Parola di Ministro: il Miur diventa “parte civile”
Durante l’audizione alle VII Commissioni riunite di Camera e Senato, il Ministro Bussetti, illustrando le linee programmatiche del dicastero, ha preliminarmente espresso l’intenzione di “ascoltare tutte le componenti del mondo della scuola … per migliorare il sistema educativo”, e quindi ha aggiunto che “la società liquida nella quale viviamo … ha progressivamente trasformato la visione collettiva della scuola assimilandola ad un servizio percepito dalle famiglie a volte scontato … La rottura del patto formativo scuola-famiglia ha fatto sì che purtroppo nell’immaginario collettivo il docente non rivestisse il ruolo di educatore posto alla base del rapporto di crescita e sviluppo degli allievi. Depauperati di questo ruolo, i docenti sono stati – ne parlano le cronache recenti – oggetto di manifestazioni violente, estremizzate a volte da inspiegabili quanto inutili prevaricazioni. E insieme ai docenti la scuola tutta risente del clima generale di impoverimento culturale. Ecco perché esigo, anzi pretendo, che gli studenti e le loro famiglie abbiano nei confronti dell’istituzione scolastica e di tutte le sue componenti un atteggiamento di rispetto. Ho già dichiarato, e voglio ribadirlo in questa sede, che è mia ferma intenzione verificare e valutare con gli organi preposti la possibilità che il Ministero si costituisca parte civile nei procedimenti penali che abbiano ad oggetto episodi di violenza, o anche di semplice minaccia, posti in essere da studenti o dai loro genitori/parenti nei confronti di docenti, dei dirigenti o del personale ausiliario”.
Patto educativo e contratto formativo
Il Ministro ha parlato di “patto formativo”, una definizione che fonde terminologicamente il più noto e recente “patto educativo di corresponsabilità” del Dpr 235/2007, “finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”, con il “contratto formativo” previsto dalla Carta dei Servizi del 1995, che costituisce la “dichiarazione, esplicita e partecipata, dell’operato della scuola”.
Appare sostanzialmente chiara la differenza di contenuti, sebbene oggi potremmo considerare il secondo compreso nel primo.
Cosa dice il Codice Penale
Prima di entrare nel merito di questo argomento, occorre evidenziare che la costituzione di parte civile delle amministrazioni dello Stato nei procedimenti penali è prevista in generale dall’articolo 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3, per il quale “deve essere autorizzata dal Presidente del Consiglio dei Ministri”, previo parere della competente Avvocatura dello Stato allorquando, in considerazione degli interessi in discussione, è opportuno che affianchi l’azione del pubblico ministero.
Nell’ambito degli enti locali, ad esempio, la giunta municipale ha riconosciuto la legittimazione del Comune a costituirsi parte civile nel procedimento penale avente ad oggetto l’ipotizzato reato di “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale” previsto e punito dall’art. 336 c.p., costituendo in tal caso il bene giuridico tutelato (corretto e normale funzionamento della P.A.) fattispecie plurioffensiva, essendo persone offese tanto il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio oggetto della condotta illecita, quanto la pubblica amministrazione. Infatti l’art. 336 c.p., nell’ambito dei previsti reati contro la P.A., sanziona “chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio”.
Quando ci si costituisce “parte civile”
I fatti sopra considerati non appaiono tuttavia inquadrabili in tale fattispecie, trattandosi tra l’altro piuttosto di azioni “ritorsive”, cioè reazioni, comunque non giustificabili, a presunte “ingiustizie” subite dagli studenti.
È invece sempre più frequente la costituzione di parte civile delle PP.AA., con funzione riparatoria e compensativa, nei procedimenti penali aventi come persona offesa appunto la P.A., per ottenere il ristoro del danno all’immagine cagionato dall’imputato – dipendente dell’amministrazione – con il suo comportamento delittuoso. In particolare la Corte di Cassazione nella sent. n. 35205 del 16/3/2017 ha stabilito, richiamando precedenti pronunce, l’autonomia della giurisdizione civile e contabile, salva la preclusione derivante dal giudicato.
Crisi generalizzata di fiducia reciproca
Non si può non pensare ai casi che hanno portato a presentare, anche durante questa legislatura, una proposta di legge (C. 480 presentata il 6 aprile 2018), sul presupposto che “le cronache degli ultimi anni riportano un numero sempre maggiore di episodi di maltrattamento”, per l’introduzione di impianti di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia, per i quali, anche con maggiore forza in considerazione della fragilità dei soggetti coinvolti, va invocato quel rispetto tra le componenti che esigerebbe la costituzione di parte civile della P.A.
Potrebbe apparire invece, da quanto innanzi riportato, che la “rottura del patto formativo” derivi piuttosto da un “tradimento” operato solo da studenti e famiglie, e non – come ci mostrano i fatti di cronaca – da una crisi reciproca e generalizzata nell’auspicata alleanza educativa in realtà ancora irrealizzata.
In questo senso quindi la scuola, quale “comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (art. 3 D.lgs. 297/1994), diventa espressione del predetto “clima generale di impoverimento culturale”.
Ricostruire l’alleanza educativa
Può essere dunque la costituzione di parte civile la strada per costruire l’alleanza? Può stipularsi un patto da tale premessa? In realtà questo patto si è rotto, o non è mai stato davvero condiviso e sottoscritto?
Non basta infatti sottoporre un prestampato nei primi giorni di scuola o inserire una spunta nel modulo on line al momento dell’iscrizione. Occorre una condivisione, un dialogo continuativo, un confronto che nasce da un sempre più esteso coinvolgimento, giacché “non conoscenza e disinteresse si rinforzano a vicenda” (Audizione UCIIM 2004). E proprio l’obiettivo di “rafforzare la collaborazione tra scuola e famiglia”, attraverso occasioni e strumenti concreti di condivisione, ha informato i lavori che avevano portato, nella precedente legislatura, alla proposta di revisione del patto di corresponsabilità.
Insegnare la cultura delle regole
Del resto, come illustra la nota del 31 luglio 2008 che aveva esplicato il DPR 235/2007, la scuola, “quale luogo di crescita civile e culturale della persona, rappresenta, insieme alla famiglia, la risorsa più idonea ad arginare il rischio del dilagare di un fenomeno di caduta progressiva sia della cultura dell’osservanza delle regole, sia della consapevolezza che la libertà personale si realizza nel rispetto degli altrui diritti e nell’adempimento dei propri doveri. Il compito della scuola, pertanto, è quello di far acquisire non solo competenze, ma anche valori da trasmettere per formare cittadini che abbiano senso di identità, appartenenza e responsabilità”. Questa cultura della cittadinanza, verso la quale vi è una rinnovata attenzione, dovrebbe caratterizzare tutti i rapporti nell’ambito della comunità scolastica. L’autonomia infatti consente di programmare e condividere con tutti gli attori “il percorso educativo da seguire per la crescita umana e civile dei giovani”, rispetto al quale abbiamo già sperimentato la scarsa efficacia dell’inasprimento delle sanzioni.