Il Manifesto “Condorcet”
Un gruppo di docenti, dirigenti ed esperti di scuola ha redatto un manifesto (qui il testo, qui il modulo per iscriversi alla newsletter) ispirato ad un girondino illustre, il Condorcet, figura molto interessante della Rivoluzione francese, morto (suicida?) in carcere nel 1794: un pensatore, un matematico, il cui contributo alla Rivoluzione fu proprio nel campo dell’istruzione pubblica.
Detta così, il primo commento potrebbe essere: “E dov’è la notizia? L’ennesimo manifesto!”. In questo caso, come vedremo, alcune differenze che fanno ben sperare però ci sono. Ma andiamo con ordine: da quali punti fa partire il suo ragionamento il gruppo di Condorcet? Sono due: il primo più “politico”, il secondo guarda invece alle cause di una crisi che attraversa la scuola, innegabile e, salvo rare eccezioni, non più negata da nessuno.
A.A.A. politica scolastica cercasi…
La constatazione più politica è che la scuola è di nuovo ai margini: del dibattito pubblico, ma anche dell’agenda di governo. A mio parere è in questa centralità, più che nell’abolizione di questo o quel provvedimento legislativo, la vera discontinuità del governo Conte da quello di Matteo Renzi: Renzi aveva riportato la scuola al centro dell’azione di governo, ovviamente con tutti i limiti ed errori e al di là del giudizio che ciascuno ha sul merito delle scelte compiute. A proposito di giudizi: leggendo il manifesto di Condorcet non bisogna scavare troppo per trovare elementi di critica ad alcune scelte fatte, e soprattutto non fatte, dal centrosinistra nella scorsa legislatura. La critica è a volte esplicita (sull’eccesso di illuminismo, che ha guidato sia il legislatore che l’esecutivo), a volte più sfumata (ad esempio sul bonus merito, al posto del quale sarebbe stato preferibile puntare sulla carriera, anzi le carriere, dei docenti).
Come affrontare una scolarizzazione di massa?
Il secondo punto di partenza della riflessione è il più importante e muove dalla constatazione che la crisi della scuola italiana sia fondamentalmente una epocale crisi di crescita. “Dai primi anni Duemila – si legge nel manifesto – il tasso di scolarizzazione nella secondaria superiore ha superato abbondantemente il 90% e oggi si avvicina al 100%, mentre ancora nei primi anni Novanta, quando andavano a scuola i più giovani tra i docenti italiani, era inferiore al 70%”. La contraddizione che attraversa, dunque, la scuola italiana è quella di aver raggiunto la scolarizzazione di massa, ma senza avere al suo interno, e in relazione alla società, tutti gli strumenti per affrontarla. Contraddizione peraltro che attraversa anche la società ed è alla base dei crescenti conflitti nel rapporto scuola-famiglia.
C’è bisogno di proposte specifiche
Chiarite le premesse, vengo alla possibile critica di cui si è accennato in principio. L’ennesimo manifesto? Nelle intenzioni la risposta è ovviamente negativa, e non per un ottimismo di facciata, ma perché ci sono elementi che differenziano questo da altri manifesti analoghi del passato.
Prima differenza. Le proposte sono molto specifiche e puntuali; non siamo di fronte ad un elenco di ricette generiche. Sono individuate alcune priorità fondamentali, collegate tra loro in modo organico, e su queste si è costruita una proposta, evitando però il rischio di disegnare “la grande riforma onnicomprensiva”, che presumibilmente mai vedrà la luce. Non è un caso che le quattro proposte siano immaginate come il completamento di quelle che vengono definite le quattro grandi incompiute: cicli scolastici e bocciatura, rapporto tra scuola e lavoro, carriere per i docenti, scuole autonome.
Seconda differenza. Non è un manifesto-Bartali (“l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”), ma nemmeno un manifesto-Harmony (“volemose bene”): aderire all’idea di scuola proposta costa fatica (intellettuale, s’intende); il sì non è affatto scontato.
Un network per pensare alla scuola del futuro
Terza differenza, la più importante. L’ambizione degli estensori non è quella di dare vita a un club di intellettuali che elaborano raffinate analisi sulla scuola, né di arruolarsi in un partito, bensì quella di imporre all’agenda politica un progetto ambizioso, attraverso un metodo altrettanto ambizioso: far vivere il manifesto nella quotidianità di chi a scuola ci va ogni giorno per studiare o per lavorare; arricchirlo con il contributo di persone che si incontrano periodicamente sul luogo di lavoro, nel quartiere, nei collettivi studenteschi. In altri termini, la scelta è quella di uscire dalle chat Whatsapp, le pagine Facebook e la virtualità, per tornare a incontrarsi di persona e dare vita ad un network di gruppi locali su tutto il territorio nazionale. Costruire – insieme agli studenti (“la scuola è per loro”: il manifesto si conclude con queste parole, solo in apparenza scontate), al personale della scuola e alla società tutta – una scuola all’altezza della sfida che la Costituzione assegna alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Riforme costruite dal basso
La convinzione di Condorcet è che, se quelle occasioni si sono perse, se la via del cambiamento nella scuola è lastricata di occasioni mancate e grandi incompiute, “è innanzi tutto per l’incapacità di costruire dal basso un consenso duraturo alla visione riformatrice, di far sentire tutti gli attori interessati protagonisti di un disegno di cambiamento”.
Basta partire da queste differenze per farne una cosa diversa dal “solito manifesto sulla scuola”? A parere di chi scrive è necessario, ma non è sufficiente: perché lo sia, serve il contributo di tutti.