Roma. Tarda mattinata tiepida, anzi calda. Metà aprile. Passeggiando in viale Trastevere, MIUR (M) incontra Amico Critico (A).
Un dialogo (non troppo) immaginario
A. Buongiorno, M. Come va?
M. Ciao, A. In linea di massima non c’è male. In realtà oggi sono un po’ amareggiato… hai letto il comunicato dell’Accademia della Crusca? Non ti sembra ingeneroso?
A. Ti riferisci a quello del gruppo incipit sul Sillabo per l’imprenditorialità pubblicato a marzo, giusto?
M. Si, sì, A., proprio a quello. Il comunicato muove diverse accuse, a mio parere davvero eccessive. Non sembra anche a te?
A. Di certo non usa giri di parole e va direttamente al punto. Se hai cinque minuti di tempo, possiamo entrare nel merito dei singoli giudizi. D’altra parte sono il tuo Amico Critico…
M. Va bene, A., mi fa piacere conoscere la tua opinione: cinque minuti con te sono sempre ben spesi. Guarda, sediamoci lì su quella panchina, all’ombra. Oggi fa davvero caldo.
A. (sedendosi) In primo luogo devo riconoscere che il gruppo che ha scritto il comunicato stampa, Incipit, è composto da studiosi e specialisti di chiara fama. Leggo che esso è nato nel 2015 all’interno dell’Accademia della Crusca, con lo scopo di “monitorare i neologismi e i forestierismi incipienti, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana e prima che prendano piede”, e che questo è il suo decimo comunicato in tre anni.
Anglismi (o anglicismi?) di troppo…
M. Caro A., stai rigirando il coltello nella piaga, perché anche il sesto comunicato era rivolto sempre a me. In particolare, criticava la propensione del sistema universitario a impiegare termini ed espressioni del mondo economico aziendale, che ne avrebbero accentuato l’immagine aziendalistica…
A. Ah, già, ricordo. Sai che condivido in gran parte quel timore: mi conosci, ormai. Ma torniamo al comunicato odierno. Viene segnalato un nuovo grado di intensità della tendenza ad adottare termini ed espressioni anglicizzanti, che non sarebbero più occasionali, ma programmatici e organici, tanto che il gruppo Incipit rinuncia a proporre traducenti italiani, come invece fece la volta scorsa, perché sarebbe necessario tradurre l’intero documento. Tu la pensi diversamente, immagino.
M. Direi! La critica è smisurata, dai! Si tratta di un documento di undici pagine, con alcuni termini stranieri, che risultano “funzionalmente necessari quando il prestito consente una funzione designativa del tutto inequivoca, specie se si accompagna all’introduzione di nuove cose, nuovi concetti e le relative parole”.
A. Questo è quanto hai dichiarato, l’ho letto. Devo essere sincero con te. Quando, per svolgere bene il mio ruolo, ho cominciato a leggere il Sillabo, ho deciso di evidenziare con il colore giallo gli anglicismi, e all’inizio non vi ho trovato nulla di strano: uno, due per pagina, niente di significativo… poi da pagina 5 a pagina 9 il tenore cambia sensibilmente, e il colore giallo diventa oltremodo abbondante. Difficilmente si può contestare la critica di un uso eccessivo di termini inglesi, credimi: case histories, Innovation & Creativity Camp o Startup bootcamp, hackathon, matchmaking, team-building, lean startup, User Interaction e User Experience design, businnes model canvas, product marketing fit, growth hacking, pitch deck e pitch day, per citarne solo alcuni.
L’inglese, una lingua panterrestre?
M. Tu quoque, A.!!! Eppure il Sillabo è stato costruito attraverso il coinvolgimento di una quarantina di “stakeholder, tra cui rappresentanze nazionali, fondazioni, attori del mondo dell’innovazione, imprese, mondo cooperativo e altri attori della società civile…”. Che cosa potevo fare di più?
A. Non fraintendermi, M. Certamente gli esperti di un determinato settore danno un contributo insostituibile e di grande valore. Forse però a te viene chiesta un’ultima revisione, con il supporto di gente di scuola, di linguisti, di professori, che potrebbero salvaguardare, indicare, proporre i termini italiani, non dico sempre, ma almeno quando questi siano equivalenti e altrettanto efficaci come quelli anglosassoni.
M. Non credo davvero di aver esagerato, A. D’altra parte viviamo in un mondo globalizzato: certi concetti nascono all’estero, bisogna stare al passo con i tempi e riconoscere che l’inglese è ormai diventata la lingua universale e panterrestre, che i nostri ragazzi devono conoscere bene.
A. Questo non lo metto in dubbio, M. Non si tratta di una battaglia contro l’inglese, ci mancherebbe! Tutti dovremmo studiarlo e saperci esprimere in quella che è ormai riconosciuta come la lingua veicolare del modo contemporaneo. L’italiano, però, non ha un passato glorioso soltanto nella letteratura, nelle arti figurative, nella musica, nella gastronomia, bensì anche nelle scienze. Sarebbe davvero un peccato che entrasse in pericolo l’italiano come lingua scientifica, e che a uno scienziato, o anche a un imprenditore italiano, mancassero i termini o le argomentazioni nella nostra lingua.
M. Quindi tu stai affermando che il pericolo di una smisurata anglicizzazione è concreto? E io ne sarei in parte responsabile?
Una difesa intelligente della lingua italiana
A. Tutti noi possiamo avere un piccolo ruolo nella difesa dell’italiano, senza arroccamenti e rigidi baluardi. Il tuo può essere un po’ più efficace, e sicuramente fungerebbe da esempio e da modello per studenti e docenti, affinché l’insieme concettuale, come afferma Incipit, non risulti sovrabbondantemente anglicizzante, ma in esso si possano riconoscere la nostra storia, la nostra cultura, le nostre origini, aperte al mondo e al futuro e al tempo stesso fiere del nostro passato.
M. Mmh… eppure mi sembrava di aver fatto già qualcosa.
A. Più di qualcosa. Lodevole, ad esempio, la collaborazione con il prof. Luca Serianni per gli esami di Stato del primo ciclo. Secondo il mio modesto parere, devi semplicemente sforzarti legare i tuoi già significativi interventi con un sottile, ma robusto fil rouge (i forestierismi non sono da bandire, le lingue sono sempre state duttili, dinamiche, aperte; è il loro abuso che va evitato) che aiuti a preservare quel patrimonio inestimabile che è la nostra lingua.
M. Ci penserò seriamente, A. Vista l’ora, posso offrirti un light lunch…? Ops… un pranzo leggero, o se hai fretta anche un semplice spuntino… meglio, vero?
A. Decisamente! Se la metti così, pago io!