Il dibattito (culturale) sul futuro della scuola sembra oscillare sul dilemma, ormai sviscerato da molti punti di vista, tra centratura del progetto formativo sulle competenze o sulle conoscenze. Tra una scuola che sembra proiettarsi verso la spendibilità immediata della formazione per il mondo del lavoro, o per la solidità di una formazione disinteressata per la cittadinanza. Sembrano essersi formati due veri e propri partiti (Muraglia, 73), con tanto di raccolta di firme, petizioni, documenti, ecc. Manca, però, un approfondimento più sereno delle questioni in gioco (Cavallari, 85), che portano ad un avvicinamento delle due polarità: cosa sono le competenze se non “conoscenze evolute”? E se è l’aspetto operativo a preoccupare, perché non dire che le competenze sono un “uso intelligente”, in contesti sociali, nello studio, a livello personale, degli apprendimenti acquisiti prevalentemente in esperienze formali?
Questo approccio è stato evidenziato nel documento “Indicazioni nazionali e nuovi scenari” (Cerini, 79), in cui viene proposta una rivisitazione delle Indicazioni del 1° ciclo (2012) alla luce delle sfide della contemporaneità (nuovi media, globalizzazione, tecnologie, valori “liquidi”, ecc.), per riconfermare il ruolo essenziale della scolarizzazione di base (Spinosi, 81). È da una sicura padronanza degli alfabeti (literacy, numeracy) che si consolidano apprendimenti duraturi e le stesse competenze di cittadinanza (Cerini, Loiero, Spinosi, 90), che non sono cosa diversa o alternativa all’istituzione (Seccia, 92). Il futuro che ci attende (Bettini, 81) richiederà la formazione di cittadini capaci di affrontare le nuove domande, sapendo integrare i diversi saperi proposti dalla scuola, al di là di vecchi steccati tra cultura umanistica e cultura scientifica.