Una proposta di legge di iniziativa popolare
All’inizio della XVIII legislatura, affaticata dalla difficoltà di trovare una maggioranza parlamentare fra gruppi politici frammentati, molti analisti parlano di inedita «crisi di sistema», a proposito delle democrazie parlamentari. La società e la scuola sono chiamate in causa in molti modi.
Il 12 aprile scorso il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che in merito ha già ottenuto il consenso di altri colleghi sindaci e della stessa ANCI, ha presentato alla stampa e nel sito del Comune di Firenze la bozza di una «legge di iniziativa popolare sull’introduzione dell’educazione alla cittadinanza nei curricoli scolastici di ogni ordine e grado».
L’ora di educazione alla cittadinanza
Si chiede cioè che il Parlamento vari una legge in cui si dice, all’art. 2: «È istituita un’ora settimanale di educazione alla cittadinanza come disciplina autonoma con propria valutazione, nei curricoli e nei piani di studio di entrambi i cicli di istruzione. Sono conseguentemente da ritenersi modificati, in armonia con quanto disposto dal comma precedente, tutti gli articoli di legge che disciplinano i curricoli, i piani di studio e la loro articolazione. Il monte ore necessario (non inferiore alle 33 ore annuali) – ove non si preveda una modifica dei quadri orario che aggiunga l’ora di educazione alla cittadinanza – dovrà essere ricavato rimodulando gli orari delle discipline storico-filosofico-giuridiche. È affidato al comitato scientifico per le indicazioni nazionali lo studio della migliore ipotesi tra le due prospettate nel comma precedente».
I contenuti della nuova “disciplina”
Nell’art. 3 si dice che «È affidato al comitato scientifico per le indicazioni nazionali, sentito il CSPI, il compito di elaborare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, gli obiettivi specifici di apprendimento per i diversi cicli di istruzione; e, entro il medesimo termine, provvedere alla corretta collocazione della materia in seno ai curricoli e ai piani di studio dei diversi cicli di istruzione, nonché di optare per l’aggiunta di un’ora ai curricoli o per la sua individuazione nell’ambito degli orari di italiano, storia, filosofia, diritto. Tali obiettivi specifici di apprendimento dovranno necessariamente comprendere nel corso degli anni: lo studio della Costituzione, elementi di educazione civica, lo studio delle istituzioni dello Stato italiano e dell’Unione Europea, diritti umani, educazione digitale, educazione ambientale, elementi fondamentali del diritto e del diritto del lavoro, educazione alla legalità».
Per uscire dalla attuale marginalità
Nell’art. 4 si dice che «L’insegnamento potrà essere affidato ai docenti abilitati nelle classi di concorso che abilitano per l’italiano, la storia, la filosofia, il diritto, l’economia». L’art. 5 aggiunge: «Sono istituiti percorsi di formazione dei docenti e azioni di sensibilizzazione sull’educazione digitale, ai sensi del comma 124 dell’art. 1 legge 13.7.2015, n. 107». A conclusione dell’art. 6 si dice: «Nell’ipotesi in cui si opti per l’aggiunta di un’ora agli orari delle discipline storico-filosofico-giuridiche, i maggiori oneri saranno a carico dei Fondi di riserva e speciali del bilancio dello Stato».
La vicesindaca e assessora all’educazione Cristina Giachi ha detto con chiarezza: «Vogliamo far capire alle famiglie che questa competenza è fondamentale non solo per diventare buoni cittadini ma anche per realizzare sé stessi. E lo vogliamo fare uscendo un po’ da quella ipocrisia che in questi anni ha consegnato l’educazione civica ad un ruolo ancillare tale da non essere più avvertita, dalle famiglie, come una componente fondamentale nell’educazione».
L’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione nella legge 169/2008
Aggiungo che non solo le famiglie, ma anche le scuole hanno vissuto come ancillare, e perfino come fantasmatica, dopo la scomparsa dell’educazione civica, che era dotata di visibilità e di pur piccolo spazio orario dedicato, accanto alla storia, la presenza nei regolamenti programmatici di “Cittadinanza e Costituzione”, insegnamento (?) caldamente raccomandato ma non sostenuto né verificato dall’Amministrazione, che l’affidava a tutti i docenti, ma in pratica a nessuno, salvi i più motivati e volenterosi. La legge 169/2008, che nel primo articolo parlava di attivazione di «azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale, ai fini dell’acquisizione, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione, delle conoscenze e delle competenze relative a Cittadinanza e Costituzione, nell’ambito delle aree storico geografica e storico sociale e del monte ore previsto per le stesse», dopo un quasi decennale oblio è stata ricuperata nel decreto legislativo 13.4.2017, n. 62. Questo si limita però a dire che nella valutazione si terrà conto delle “attività svolte nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione”.
Come intitolare la nuova materia?
Visto lo scarso rendimento di questa norma, la bozza proposta dai sindaci prevede, nel primo articolo, di abrogare il citato art. 1, e cioè i concetti fondamentali che il pur rachitico articolo prevede. Così propone di intitolare la “nuova” materia «educazione alla cittadinanza», che sacrifica la parola Costituzione usando l’accetta invece del bisturi.
Il nuovo titolo termine, che parla di “educazione”, non può costituire da solo “una materia” da affidarsi a un solo docente, mentre il termine cittadinanza da solo mi sembra troppo generico (la cittadinanza italiana è diversa da quella keniota). “Cittadinanza e Costituzione”, invece, indica la distinzione e l’integrazione di due “contenitori” di concetti e di valori che, legati dalla copula e, si chiariscono, si arricchiscono a vicenda, e insieme delimitano i rispettivi campi di senso e di valore.
L’insegnamento della Costituzione: un problema aperto
La legge 169/2008 in qualche modo distingue l’insegnamento della Costituzione, che va affidato a persona informata e competente sulla Costituzione, dall’educazione civica o alla cittadinanza (attiva), che riguarda tutti i docenti e le pratiche decise collegialmente, con la relativa valutazione. Nel primo caso ci si riferisce alla “formazione specifica” in diritto ed economia, per i docenti di storia cui è affidato l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione; nel secondo caso alla sensibilizzazione degli altri docenti, nella logica dell’interdisciplinarità e della trasversalità. Per questo non mi sembra opportuna l’abrogazione dell’art. 1 della 169. L’insegnamento della Costituzione andrebbe affidato ai docenti di storia nel primo ciclo, e a quelli di storia o di diritto ed economia nel secondo ciclo.
Giace in Parlamento una sobria proposta di legge (n. 2135/2009) che integra l’art. 1 della legge 169/2008. Si potrebbe tenerne conto, in sede di comitato scientifico opportunamente evocato.
Nel solco dell’impegno di Aldo Moro
Ho intitolato questo intervento: “i sindaci rompono gli indugi”, ricuperando un termine usato da Aldo Moro nell’odg di cui è stato primo firmatario, approvato all’unanimità dall’Assemblea Costituente. Questa, l’11 dicembre 1947, espresse «il voto che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano». Negli anni scorsi si è indugiato parecchio, nonostante gli sforzi fatti per valorizzare e arricchire, non abolire, il decreto Moro del 1958. “Indugio è il ritardo più o meno motivato, rispetto alla tempestività di un inizio o alla regolarità di uno svolgimento” (Devoto-Oli). La proposta dei sindaci andrebbe sostenuta. Si muove, sia pure con qualche incertezza, nella direzione giusta, nel merito e nel metodo.
Un testo aperto, da arricchire
La bozza, ha detto Nardella, è stata presentata come un testo ‘aperto’, realizzato con l’auspicio che nelle prossime settimane possa essere completato «con l’apporto di tutto il mondo della scuola e delle famiglie». Società civile, enti locali, Parlamento, Ministero, con i suoi organi consultivi e le sue articolazioni amministrative, e istituti scolastici, dovrebbero finalmente fare quello sforzo congiunto, con quel grido ritmato che fanno gli operai quando devono sollevare insieme un peso rilevante. Sarebbe un modo giusto, rompendo gli indugi, per onorare Moro, la Costituzione e il decreto del 1958.