Una circolare “pedagogica”
Il Miur, con la nota del 17.5.2018, n. 1143 “L’autonomia scolastica quale fondamento per il successo formativo di ognuno”, offre alle scuole un documento di approfondimento riguardante il diritto allo studio in vista del successo formativo di ogni alunna/o.
Il tema non è certamente nuovo. Considerati gli sviluppi che conosceremo meglio nel corso dell’a.s. 2018-2019, ritengo opportuno inquadrare il contributo del Ministero nel complesso quadro di attuazione del D.Lgs. n. 66/2017 relativo alla promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, in cui si afferma che l’inclusione “è impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica, le quali … concorrono ad assicurare il successo formativo degli studenti” (art. 1).
Il documento sviluppa una serie di riflessioni che richiamano le funzioni del dirigente, dei docenti, delle famiglie e, soprattutto, dei contesti di apprendimento. L’inclusione, infatti, rientra in un lavoro di paziente tessitura, che persone con diversi profili di responsabilità devono concretizzare, nell’ottica di un miglioramento continuo delle strategie che ogni giorno a scuola, in classe e negli altri ambienti di vita mettono in pratica. Se migliorano le persone, migliorano anche i contesti e le organizzazioni.
La sfida dell’inclusione si gioca in classe
Nel nostro sistema d’istruzione il perno di una scuola inclusiva è rappresentato dalla gestione della classe, ambiente nel quale si promuovono relazioni amicali, acquisizione di regole, passione per lo studio, rapporti con adulti, cura di interessi, attitudini e comportamenti improntati ad una cittadinanza attiva.
Nel documento del Miur si sottolinea che non bisogna guardare alla classe “come ad un insieme di singole persone“, ma come ambiente di autentiche relazioni, nel quale ognuno deve saper “prendersi cura” di sé e dell’altro. In questa sfida gli studenti sono una componente di prim’ordine nella costruzione di una scuola che guarda alle diversità come risorsa, e non come ostacolo.
Scuola e comunità per un sistema curante
La finalità generale è quella di costruire un “sistema curante” (vedi Fig. 1) nel quale tutti gli attori della più ampia comunità locale, nell’ambito delle rispettive competenze, promuovano ed assicurino i presupposti affinché i giovani, esposti ad un rischio più elevato di vulnerabilità personale e sociale, possano trovare i supporti necessari per la piena realizzazione di se stessi.
Fig. 1 – Verso un sistema curante
Per quanto concerne la scuola, è dal microsistema-classe che bisogna partire: il futuro di un/a alunno/a si costruisce all’interno dell’aula in cui ragazzi e ragazze trascorrono buona parte del tempo scolastico.
Che fare? Tre obiettivi per una scuola inclusiva
La scuola è luogo di sincerità e di reciproca valorizzazione: i docenti devono insegnare, gli studenti devono imparare; sappiamo bene che anche i primi hanno molto da apprendere, e i secondi molto da consigliare.
Nella nota del Miur si cita spesso don Lorenzo Milani. Provocatoriamente, però, il Priore di Barbiana voleva una scuola “monarchica“: l’insegnante, nella visione milaniana, dev’essere una figura autorevole, anche autoritaria, che sa porsi e imporsi allo stesso tempo.
Che cosa possiamo fare allora per raggiungere la finalità di una scuola realmente inclusiva, partendo dal microsistema classe/sezione?
Tra i possibili obiettivi, tre risultano sicuramente irrinunciabili.
Primo obiettivo: il gruppo docente
Costruire il team dei docenti (scuola dell’infanzia e primaria) e il consiglio di classe (secondaria di 1° e 2° grado) come gruppo professionale.
La corresponsabilità educativa è cosa diversa dalla contitolarità. I docenti sono contitolari della classe sul piano giuridico, ma possono essere disuniti su quello della gestione educativa, degli orientamenti didattici, delle convinzioni inerenti alla valutazione, dell’idea che hanno dei loro studenti, …
Spesso team e consigli di classe sono un aggregato più che un gruppo professionalmente maturo. Una comunità si riconosce dalla capacità di ascolto dei diversi punti di vista dei propri componenti, di sintesi di tale diversità, e dalla capacità di attuare interventi tempestivi in tempi che non dovranno essere né troppo brevi né troppo lunghi.
Secondo obiettivo: costruire il gruppo classe
La comunità professionale è la condizione indispensabile per perseguire il secondo obiettivo di una scuola capace di valorizzare le diversità: la classe come gruppo. Gli alunni sono infatti una risorsa straordinaria di un progetto inclusivo di scuola; devono però essere educati a sostenersi reciprocamente, a lavorare insieme, a vivere un vero senso di appartenenza, sincero, senza infingimenti o logiche prevaricatorie. Spetta principalmente alla scuola e alla famiglia educare studenti e figli a coltivare sentimenti di vicinanza, di solidarietà e di sincera gruppalità.
Nelle Indicazioni per il curricolo 2012 si sottolinea a più riprese questa istanza. Nel paragrafo “L’ambiente di apprendimento” si afferma: “Imparare non è solo un processo individuale. La dimensione sociale dell’apprendimento svolge un ruolo significativo“.
Terzo obiettivo: la relazione insegnanti-studenti-saperi
Il terzo obiettivo si pone come integrazione dei primi due: il duplice legame di fedeltà tra insegnanti e studenti (dimensione relazionale) e tra questi ultimi e i saperi (dimensione culturale). Legami interpersonali e apprendimenti significativi rappresentano il completamento del costrutto stesso di gruppo, che si pone su un duplice piano:
– di base, caratterizzato dalla dimensione affettiva, emotiva e, più in generale, dal benessere psicologico che si prova quando si sta e si lavora insieme;
– del compito, orientato alla capacità di saper imparare, studiare, progettare e affrontare un lavoro, portarlo a termine, sia a livello individuale che di gruppo.
Una didattica inclusiva integra questi due livelli soprattutto nella vita della classe, dove le diversità vanno realmente (non solo formalmente!) riconosciute e valorizzate.