Regioni e sistema scolastico: storie di un rapporto difficile
La regionalizzazione del sistema scolastico è l’oggetto di una discussione nata a seguito dell’istituzione delle regioni a statuto ordinario, che aveva conferito a queste ultime competenze in materia di diritto allo studio e formazione professionale. Fece la sua comparsa in Parlamento con una proposta di legge approvata in commissione alla Camera, entrò nelle pieghe delle riforme degli enti locali e del decentramento della pubblica amministrazione con il federalismo fiscale, fino a prendere consistenza attraverso l’attribuzione dell’autonomia e della personalità giuridica alle scuole.
Il passaggio avvenne però solo parzialmente, limitato alla programmazione della rete scolastica e dei servizi a supporto del funzionamento. L’ordinamento, collegato al valore legale dei titoli di studio, e la gestione del personale rimasero allo Stato, il quale, anche come principale finanziatore, continuò ad esercitare il potere sull’intero sistema.
Le proposte “forti” di tre regioni del Nord
La modifica del titolo quinto della Costituzione propose una diversa articolazione delle funzioni tra Stato e regioni, che però non fu applicata e quindi lasciò il quadro sostanzialmente immutato. L’art. 116 di quella riforma però offrì la possibilità alle regioni di avere una maggiore autonomia su certe materie, tra le quali appunto l’istruzione. Diverse di loro avanzarono proposte ed ora sembra che il governo sia intenzionato a soddisfare tali richieste. Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, e altre lo stanno facendo, hanno elaborato precisi progetti, pronti per affrontare l’iter parlamentare.
Viene prefigurato un quadro piuttosto ampio di competenze da devolvere alle regioni: dalle norme generali al governo del personale, dagli istituti tecnici al collegamento con l’istruzione e formazione professionale, dalla programmazione della rete scolastica ai rapporti con l’università e il mondo del lavoro, dall’educazione degli adulti all’edilizia scolastica. Queste competenze sono rivendicate dalle regioni che più di altre lamentano il ritardo dello Stato nell’organizzazione del sistema stesso, e che intendono garantire maggiore efficienza nell’utilizzo del personale, oltre a misure di incentivazione economica, che, com’è noto, sono già in atto nel Trentino-Alto Adige.
Secessione, federalismo, regionalismo: la tenuta unitaria del Paese
Era logico aspettarsi che centralismo e regionalismo tornassero a combattersi, all’insegna del miglioramento della qualità (i territori) e garanzia dell’equità del sistema (il centro). La novità di questa fase è che le forze politiche oggi al governo appoggiano l’autonomia delle scuole e dei territori, e la Lega pensa addirittura a concorsi per docenti sulla base di fabbisogni regionali. Sono attese a giorni le prime proposte di autonomia regionale differenziata, che devono comunque essere vagliate ed approvate dal Parlamento (sulla base di quanto previsto dal Titolo V della Costituzione, riformato nel 2001).
Tutte le regioni che oggi rivendicano maggiore spazio istituzionale si schierano comunque a favore della difesa dell’unità nazionale del sistema e della coesione sociale; la secessione è dunque tramontata. Dietro ad eventuali resistenze sindacali nel trattamento del personale sarebbe bene considerare che uno spazio integrato con la formazione professionale regionale potrebbe migliorare l’efficienza complessiva del servizio, perché una tale integrazione darebbe organicità all’intero comparto, che acquista un’importanza sempre maggiore sul piano dei rapporti con il mercato del lavoro.
Un sistema educativo a rischio di equità?
Le preoccupazioni circa l’equità non sono state soddisfatte dal centralismo di questi anni, se guardiamo agli scompensi sociali tra i diversi territori, che hanno portato alla dispersione ed alle differenze negli apprendimenti. Lo Stato come custode dei livelli essenziali delle prestazioni ed una maggiore autonomia regionale e locale potranno generare, anche in base ai costi standard (come avviene nella sanità), un miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia del sistema stesso.
Una ricerca del CENSIS (2018) evidenzia un regionalismo differenziato di fatto, ma anche un forte bisogno di rappresentanza dei territori e la necessità di una ridefinizione dei rapporti tra le regioni e lo Stato centrale, per arrivare fino alla programmazione europea. Il riaccentramento istituzionale degli ultimi anni ha comportato una riduzione della partecipazione nel voto locale e la perdita di fiducia negli enti periferici. Le specificità dei territori italiani rimangono elevate e la disintermediazione non può funzionare per governare lo sviluppo.
Le buone pratiche “federali” di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna
Il decentramento politico dunque riflette valori e scelte di fondo, che realizzano il principio democratico e che si possono già vedere in precedenti azioni delle citate regioni, che sono più avanti nel nuovo processo legislativo. La tendenza del Veneto è quella di affermare i contenuti identitari, come si evince dal protocollo d’intesa firmato recentemente con il MIUR “per lo sviluppo di competenze degli alunni in materia di storia e cultura del Veneto” (2018), che è possibile inserire nel curricolo scolastico. La Lombardia esprime una visione più pragmatica attraverso la quota regionale dei piani di studio, mirata a sostenere le così dette competenze trasversali e di cittadinanza: elaborare un progetto di vita, agire comportamenti responsabili, interagire con più soggetti nell’ambito delle relazioni di vita, anche in lingue diverse, ecc., in aree tematiche che guardano allo sviluppo del pensiero critico, ad ambiente e sostenibilità, sicurezza, salute, ecc., in stretto raccordo con il tessuto sociale, culturale e produttivo. Tutto questo cercando di intervenire sugli standard nazionali dei percorsi formativi, senza aggiungere ulteriori contenuti (2009). L’Emilia Romagna con la sua legge 12/2003 valorizza l’autonomia delle istituzioni scolastiche, quale garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale, e trasferisce alle stesse ogni competenza propria in materia di curricoli didattici.
Coniugare standard nazionali ed esigenze dei territori
Modi diversi di governare il nostro sistema educativo non tolgono nulla al raggiungimento di standard nazionali ed ora anche europei, ma possono far sentire un impegno maggiore nell’incontrare le esigenze del proprio territorio. Questa è la strada che il legislatore dovrebbe intraprendere nei prossimi mesi.