Gli effetti della riforma Fornero
Da un po’ di anni siamo abituati a sentir parlare, o a parlarne noi stessi, della Legge Monti-Fornero, che dal 2012 ha inasprito i requisiti per il diritto alla prestazione pensionistica, ed ha unificato la gestione delle casse pensionistiche esclusive pubbliche presso l’Inps.
La riforma Monti-Fornero, pur essendo un provvedimento che cadde sulle teste dei lavoratori italiani come fulmine a ciel sereno, non è altro che la continuazione del processo di revisione del sistema pensionistico italiano già iniziato nella prima metà degli anni ’90, e che è parte di una rivisitazione, più in generale, del sistema di welfare, motivata principalmente dalla riduzione della spesa pubblica e dai forti cambiamenti demografici registrati nella società, in particolare l’aumento dell’aspettativa media di vita e la diminuzione della natalità.
Senza dover intervenire sulla giustezza o meno delle motivazioni che hanno indotto all’introduzione della riforma Monti-Fornero, non si può non riconoscere l’effetto contenitivo del numero dei pensionamenti dal 2012 al 2017, che, terminato l’effetto ritardante, avrebbe portato inevitabilmente al boom delle richieste di pensionamento, anche in considerazione di un parco lavoratori, quelli del comparto scuola, abbastanza anziano.
Il passaggio di competenze all’INPS
I dipendenti statali inoltre, a metà degli anni ’90, sono stati oggetto della riforma che ha dismesso il sistema del “Conto Tesoro” per il sistema di contribuzione ad una specifica cassa previdenziale esclusiva dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (CTPS – Cassa Trattamenti Pensionistici dei dipendenti dello Stato). Tale modifica, oltre alla “questione contributiva”, nel tempo ha fatto in modo che le competenze in merito alla quiescenza ed alla previdenza dei lavoratori dello Stato fossero riconosciute dall’Ente/Amministrazione all’Istituto Previdenziale (dapprima Inpdap, istituito con la L. 537/1994, ed ora Inps, in virtù dell’art. 21 L. 214/2011), con il conseguente depotenziamento degli uffici dell’amministrazione sulle competenze previdenziali.
Tutto ciò, unitamente alle problematiche del mercato del lavoro che hanno fatto sì che le storie lavorative delle singole persone diventassero sempre più complesse, ha complicato notevolmente le operazioni di valutazione sul perfezionamento del diritto pensionistico. Da ciò si desume che non è più possibile operare nello stesso modo con cui si operava qualche anno fa, quando le posizioni previdenziali dei lavoratori venivano definite qualche mese prima del pensionamento.
Complessità e pluralità delle opportunità pensionistiche
La complessità delle vite lavorative con la diversificazione delle contribuzioni, la complessità delle possibili azioni e variabili che un lavoratore può richiedere (riscatti, ricongiunzioni, computi, accrediti figurativi, ecc.), e le diverse possibili opportunità pensionistiche (pensione ordinaria, cumulo, totalizzazione, computo in gestione separata, opzione al contributivo, anticipo pensionistico – APE,…) che possono essere richieste, unite alle diversità di funzionamento delle casse/fondi previdenziali, necessitano di competenze elevate che non sono facilmente reperibili.
Peraltro una problematicità che viene poco compresa è che, ai fini della quiescenza, valgono solo i giorni che hanno dato origine ad una contribuzione o che sono stati riscattati, ricongiunti, computati, più in generale accreditati, i quali vengono calcolati nei programmi dell’amministrazione con il principio dell’anno civile, mentre le regole di funzionamento della cassa previdenziale pubblica prevedono il conteggio (che banalmente possiamo semplificare) dell’anno commerciale.
A.A.A. banca dati delle posizioni assicurative cercasi…
Non è da sottovalutare la questione che l’Inps ha ereditato dall’ex-Inpdap: la mancanza di una banca dati delle posizioni assicurative dei dipendenti pubblici. Le motivazioni di tale mancanza non sono solo addebitabili all’ex istituto previdenziale, ma anche ai diversi enti/amministrazioni che non hanno espletato e/o comunicato le pratiche per la quiescenza e la previdenza, facendo in modo che l’istituto previdenziale non fosse a conoscenza delle informazioni necessarie per la costruzione della banca dati, necessaria per una certificazione reale della posizione assicurativa dei dipendenti pubblici (al pari di quanto esiste per i lavoratori dipendenti del settore privato e/o autonomi).
L’Inps ha già iniziato il lavoro necessario per recuperare tutto ciò, ma sarà necessario attendere un bel po’ di tempo al fine di raggiungere obiettivi importanti rispetto ad una complessità crescente: fare in modo che i dati possano essere controllati, corretti, completati e certificati. Nel frattempo questa mancanza incide negativamente sui processi di cambiamento dei lavoratori, rendendo più problematici il quadro previdenziale e la definizione del diritto soggettivo alla pensione, il quale rimane relegato ancora ad un’azione semi-manuale, non immediata.
Quanti in pensione da settembre?
Così oggi si discute molto delle quasi 35000 domande di pensione per il prossimo 1° settembre 2018 (ed è facilmente prevedibile che tale numero non sia destinato a diminuire nel futuro prossimo), della burocrazia che sta ritardando l’accertamento del diritto in diverse aree del territorio nazionale, e delle differenze che spesso si riscontrano tra le anzianità determinate dall’Amministrazione e quelle determinate dall’Inps. Ritardi e disservizi rischieranno di essere pagati direttamente dai lavoratori, non solo perché l’erogazione effettiva delle prestazioni pensionistiche potrebbe slittare, lasciando per qualche mese senza retribuzione i nuovi pensionandi (già è successo lo scorso anno, nel quale ci sono stati pensionati che hanno ricevuto la pensione solo a dicembre/gennaio), ma anche perché i lavoratori attivi rischiano di pagare le implicazioni in merito ai tempi di definizione degli organici effettivi (in base ai quali effettuare trasferimenti, assegnazioni e passaggi di ruolo), con possibili ripercussioni sul calendario di inizio anno scolastico, e quindi sugli studenti.
…per non parlare dell’APE…
L’immobilità istituzionale arriva a livelli paradossali quando si prende in considerazione l’Anticipo Pensionistico (APE), per il quale il diritto soggettivo ad avvalersi di questa opportunità (?) istituita dal Parlamento viene riconosciuto dall’Inps a partire da una certa data (esempio: 01.11.2018 o 01.02.2019), ma non esiste nessuna nota del Miur che definisca l’iter e le modalità di applicazione dell’APE all’interno di un’organizzazione che cerca di preservare l’univocità e la continuità dell’anno scolastico.
Non possiamo far altro che augurarci che Miur ed Inps possano definire un processo dialogico efficace ed efficiente per il benessere dei lavoratori e dell’intero sistema scolastico, fino a quando non sarà messo a punto un sistema che renda semplice e certa la definizione di tutti gli elementi della pensione dei dipendenti del comparto scuola.
Utopia o semplice richiesta identitaria e di serenità dopo una trascorsa vita lavorativa?