La centralità delle competenze non cognitive
Lo scorso 12 marzo si è svolto, presso il Miur, il seminario sul tema Quali riscontri dalle ricerche ad oggi in campo sulle soft skills?, organizzato dalla Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione. Come evidenziato dal sottosegretario Salvatore Giuliano nell’introduzione ai lavori, il Miur è particolarmente interessato ad aprire un campo di ricerca sulle “competenze non cognitive” degli studenti, in considerazione della crescente valenza che alcune capacità – saper comunicare, lavorare in gruppo, tenere testa allo stress, avere fiducia in se stessi – stanno assumendo nel mondo del lavoro e non solo in quello.
Le soft skills si possono valutare?
Quando parliamo di soft skills ci riferiamo a quegli attributi personali, tratti del carattere, segnali sociali intrinseci e abilità comunicative, necessari per il successo sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni. Proprio la loro trasversalità rende difficile una definizione univoca, che lo stesso mondo scientifico stenta a concordare. Si va da termini quali socio-emotional skills a character o personality traits, ognuno dei quali rappresenta una prospettiva specifica ed in parte differenziata dalle altre.
Il mondo della scuola si è fino ad oggi essenzialmente concentrato, con diversi livelli di successo e con vari gradi di difficoltà, sulle hard skills, per le quali sono stati più o meno affinati strumenti di misurazione e di comparazione, mentre la problematica dell’apprezzamento delle competenze non cognitive è rimasta sottotraccia, risolta il più delle volte con un’inferenza non strutturata da quelle strettamente tecniche e disciplinari. Certamente il concetto delle soft skills è presente nel DNA della scuola, già a partire da quella dell’infanzia, ma troppo spesso ha mancato di intenzionalità: un’intenzionalità cui le ricerche presentate nel corso del seminario hanno provato a dare una, sia pur parziale, prima risposta.
Le esperienze in campo
Sia l’Invalsi che la Provincia di Trento hanno già in atto percorsi sperimentali di modalità di verifica del possesso e dei livelli di padronanza di alcune soft skills. Si tratta comunque di approcci diversi, che a loro volta si distinguono dalla ricerca, peraltro appena avviata, dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, il cui ambito riguarda in particolare la popolazione adulta, e di cui quindi non tratteremo in questa sede.
Al netto delle differenti impostazioni, le presentazioni hanno evidenziato alcuni elementi comuni, che trovano fondamento nella natura stessa di queste competenze. Esse investono una sfera così personale da non poter non implicare scelte, anche di tipo “politico”, su stili di comportamento, sistemi di valori, visioni del mondo, dalle quali, prendendo a prestito le parole di Roberto Ricci, la scuola moderna si è progressivamente ritratta. Ma resta l’urgenza di affrontare il problema, tenendo conto di alcuni fondamentali su cui le diverse ricerche, come detto, convergono. In primis la necessità di ancorarsi alle esperienze e agli scenari internazionali, a partire dal Quadro OCSE di riferimento 2030 per l’apprendimento e le competenze, per ipotizzarne uno nazionale che possa dare avvio ad una misurazione su larga scala attraverso modalità di verifica standardizzate.
Il focus della ricerca Invalsi
La prof.ssa Ajello ha posto in evidenza l’ineludibilità di delimitare l’oggetto delle indagini e di scegliere su quale competenza non cognitiva concentrare il percorso di ricerca. Quelle che sembrano prestarsi maggiormente sono l’imparare ad imparare e la capacità di problem solving, che, oltre a prescindere entrambe dai curricoli scolastici, condividono, insieme con la dimensione cognitiva, anche quelle socio-emotiva e relazionale, che sono maggiormente soggette al danno di motivazione che deriva da un’esperienza di fallimento scolastico. In questi elementi le riflessioni proposte hanno prefigurato già alcune linee guida per le scuole per lo sviluppo di queste soft skills:
– imprescindibilità, nell’ambito dell’esperienza scolastica di apprendimento, dell’attenzione alle dimensioni sociale ed emotiva del soggetto in apprendimento;
– investimento sulla speranza nella capacità di imparare, nel cui ambito l’apprendimento sia visto come chiusura del gap tra identità attuale ed identità designata;
– sostegno alla curiosità dello studente, invertendo l’attuale tendenza alla sua progressiva perdita a partire dalla scuola dell’infanzia fino ai livelli successivi.
Quanto alla loro verifica, il programma di ricerca prevede una tempistica ampia, che, successivamente alla definizione degli strumenti di rilevazione, contempla una formazione specifica per il personale docente coinvolto e una realizzazione in classe di non meno di due anni, nel corso dei quali si svolgano diversi passaggi di valutazione formativa e uno o due terminali di valutazione sommativa.
Il focus della ricerca trentina
La ricerca in atto da un anno e ancora in corso, avviata dall’Ufficio Scolastico Territoriale in collaborazione con l’Assessorato all’Istruzione della Provincia di Trento e con il coinvolgimento delle Università agli Studi di Trento e di Milano Bicocca, è partita da un approccio del tutto diverso da quello dell’Invalsi, fondato sul mettere in relazione le soft skills con le hard skills, tenendo contemporaneamente in evidenza alcune variabili come il capitale sociale e quello psicologico. Di fatto la ricerca ha preso in considerazione un insieme ampio di competenze non cognitive, analizzando l’impatto di progetti realizzati dalle scuole con l’obiettivo specifico di agire sulle stesse, e progettando insieme con i docenti e con le scuole nuovi interventi mirati ad incidere sia sulle competenze non cognitive che su quelle cognitive.
I dati fin qui raccolti attraverso batterie ripetute di test somministrati ai 2070 studenti, appartenenti alle 111 classi delle 25 scuole che hanno liberamente aderito alla sperimentazione, hanno dimostrato come atteggiamenti di apertura mentale, coscienziosità, fiducia nelle proprie capacità, interesse ad imparare, stabiliscano un legame positivo con il successo scolastico, definito attraverso il giudizio di ammissione all’esame di terza media, il voto finale a detto esame e gli esiti nelle prove Invalsi 2018 di italiano e di matematica.
Una primissima conclusione
Entrambe le ricerche, pur con la diversità di approcci e al netto della loro incompiutezza, stanno ancora una volta indicando una direzione didattica e metodologica di tipo olistico, che non fa distinzioni tra soft skills e hard skills; in altre parole, le competenze trasversali sono altro da quelle disciplinari solo se le discipline sono insegnate in modo tradizionale. Ciò che fa la differenza sono le modalità di conduzione del lavoro in classe da parte dell’insegnante, anche come sostegno alla cooperazione, alle relazioni interpersonali positive, alla costruzione del senso di autostima e di autoefficacia personali.
Per chi volesse approfondire, è possibile visionare i materiali utilizzati dai relatori nel corso del seminario cliccando sul link https://snv.pubblica.istruzione.it/snv-portale-web/public/info/eventiTematici