da una parte e l’alunno/a portatore/portatrice di handicap dall’altra. In mezzo l’insegnante di sostegno!
Ad onor del vero l’art. 2 della legge non prefigurava questo scenario: veniva infatti indicata una strada decisamente innovativa. La presenza dell’alunno “handicappato” nelle classi comuni avrebbe dovuto coincidere con un cambiamento radicale dell’assetto organizzativo dell’aula (apertura delle classi, attività di gruppo, superamento della lezione frontale, strategie cooperative, …).
L’invenzione dell’insegnante di sostegno
In realtà, però, l’assegnazione dell’insegnante specializzato all’alunno portatore di handicap ha finito per diventare pratica diffusa. Questo assetto è stato legittimato anche dall’assenza, da parte del Ministero della P.I., di una sistematica, permanente ed obbligatoria formazione di tutto il personale docente. In quel periodo un’azione formativa capillare, come si fece dal 1986 al 1990 per gli insegnanti della scuola elementare, sarebbe stata possibile e avrebbe sicuramente creato le premesse per un impegno corale da parte dell’intero sistema educativo.
La difficile ricerca di una responsabilità diffusa
Sostiene Andrea Canevaro, nel libro Nascere fragili (EDB, Bologna, 2015), che il compito del sostegno affidato “per sempre” ad una persona, magari specializzata, “rischia di operare una sorta di esproprio e requisizione del riconoscimento relazionale, interrompendo o impedendo che si crei un circuito di reciprocità”. Credo che il problema dell’inclusione scolastica nella nostra esperienza (sicuramente straordinaria!) sia stato ben colto dal nostro pedagogista e maestro.
Senza scadere in sterili generalizzazioni, non siamo riusciti negli ultimi 40-45 anni (dal Settanta ad oggi), a costruire all’interno delle istituzioni scolastiche e, soprattutto, nella gestione della classe, una responsabilità diffusa dell’intero corpo docente (e non) sulla progettazione, realizzazione, valutazione del progetto individualizzato in una cornice di interventi in grado di coinvolgere tutti, in primis gli studenti.
Valorizzare gli studenti, tutti…
Il tema (ormai è a tutti evidente) è la valorizzazione delle potenzialità dell’intera popolazione studentesca, in particolare di quelle fasce che presentano limiti, difficoltà, ostacoli sul piano cognitivo, affettivo, sociale, e che rischiano di essere poste ai margini della vita della scuola e della più ampia comunità civile.
A questo punto sorge spontanea una domanda: possiamo permetterci, in un’epoca a tasso demografico “sottozero”, di non valorizzare le risorse di tutti, anche di coloro a rischio di vulnerabilità culturale e sociale?. Certamente no.
Oltre il sistema duale: che fare?
È possibile superare il sistema duale e progettare un orizzonte nel quale le scuole, i dirigenti, i docenti, i collaboratori scolastici, le famiglie, … assumano il compito dell’inclusione come la priorità nella quale esprimere realmente un autentico potenziale collaborativo?
È possibile, da parte di ognuno di noi, manifestare nei fatti la reale esigenza di una nuova stagione, nella quale si possa effettivamente dar vita a comunità coese, solidali, in cui le fragilità si trasformino in ricchezza?
La risposta è sicuramente affermativa. Occorre innanzi tutto aver chiari i livelli di intervento che, per quanto concerne la scuola, sono sostanzialmente due: istituzionale e didattico.
L’organizzazione della scuola
Il primo livello chiama in causa l’organizzazione della scuola e coincide con la cultura, le azioni, gli strumenti che dirigenti, funzioni strumentali, leadership intermedia sanno approntare. A cominciare dalla condivisione di un piano per l’inclusione (art. 8 del decreto legislativo n. 66/2017), che rappresenti una cornice di lavoro in cui tutti siano tenuti non solo a rispettare, ma anche a realizzare quanto in essa deliberato.
L’organizzazione della classe
Il secondo livello coincide con l’organizzazione didattica dell’aula. Non si dimentichi che in Italia è nella classe che si determinano le condizioni per un progetto di inclusione o di esclusione. La gestione inclusiva del gruppo classe richiama, oltre alla qualità professionale degli insegnanti, anche la dimensione etica della funzione docente. In questo senso tutti i componenti del team (scuola dell’infanzia e primaria) e del consiglio di classe (scuola secondaria di 1° e di 2° grado) devono farsi carico, nell’insegnamento del loro ambito (campi di esperienza, discipline…), delle integrazioni, degli adattamenti, delle sostituzioni contenutistiche, delle innovazioni metodologiche finalizzate a facilitare l’apprendimento di tutti.
Quali priorità per una buona inclusione?
Siccome non si può intervenire a 360 gradi, perché quando si vuole tutto si rischia di non avere niente, credo che due siano le principali direttrici di marcia.
Formazione in servizio per tutti
Primo: costruire una formazione all’interno delle singole scuole (o piccole reti), a cui debbano partecipare tutti i docenti del team o del consiglio di classe. Tale formazione risulterà più efficace nella misura in cui si daranno risposte concrete anche ai problemi che le singole realtà vivono e incontrano. I protagonisti di questi percorsi formativi potranno essere figure esterne, ma soprattutto docenti/dirigenti esperti, che hanno già avuto modo di affrontare e risolvere sul campo situazioni analoghe.
La progettazione personalizzata e l’osservazione valutativa
Secondo: vincolare ogni insegnante del team o del consiglio di classe ad esplicitare il proprio coinvolgimento nel momento più delicato della progettazione di un PEI o di un PDP, quella della valutazione iniziale. Si tratta di una fase che, per le ragioni già dette, viene spesso delegata o svolta con una certa approssimazione (PEI rimestati, scopiazzati…).
La progettazione di un percorso personalizzato invece è il momento centrale del processo inclusivo. In questa fase gli insegnanti (non solo quello di sostegno) hanno una reale opportunità di compiere una vera progressione professionale. Come sottolinea ancora una volta Andrea Canevaro, “chi ha il compito di sostegno può svolgerlo con una dinamica evolutiva, che contenga cambiamenti per coinvolgere altri soggetti. Il sostegno particolarmente competente può essere messo a disposizione di colleghi/e di quanti sono attivi nel contesto in cui il soggetto con bisogni educativi speciali sviluppa la propria vita”.
L’osservazione valutativa nella fase progettuale del PEI/PDP dev’essere rigorosa, non affidata a comportamenti estemporanei, ma fatta con strumenti essenziali, non ridondanti e facili da utilizzare (protocolli, questionari, check list…), che risultino vincolanti per ogni insegnante. Al coordinatore di classe, o ad un’altra figura, spetterà il compito di fare una sintesi degli impegni assunti dai singoli, che costituirà il quadro di riferimento per la progettazione partecipata del progetto educativo personalizzato e della sua successiva realizzazione.