I pro e i contro
È da qualche tempo che si sta discutendo una Legge che dovrebbe impedire qualsiasi uso degli smartphone a scuola. Alcuni pensano anche a un vero e proprio divieto di portare materialmente il cellulare a scuola, o al limite di imporre di consegnarlo appena si entra nell’edificio o in classe. Già la Francia tempo addietro aveva deciso di bandire gli smartphone dalla scuola. Gli inglesi, più democratici e liberali, hanno scelto la strada della responsabilizzazione e dell’autoregolamentazione da parte delle singole scuole. La visione finalizzata a consentire un uso esclusivamente formativo e didattico dei cellulari è stata avvallata in Italia dal MIUR. Tenuto conto delle diverse ipotesi che verranno confermate o meno nella futura normativa, in questo approfondimento si cercherà di evidenziare i pro e i contro di una scuola con gli smartphone o senza.
Ritorno al passato
Il tentativo di eliminare nella scuola italiana gli smartphone non è del tutto nuovo. Il primo intervento normativo di esclusione fu ad opera del Ministro Fioroni nel 2007, sull’onda di alcuni gravi fenomeni di bullismo. Tali violenze furono riprese col telefono dagli stessi prevaricatori e poi diffuse in rete. Col passare del tempo però si fece strada la possibilità dell’uso di tale strumento esclusivamente per scopi didattici e per compensare la mancanza cronica di tecnologie in aula. Anche il Garante della privacy si era espresso favorevolmente per un uso in classe sotto certe condizioni: ad esempio gli studenti con difficoltà di apprendimento, previo permesso esplicito del docente, potevano registrare la lezione per un uso successivo personale di studio. Negli ultimi due anni invece c’è stata una vera e propria spinta in avanti, compiuta dal Ministero, a favore di un utilizzo didattico a scuola. Alcune dichiarazioni dell’allora Ministra Fedeli, male interpretate e fraintese da alcuni, smossero l’opinione pubblica, in quanto sembrava paventarsi un uso del tutto liberalizzato e senza condizioni degli smartphone. Tutta l’azione 6 del Piano Nazionale Scuola Digitale si basa sulle Linee guida per politiche attive di BYOD (Bring Your Own Device – utilizzo di dispositivi personali non forniti dall’istituzione scolastica). Il 2018 doveva passare alla storia come lo sdoganamento definitivo dello smartphone a scuola, tant’è che il MIUR aveva emanato il decalogo “Dieci punti per l’uso dei dispositivi mobili a scuola: come utilizzare il BYOD”.
Nativi o selvaggi digitali?
Indubbiamente l’uso smodato e senza regole dello smartphone nei giovanissimi ha raggiunto livelli parossistici. La punizione più temuta che i genitori possono comminare ai figli è impedire loro, per qualche giorno o anche per poche ore, l’uso dello smartphone. Tale estrema dipendenza è preoccupante, potenzialmente foriera, nel corso del tempo, di ripercussioni anche gravi a livello psicologico e di socializzazione. Più preoccupante è che i soggetti preposti all’educazione, in primis le famiglie e in secundis la scuola, abbiano per troppo tempo rinunciato al loro compito educativo e non siano intervenuti per ovviare a tali forme estreme di utilizzo. Le giovani generazioni sono a tutti gli effetti native digitali e si trovano a loro agio con le tecnologie. Se abbandonate a loro stesse, senza la mediazione degli adulti, sviluppano però metodi e modi propri di utilizzo che possono diventare distruttivi. Il passaggio da nativi digitali a selvaggi digitali, senza capacità critica e di autoregolazione, può essere immediato. Il romanzo dello scrittore William Golding “Il Signore delle Mosche” è significativo: i giovani lasciati a loro stessi regrediscono rapidamente ad uno stato primordiale, selvaggio, incapaci di autogovernarsi e con la tendenza a sviluppare atteggiamenti inconsapevolmente asociali, aggressivi e violenti.
Le “tribù digitali” crescono
Il senso di tribalismo digitale è stato studiato per la prima volta in Giappone.
La parola “Oyayubizoku”, coniata dai sociologi nipponici, si traduce con la locuzione “tribù del pollice”. Tale tribù è composta da giovani e giovanissimi estraniati dal mondo reale e tutti persi nel digitare velocemente con i pollici messaggi continui, indipendentemente da dove si trovino. Hanno anche un proprio gergo, composto da una lunga lista di acronimi e da elementi paratestuali con cui infarciscono i propri messaggi.
“Hikikomori” è un altro fenomeno di isolamento più preoccupante. È stato individuato in Giappone, ma si sta diffondendo in altri Paesi. Il sintomo è facile da scoprire: i giovani non escono più dalla loro stanza. Il motivo di tale sindrome è solo in parte tecnologico. Tale comportamento è una risposta alle aspettative troppo pressanti degli adulti e della società. Alcuni giovani più fragili, non sentendosi adeguati, si isolano completamente dal mondo reale esterno, vivendo nei social, nei videogiochi, dall’interno del microcosmo della propria stanza.
I “vampiri della notte” (“vamping”) raggruppano invece teenager che anche di notte rimangono sempre connessi, chattando e mandando messaggi continui ai loro amici. Il danno a livello cognitivo e di sviluppo fisico è enorme.
“E non ci indurre in tentazione”…
Nel Regno Unito il CEP (Centre for Economic Performance) ha pubblicato nel 2015 uno studio intitolato Ill Communication: Technology, Distraction & Student Performance[1] (La cattiva comunicazione: tecnologia, distrazione & performance dello studente). La ricerca ha riguardato le scuole superiori di quattro città britanniche. I risultati osservati mettono in guardia sui possibili rischi causati dall’utilizzo degli smartphone in classe, che vanno a detrimento dell’attenzione e delle performance degli studenti. Tali risultati sono in sintesi i seguenti:
– Se si attua una politica di divieto assoluto di uso degli smartphone in classe i punteggi dei test degli studenti tendono a migliorare (+ 6,41% nella deviazione standard).
– Nel caso in cui il divieto non sia assoluto e/o ampiamente rispettato, tali vantaggi significativi in – termini di prestazioni degli studenti decadono e si perdono.
– Gli studenti che presentano maggiori difficoltà di apprendimento (underachiever) sono quelli che si distraggono più facilmente quando hanno la possibilità di usare gli smartphone, ottenendo prestazioni e risultati ancora più negativi.
– Gli studenti più bravi riescono indifferentemente a rimanere concentrati ed ottenere ottimi risultati, sia con la presenza degli smartphone, sia con la loro assenza.
– La presenza di alcuni cellulari in classe diventa fonte di distrazione anche per coloro che non l’hanno portato.
In generale dalla ricerca emergono criticità dovute alle tante possibilità di distrazione e all’effetto totalizzante ed estraniante dello smartphone. Però tale ricerca non prende in considerazione l’uso didattico ben strutturato degli smartphone. Ciò che considera è semplicemente la sua presenza: averlo con sé in tasca ed essere indotti ogni tanto in “tentazione”, utilizzandolo senza farne accorgere il docente, a detrimento dell’attenzione e della concentrazione.
Lo smartphone come strumento didattico
Al di là della ricerca inglese, lo smartphone potenzialmente costituisce uno strumento valido e potentissimo, che si presta a sviluppare tante attività didattiche innovative. Ormai la potenza di calcolo e le innumerevoli applicazioni lo hanno reso pari, se non superiore, ai computer: in più gli smartphone dispongono di una serie di sensori in grado di interagire col mondo circostante, del tutto assenti nei PC.
Per molti lo smartphone è uno strumento importantissimo di lavoro, di studio e di ricerca. Per poterlo usare proficuamente in classe è necessario provvedere sempre ad una solida programmazione, basata su un ambiente di apprendimento online. Esso costituirà l’area virtuale in cui si svolgeranno le diverse attività e si produrranno e conserveranno gli artefatti digitali degli studenti. A titolo di esempio alcuni usi possono riguardare:
– l’inserimento durante la lezione di periodi in cui ci siano azioni/attività individuali, svolte singolarmente dagli studenti con la tecnologia personale, alternati a periodi in cui ci sia la possibilità di attività/azioni collettive, lavorando in piccoli gruppi, all’interno di particolari ambienti di apprendimento online (ad esempio può essere valido l’utilizzo di un wiki per la scrittura o la composizione collaborativa; il wiki si può trovare in dotazione normalmente anche all’interno ambienti di apprendimento online come Moodle[2]);
– l’inserimento di forme di verifica. Si possono alternare periodi di spiegazioni (una ventina di minuti) a test online su quanto svolto. Tale metodologia rende gli studenti più attenti, fa comprendere al docente come la classe reagisce alla sua spiegazione e quanto riesce a trattenere cognitivamente, evidenziando i casi più problematici. È in realtà un modo per allenare gli studenti a focalizzarsi sugli elementi essenziali della spiegazione, imparando a prendere appunti e autovalutando la loro capacità di attenzione e di acquisizione cognitiva;
– l’inserimento dell’Internet of the Thing nella didattica. Si può aumentare l’ambiente di apprendimento inserendo tag adesivi NFC o QR, in cui con il semplice sfioramento dello smartphone sul tag si attivano sullo schermo delle azioni, come ad esempio la visualizzazione di un video o di altri contenuti digitali;
– l’utilizzo della realtà aumentata e della realtà virtuale. In genere tali metodologie innovative si basano su costosi occhiali, ma in altri casi si possono sperimentare tali possibilità didattiche con semplici applicazioni presenti negli smartphone: i telefoni sono inseriti all’interno di economici contenitori che li trasformano in visiere indossabili (alcuni contenitori si possono perfino auto-costruire con il cartone, come nel caso di Google cardboard[3]).
I rischi del divieto
In realtà, se si applicasse un divieto assoluto, l’assenza degli smartphone a scuola non costituirebbe un problema dal punto di vista metodologico-didattico. Ogni scuola interessata al BYOD potrebbe creare dei laboratori itineranti usando dei notebook o i più economici tablet. Su richiesta e con particolari carrelli tali tecnologie verrebbero distribuite in una particolare aula.
I rischi di tale divieto sono altri. Essi sono indiretti, ma in realtà più profondi:
1. Si elimina un problema nascondendolo o trasferendolo ad altri. La scelta di bandire tutti gli smartphone dalle scuole può essere letta in questo modo: “Ci pensino le famiglie ad educare i figli, oppure in seguito gli psicologi o i dottori a curarli!”.
2. Gli atteggiamenti ondivaghi nei confronti delle tecnologie a scuola, siano esse controverse come gli smartphone o di altra tipologia, danneggiano fortemente l’innovazione. Per poco più di un anno si è incentivata la tecnologia e la metodologia BYOD, impiegando risorse e tempo per la formazione; ora si fa marcia indietro. Tali atteggiamenti nuocciono anche a livello di credibilità per future proposte: ogni indicazione che viene dall’alto sarà considerata temporanea, accolta con dubbio, deresponsabilizzando i docenti nell’attuarla. In definitiva tali atteggiamenti sono deleteri in una scuola che ancora oggi non ha raggiunto una massa critica di docenti abili utilizzatori tecnologici.
3. Si penalizzano i docenti sperimentatori (chiamati un tempo “innovatori silenziosi”), che si ritrovano con un nulla di fatto pur avendo investito giorni per migliorare le metodologie e l’interattività didattica con tali tecnologie.
4. I continui tira e molla (pro e contro) rafforzano le critiche mai sopite della parte “luddista” dei docenti e della società, che ancora vede un pericolo insito in tutte le tecnologie.
Una sfida educativa per la scuola: se non ora quando?
Ma la critica più pesante nei confronti di una normativa di divieto è che essa mina le fondamenta e la stessa credibilità della funzione educativa della scuola: si proibisce per legge perché la scuola non è in grado di educare o regolamentare nei giovani tale fenomeno. Si disconosce così la principale missione della scuola: educare, spiegare, far comprendere, rendere i giovani responsabili e in grado di distinguere i comportamenti positivi da quelli distruttivi. Si certifica così una sfiducia nell’istituzione Scuola e nella sua autonomia nel gestire costruttivamente tale fenomeno.
Questa considerazione stride però con la proposta parallela di inserire ope legis un’ora di educazione civica come singola disciplina. Quali ricadute etico-morali e di cittadinanza attiva si può pensare di ottenere con tale insegnamento, se a priori non si riconosce alla scuola la capacità di gestire e risolvere una questione come quella degli smartphone in classe?
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[1] Beland L., Murphy R., Discussion Paper No 1350: Ill Communication: Technology, Distraction & Student Performance, ed. CEP (Centre for Economic performance), May 2015, ISSN 2042-2695. Il report può essere scaricato dal seguente link: http://cep.lse.ac.uk/pubs/download/dp1350.pdf.
[2] Il sito di riferimento è il seguente: https://moodle.org/.
[3] Il sito di riferimento è il seguente: https://vr.google.com/cardboard/.