Più convergenze o più divergenze?
Ci sono ambiti di convergenza – o al contrario di forte distanza – nei programmi sull’istruzione di Lega e Cinquestelle? Va segnalato, intanto, che ad accomunarli c’è un’elencazione degli obiettivi così frammentata da scoraggiare il tentativo di estrapolarne, se non un disegno organico, almeno priorità in grado di dargli corpo, o almeno di tratteggiarlo.
In entrambi, inoltre, – ma è un limite oggi così diffuso che non saranno in molti a notarlo – manca un approccio che sappia tenere insieme, oltre alla scuola in senso stretto, l’intero ambito dell’educazione nelle sue distinte ma connesse articolazioni, quindi l’istruzione e formazione professionale, i percorsi terziari accademici e non, l’educazione degli adulti come seconda opportunità e l’apprendimento permanente; i diversi attori nazionali, locali, europei che vi sono coinvolti; la pluralità generazionale, oltre che sociale e di provenienza etnica, dei soggetti titolari di diritti all’apprendimento.
Tiro al bersaglio sulla “Buona Scuola”
A prevalere è piuttosto una raccolta delle contrarietà e delle proposte più contingenti – in gran parte connesse a criticità derivanti dalla “Buona Scuola”–, con l’immancabile sovrabbondanza di problematiche relative al personale; ma senza impegno alcuno alla modernizzazione dell’organizzazione del lavoro richiesta dalla scuola dell’autonomia, e neppure all’introduzione di nuove carriere docenti (con l’eccezione, nel caso della Lega, di un non meglio precisato “riconoscimento di alcune figure professionali”).
Le priorità per la Lega
C’è tuttavia qualche significativa differenza, leggibile presumibilmente in termini di appartenenze e sensibilità politico-culturali delle rispettive basi elettorali. Nel programma della Lega, assai più asciutto di quello dei Cinquestelle (si deve del resto a una recente dichiarazione di Matteo Salvini l’informazione che tra i dicasteri di maggiore interesse della Lega, o forse della coalizione di riferimento, non ci sarebbe il Miur), si delinea un certo interesse a rendere più stringente il rapporto tra istruzione e lavoro (l’alternanza scuola-lavoro da riportare al “duale” tedesco; la scuola superiore da intendere come “porta per il lavoro”), e si nota anche l’eco di trascorsi tentativi di esclusione o di marginalizzazione degli utenti non-locali o non-autoctoni (gli “asili nido gratuiti” con accesso prioritario alle madri lavoratrici che “risiedono nel Comune da più di 5 anni”).
Il catalogo dei Cinquestelle
Nel programma dei Cinquestelle, che a proposito dell’alternanza si pronuncia invece per l’eliminazione della sua obbligatorietà, compaiono invece alcuni tra gli obiettivi storici della sinistra politica e sindacale, come la riduzione del numero degli alunni per classe (non più di 20-22), lo sviluppo del tempo pieno e la reintroduzione delle compresenze nel primo ciclo, il contrasto della dispersione. Ci sono poi i segni delle contrarietà di sindacati e dintorni ad alcuni tratti della “Buona Scuola” (“abrogazione della chiamata diretta”, “eliminazione del bonus per il merito della docenza”), nonché dell’insofferenza rispetto a interventi valutativi delle prestazioni professionali degli insegnanti (“valutazione con finalità di crescita professionale e non punitiva per i docenti”). Sull’abrogazione della chiamata diretta concorda comunque anche il programma della Lega.
Scuola statale al centro
Comparando i due testi, si evidenziano anche altri elementi di un certo peso nell’ipotesi di un governo congiunto dei due partiti. In un caso – che riguarda le scuole paritarie – si tratta di una divergenza molto spiccata: se nell’elenco della Lega, infatti, compare la “valorizzazione delle scuole paritarie“ e anche di quelle “parentali” (il tutto, s’intende, in nome del “pluralismo educativo”), in quello dei Cinquestelle siamo invece agli antipodi, o quasi, con evidente prossimità ad antiche culture stataliste della sinistra. Premesso che occorre “riportare la scuola statale[1] al centro del sistema Paese”, si prevedono infatti: l’“abolizione dei finanziamenti alla scuola paritaria”; la “modifica della legge 62/2000 per una migliore distinzione tra scuole pubbliche e scuole private” ; “maggiori controlli degli istituti privati, in particolare dei diplomifici”. Ma con la precisazione, a proposito dell’abolizione dei finanziamenti, di un “salvi quelli a nidi, materne, istituzioni private in sussidiarietà orizzontale”, in cui si considerano saggiamente i settori educativi in cui lo Stato o non ha al momento compiti di gestione o non assicura un’offerta sufficiente.
Il legame dei docenti con il territorio
Di un certo interesse è anche la distanza relativa al tema della mobilità nazionale dei docenti. Tra gli obiettivi della Lega c’è il “superamento dei trasferimenti forzosi degli insegnanti” e – dichiarata in più circostanze – anche la proposta di una “regionalizzazione del rapporto tra domanda e offerta” del lavoro docente. A ciò si è aggiunta l’idea del responsabile del settore di richiedere ai partecipanti ai concorsi regionali il requisito di un “domicilio professionale”: un vincolo di dubbia legittimità costituzionale, che tuttavia è più volte affiorato in campagna elettorale, a ribadire, anche promettendo “il ritorno al Sud dei docenti meridionali”, l’antica contrarietà alla loro presenza nelle scuole del Nord. Quanto all’introduzione di stipendi diversificati su base regionale, il programma sente il bisogno di precisare che non se ne parla “finché non sarà attuato il federalismo fiscale”.
La questione del precariato
Di tutt’altro tenore la posizione dei Cinquestelle che, glissando sulla mobilità forzosa, punta piuttosto a “un piano di assunzioni pluriennale del personale precario, basato sui bisogni delle scuole”. Il precariato, comunque, sta a cuore anche alla Lega, che si impegna a superare il comma 131 della L. 107, per rendere possibile la stipula di contratti a termine a chi abbia 36 mesi di servizio anche non continuativi.
Nuovi ordinamenti, con cautela
Altre differenze riguardano le proposte di riforma ordinamentale della Lega. Da un lato l’istituzione di un “ciclo unico” che unifichi scuole primarie e medie (accompagnata dal ripescaggio del “maestro prevalente”, qui esteso a “maestro e docente prevalente”, in coerenza con un primo ciclo unificato); dall’altro l’introduzione dell’insegnamento delle lingue straniere nella scuola dell’infanzia. Si aggiunge, nell’organico della primaria, l’insegnamento di educazione motoria affidato a laureati ISEF.
Un ampio menù di obiettivi
Il programma Cinquestelle, che si tiene invece lontano da proposte di riforma ordinamentale, punta piuttosto a “monitorare il FIT”, cioè la nuova formazione iniziale per gli insegnanti della secondaria varata dalla “Buona Scuola”, per verificare la possibilità di “eliminare un anno” da un percorso effettivamente molto lungo. Seguono in ordine sparso: un “piano decennale per la sicurezza delle scuole”, “l’aumento degli ispettori”, “l’eliminazione delle reggenze dei dirigenti scolastici”, “l’aumento del budget per la scuola”, “più soldi al personale”, l’istituzione di “un Fondo unico”, “monitoraggi psico-attitudinali per il benessere della comunità scolastica”, “interdisciplinarietà, valorizzazione delle competenze pratiche e delle attività espressive e sportive”, “l’eliminazione della prova d’esame Invalsi”.
Qualche dimenticanza di troppo
Nessuna attenzione invece, in entrambi i programmi, a temi come la nuova formazione in servizio, il piano nazionale sulle nuove tecnologie nella didattica, l’attuazione concreta del sistema integrato 0-6, i nuovi istituti professionali, e altri di altrettanta importanza, che pure richiederebbero analisi e proposte.
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[1] Corsivo dell’autore.