La voce del “popolo della scuola”
Bella l’idea di dare la parola ai partecipanti alla prova scritta del concorso (90% dei rispondenti al questionario proposto da Tecnodid, che ha visto la partecipazione complessiva di 1808 persone), anche attraverso la possibilità di esprimersi con un testo “libero”. L’opportunità è stata molto gradita dai docenti, e sono pervenute centinaia di osservazioni e suggerimenti, di cui si cercherà di dare conto in questo report giocoforza sintetico e parziale.
Non sono mancate le espressioni forti e colorite, come: “pazzo… chi si sottopone a questa tortura”, “siamo esseri umani, non robot”, “una prova da dattilografi provetti”, “una gara di velocità”, “automi nevrotici sulla tastiera”, “un’esperienza da dimenticare”; per non parlare dello stress da pinzettature delle “parti del codice che non vanno” (“il mio Auriemma è ora rovinato!”), del ticchettio di 26 computer funzionanti contemporaneamente (un disturbo di sottofondo che ritorna in parecchie testimonianze), degli spazi ristretti, dei monitor scarsamente leggibili, dei ruvidi “vigilantes”…
Di fronte a questo bailamme, certamente amplificato dai social e dalla vicinanza emotiva della prova, spuntano anche i fautori del “vecchio temone di 6 ore” o la più meditata richiesta di “non rubare a candidati la possibilità di pensare”.
Ognuno carica il concorso di un proprio vissuto, fino a spingersi a sognare un “corso concorso… non selettivo” o la “scelta del collegio” dei docenti, sulla base di un curricolo professionale. In generale le proposte di riforma del concorso appaiono ben argomentate e certamente meritevoli di attenzione.
Da non sottovalutare anche il fastidio per i “furbetti” dal ricorso facile… e per le “parcelle” di avvocati in cerca di clienti… Ce la potremo mai fare?
Alla ricerca del tempo (perduto)
Moltissime critiche si sono focalizzate sulla questione del tempo concesso per la prova, considerato da tutti insufficiente, tanto da trasformare la prova in una “corsa contro il tempo”. C’è chi si spinge anche a quantificare il tempo necessario (“almeno una trentina di minuti in più” oppure una durata di “240 minuti” o di “300 minuti” o di 8 ore: sono presenti tutte le varianti) o a ridurre il numero dei quesiti (magari con uno solo da approfondire tra quelli proposti). Molti chiedono di eliminare la prova di lingua e di destinare quel tempo ai quesiti a risposta aperta.
Molti lamentano di non aver avuto la possibilità di rivedere il lavoro svolto e di rileggere le tracce predisposte. Una vera elaborazione richiede un’adeguata riflessione, pena risposte “superficiali e banali”. Non si analizza e risolve un caso complesso in 20 minuti. L’attuale impostazione non consentirebbe di “esporre in maniera approfondita processi, dinamiche organizzative e gestionali complesse”. La procedura rivela un “eccesso di pragmatismo e di nozionismo”, che rischia di dar luogo a scritture come se fossero un “elenco di procedure e di norme”. Non è questo il lavoro del futuro dirigente, e ci si meraviglia che il MIUR non colga la delicatezza della questione. “L’orologio è stato il tiranno della prova”.
Il digitale alla prova: A.A.A. cercasi programma di videoscrittura user-friendly
C’è chi sottolinea le limitazioni dovute alla procedura informatizzata, che non presentava la funzionalità tipiche degli editor word: salvataggio in automatico, correzione errori di battitura, possibilità di gestione del testo, elenchi puntati, copia e incolla, interfaccia grafica adeguata… Per alcuni la tecnologia hard e soft ricordava “una vecchia macchina da scrivere”, tale da provocare “penalizzazioni inutili”… Molti lamentano di non aver potuto materialmente salvare l’ultimo quesito in progress. Ci vorrebbe “un controllo più stringente sulla dotazione tecnologica dei laboratori”.
E poi come fare con “le persone con disabilità visive e DSA?”. E le persone di una certa età? Insomma qualcuno la prova avrebbe voluto “scriverla di proprio pugno”, per poterla controllare e rivedere (o almeno potersi costruire una propria mappa cartacea “per strutturare il percorso”).
Sensatamente si chiede di stabilire “un numero massimo di caratteri per ciascuna risposta”. Il numero di battute è indicativo delle abilità di sintesi molto di più della velocità di risposta. Sarebbe necessario aumentare (da due a tre volte) il tempo a disposizione, necessario per buone sintesi e riflessioni. C’è chi si riferisce all’esempio di Bolzano [dove il tempo concesso era maggiore: 240 minuti, senza uso di codici] e non si capacita della differenza tra queste diverse realtà geografiche del nostro Paese.
Non manca qualche nostalgico del “tema classico”, o almeno del saggio argomentativo (o della tipologia “saggi brevi”). C’è chi reclama carta e penna: “non siamo nativi digitali”!
Si teme che le procedure legate al digitale (interruzioni, ecc.) facciano aumentare un contenzioso, già di per sé assicurato.
I contenuti dei quesiti
Sui contenuti prevale una moderata soddisfazione. “Tre dei cinque quesiti erano dei veri e propri studi di caso, interessanti e coinvolgenti”. Qualcuno, però, li ha considerati “semplicistici”, “aridi”, banali, e li avrebbe voluti di più ampio respiro culturale (e comunque “graduati anche per difficoltà” e non troppo blandi). Ci si aspettava una scelta di tematiche più differenziata (troppi 3 quesiti sul POF) e attinente ai diversi punti del programma d’esame, in particolare a una seria conoscenza delle norme. C’è chi si è sentito non riconosciuto nella propria preparazione.
Altri precisano che l’attuale concorso non è in grado di “far emergere la personalità, le capacità relazionali, le capacità organizzative, le capacità gestionali del dirigente”. Si sarebbe dovuto insistere sulla vision innovativa del futuro dirigente, mentre il rischio è di privilegiare un “DS burocrate e piccino”.
Sono comunque parecchie le voci dissonanti per l’eccessivo spazio dato alle “azioni” del dirigente (una scelta ministeriale per alcuni inattesa) e il poco spazio al diritto (e al “ragionamento giuridico”) o alle conoscenze tecniche di base, di tipo amministrativo. Molti temi suggeriti dal bando non sono stati minimamente considerati (sicurezza, attività negoziale, responsabilità, ecc.). Qualcuno ha visto un vantaggio competitivo per i colleghi del primo ciclo.
Inoltre affrontare e contestualizzare un caso richiede molto più tempo. L’aspetto pratico (es. l’analisi di caso) dovrebbe essere rimandato alla fase successiva del tirocinio e, semmai, alla prova orale. C’è chi propone una mediazione: due prove scritte, una di carattere culturale generale e una di quesiti operativi (come nel 2011).
In controluce si leggono diverse idee di dirigente scolastico, tra chi vorrebbe porre l’attenzione quasi esclusiva alle dimensioni amministrativo-gestionali e chi proietta la figura in una dimensione di leadership educativa.
La questione della lingua straniera
Le domande di lingua configurerebbero una “enorme disparità di trattamento” tra i candidati, avvantaggiando i colleghi di lingue straniere. Intanto sarebbe stato opportuno presentare lo stesso testo tradotto in più lingue. I quesiti dovrebbero comunque essere più semplici (“brani più brevi”) ed avere meno peso nel punteggio. E perché non inserirli nella prova preselettiva? Oppure posticiparli all’orale? Oppure limitarli all’inglese? Qualcuno fa notare che la prova era nettamente superiore allo standard B2 richiesto dal bando (specie la prima traccia di inglese, tra l’altro di difficile leggibilità).
La prova di comprensione dovrebbe essere disponibile su cartaceo, per poter sottolineare, rileggere… Le competenze di lingua straniera si potrebbero documentare a parte, con certificazioni linguistiche legali.
Come modificare il concorso
La procedura concorsuale attuale viene giudicata troppo complessa, un “dispendio di energie intellettuali”. Andrebbe resa più snella e “meno esposta ai contenziosi”.
Qualcuno ritiene che il superamento del testing iniziale ed un successivo colloquio orale potrebbero essere sufficienti. Altri preferirebbero una selezione preliminare sulla base di curriculum (magari integrato da un colloquio), in quanto “una prova preselettiva basata sui quiz può lasciar fuori gente brava e capace di dirigere”. Comunque i test non dovrebbero essere pubblicati preventivamente, mentre i criteri di valutazione e i quadri di riferimento dovrebbero essere conosciuti al momento del bando.
Il concorso andrebbe riformato già a partire da quello in atto, abolendo l’ultimo esame scritto ed orale [quello previsto, per ora, dal bando]. Il tirocinio però viene difeso, anzi lo si vorrebbe rafforzare (e farlo diventare oggetto di valutazione, con prove di tipo operativo). Si considera “utile l’osservazione in situazione” e la “formazione sul campo”, prima dell’assunzione in servizio dei vincitori. Qualcuno si spinge a chiedere per i futuri dirigenti “un mese in presidenza senza tutoraggio”.
Prova preselettiva: un giudizio ambivalente
I giudizi sulla prova preselettiva appaiono discordanti: chi la toglierebbe (perché è “solo uno sforzo animalesco di memoria”), chi invece vorrebbe farla contare di più. Emerge un’inaspettata preferenza per le prove a risposta chiusa, che sembrano più oggettive di quelle aperte. Qualcuno vorrebbe dare alla preselettiva un peso anche nel punteggio finale. Altri propongono uno sbarramento certo – e più alto – della preselettiva (80 punti), e un abbassamento della soglia (60 punti) per lo scritto. [E così si capiscono anche le interpretazioni discordanti di candidati, avvocati, magistrati…].
Sembra preferita una prova preselettiva “su test non conosciuti in anticipo” (per evitare una semplice “memorizzazione delle risposte”) e maggiormente pertinenti al funzionamento della scuola.
Il mito dell’oggettività
Non ci si fida dei criteri di valutazione (e dei valutatori), e dunque si preferirebbero risposte predefinite, quesiti strutturati, “cloze test” e, per alcuni, l’abolizione tout court della prova scritta “perché troppo soggettiva” (oppure passare a correzioni centralizzate).
Anche in questo caso emergono due tendenze: trasformare la prova scritta in domande a risposte multiple chiuse (come la preselettiva) oppure mantenere una struttura “narrativa”, ma imperniata sull’elaborazione/soluzione di casi (modello francese), per offrire alle commissioni la possibilità di “leggere anche fra le righe le personalità e le competenze del candidato”.
Comune e insistita è la richiesta di rendere note le regole del gioco (criteri di valutazione, quadri di riferimento, tipologie di prove, ecc.) all’inizio dell’intera procedura concorsuale, e non a ridosso delle prove. È stato spiazzante apprendere all’ultimo momento che i quesiti avrebbero riguardato le azioni professionali del dirigente.
Ha colpito negativamente il difforme comportamento delle commissioni di fronte ai testi consultabili: candidati, “vigilantes” e case editrici dovrebbero disporre di regole certe, per un elementare principio di “equità di trattamento”. Si fa strada l’idea che “la consultazione della normativa dovrebbe essere fornita direttamente dal sistema sul pc”.
Il reclutamento in prospettiva
Pensando a nuove forme di reclutamento, si prefigura un accesso preliminare per titoli (non per prove preselettive), con una robusta formazione iniziale (di livello universitario, per alcuni biennale o triennale). La formazione preliminare – sulla base di standard accreditati – dovrebbe essere oggetto di valutazione, con modalità che però appaiono divergenti. Alcuni infatti preferirebbero esami in itinere, altri una tesi finale, un project work, l’“analisi di un caso complesso”. Poi si dovrebbero affinare le competenze relazionali e di problem solving, attraverso “un tirocinio formativo attivo con un dirigente scolastico tutor”, da validare con un colloquio d’esame finale e formulazione di una graduatoria di merito. La formazione dovrebbe essere “altamente professionalizzante” ed avere un valore abilitante.
Per alcuni sarebbe opportuno uno sbarramento di 5-10 anni di ruolo (comunque considerando maggiormente “sia i titoli di studio sia l’esperienza lavorativa”), magari con un accesso “preferenziale” allo scritto dei collaboratori vicari (qualcuno parla anche di concorso riservato). Però l’ala giovanilista non apprezza i “matusalemme che a sessanta e più anni partecipano al concorso” (qualcuno ipotizza una quota di riserva per i giovani). Si reclama un concorso ogni anno, secondo i fabbisogni regionali. Qualcuno si spinge a chiedere il ripristino degli incarichi, visto il fenomeno delle reggenze. Qualcun altro guarda all’Europa e ad un reclutamento sulla base del curriculum vitae. Pochi però optano per la “chiamata per competenze” o “per reputazione”.
Molti prefigurano diverse modalità di reclutamento, ad esempio procedure riservate (un doppio canale?) alle figure di middle management, in particolare a chi svolge funzioni di staff. Questa esperienza maturata sul campo dovrebbe essere – per alcuni – un requisito obbligatorio. Provenire dalla gavetta sarebbe “indice di sicuro successo per un dirigente”, riconosciuto anche dalla propria comunità.
Il dirigente “empatico”, quello “riflessivo” e quello “veloce”
In definitiva, una procedura come quella che si sta realizzando difficilmente consentirebbe la verifica dei requisiti indispensabili per un dirigente scolastico: “equilibrio, empatia, capacità organizzative, autorevolezza”. Servirebbe uno psicologo del lavoro, non un cronometrista. C’è il rischio della “demenza digitale”, mentre il futuro dirigente deve saper pensare e saper scrivere. Deve “dimostrare la propensione a ricoprire incarichi, avere responsabilità all’interno dell’istituzione scolastica”.
Anche le motivazioni dovrebbero essere sondate, attraverso un “colloquio attitudinale” preliminare. L’intelligenza emotiva è importante per un dirigente, come pure la capacità di “gestire conflitti e stress”.
In definitiva bisognerebbe reclutare i dirigenti “secondo le loro capacità pratiche”, da sviluppare attraverso master formativi e lavoro sul campo. Le commissioni d’esame dovrebbero “investire più tempo con i candidati in situazioni di realtà”. Per ora, almeno, lo si faccia attraverso una significativa “interazione vis-à-vis” nella prova orale.
In sintesi
Dovendo trarre delle indicazioni di sintesi, questi i punti più ricorrenti tra chi ha risposto al sondaggio:
- migliorare il clima e il contesto delle prove, per assicurare trasparenza ed equità;
- la preselettiva con quiz mnemonici non è il metodo migliore per individuare i candidati;
- il curriculum e l’esperienza professionale dovrebbero avere un peso maggiore;
- la prova scritta con quesiti aperti richiede molto più tempo per un’elaborazione “sensata”;
- i supporti digitali hanno ostacolato piuttosto che agevolato la prova;
- la prova di lingua è sopravvalutata e crea disparità tra i candidati;
- resta il problema dell’oggettività nelle correzioni di prove “aperte”;
- va evitata la confusione nella questione dei testi da consultare in sede di prova;
- occorre una formazione iniziale consistente al ruolo dirigenziale, e poi un vero corso-concorso;
- il tirocinio sul campo va adeguatamente organizzato (e valutato);
- un colloquio, iniziale o in itinere, potrebbe consentire di valutare motivazioni e competenze relazionali;
- qua e là affiora la richiesta di concorsi per titoli, o di scelta da parte della comunità scolastica.