Riforme della scuola alla prova del voto
Dopo i risultati delle elezioni, la “buona scuola” potrebbe essere superata; le forze politiche uscite vincitrici dal confronto elettorale, infatti, ne hanno chiesto da tempo l’abrogazione e, vista la quantità di provvedimenti ancora da emanare per mettere in pratica gli otto decreti applicativi della legge 107/2015, sarà difficile metterla a regime in tutte le sue parti. Resteranno alcuni provvedimenti, almeno quelli per i quali è stato disposto il finanziamento, ma per il resto si potrebbe già voltare pagina, come ha iniziato a fare il nuovo contratto del personale recentemente sottoscritto dalle parti.
La politica scolastica purtroppo è vittima dell’instabilità del nostro sistema di governo: le novità che vengono introdotte non fanno in tempo ad essere adeguatamente sperimentate, ed il giudizio sulle riforme è dato sulla base delle idee dei proponenti, e non piuttosto sull’efficacia dei risultati prodotti. Della buona scuola è risultata difficile anche quest’ultima considerazione, in quanto si è provato ad incidere sul tessuto culturale e professionale senza tuttavia motivare adeguatamente il senso del cambiamento, proclamando ad esempio l’inclusione, ma puntando sulla valutazione e competizione, indicando l’orizzonte dell’autonomia, pur mantenendo salda la governance nelle mani del centralismo ministeriale.
Le proposte del Movimento 5 stelle
Riandando alle piattaforme elettorali di chi ha totalizzato il maggior consenso, si individuano strade diverse ma che possono trovare delle convergenze. Da una parte si parla di “scuola aperta”, anche al fine di realizzare esperienze di cittadinanza e di “scuola diffusa”, con spazi pubblici destinati ad ospitare gruppi di studenti, con lezioni a contatto con la natura, per una didattica esperienziale. Una precedente proposta di legge del Movimento 5 stelle (2015) indicava “nuclei per la didattica avanzata” per esercitare l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, in relazione alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico. In questi nuclei venivano “comandati” docenti, dirigenti scolastici e ricercatori universitari (ci ricorda tanto gli IRRSAE). Si vuole introdurre poi una equipe formativa territoriale, per essere di supporto alle comunità scolastiche. La sperimentazione verrà promossa con un fondo triennale per l’innovazione, ed in quest’ottica si dovrà ampliare l’offerta formativa per innovare la didattica e combattere la dispersione, superare i rigidi confini disciplinari ed organizzare i curricoli in forme interdisciplinari, con relativa revisione delle classi di concorso, per sviluppare contemporaneamente diverse competenze. La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni garantirà la qualità dei servizi.
Sostenere la professionalità e l’autonomia, in ottica cooperativa
Valorizzare il personale docente non vuol dire agire sulla competizione, ma sulla collaborazione, sia con incentivi economici generalizzati, con riferimento ai Paesi europei, sia con la stabilità del posto di lavoro, sia sul fronte della formazione-motivazione e cura, sia nell’ambito delle misure organizzative: flessibilità del curricolo, laboratorialità, team docente e compresenza, tempo scuola, alternanza scuola-lavoro, ecc. Reclutamento e mobilità devono avvenire con l’intervento delle regioni, come va prendendo sempre più piede negli accordi di recente firmati con il governo, senza togliere la possibilità di meccanismi compensativi per l’intero territorio nazionale.
Un’autonomia strutturale, che fa degli istituti scolastici presidi pedagogici del territorio, non li porrà in competizione, perché impegnati nella soluzione dei problemi della propria comunità, e quindi una valutazione rispetto agli standard nazionali/europei sarà utile per determinare la sostenibilità del sistema stesso, ma non entrerà a gamba tesa nel percorso degli alunni e dei docenti. E questo potrà consentire di introdurre, con la tutela della contrattazione, innovazioni rispetto alle modalità di assunzione e di assegnazione, alla mobilità ed all’incentivazione del personale.
Sulle strade del federalismo
Nel risalire ad una dimensione territoriale più ampia, si incontra dall’altra parte il “federalismo scolastico” (Lega), che vuole emulare le competenze dei Lander tedeschi che da noi sono già presenti nelle regioni a statuto speciale. Questa idea è tornata alla ribalta a seguito della firma, tra il governo nazionale e le regioni Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, per il conferimento di “più autonomia”, in base all’applicazione dell’art. 116 della Costituzione. Anche se la cosa dovrà passare per la legislazione ordinaria del prossimo Parlamento, saranno le regioni questa volta a sollecitare. Già otto di loro si sono mosse in tale direzione, ed altre si stanno organizzando: l’autonomia dei territori, dunque, è un tema che tende ad interessare sempre di più il rapporto tra governanti e cittadini. Sarebbe questa l’occasione per riprendere in maniera più razionale ed efficace la riforma costituzionale naufragata con il referendum del dicembre 2016, che potrebbe portare ad una nuova legge sulle autonomie regionali e locali che riprenda il ruolo del Senato in un nuovo bicameralismo, le unioni dei comuni, i progetti di area vasta, ecc. Inoltre c’è da completare il decentramento dello Stato, iniziato nell’ormai lontano 1988, e rivedere gli organi collegiali nell’ottica dell’autogoverno degli istituti scolastici. Qui, com’è noto, c’è da cambiare anche sul fronte delle competenze dello Stato che, come dice l’art. 117 della Costituzione, non deve più occuparsi di gestione ma di norme generali e principi fondamentali, rispettando l’autonomia delle scuole.
Un sistema pubblico, plurale e a forte autonomia
Si potrà dire che la governance non è la più importante tra le emergenze in cui si dibatte la scuola italiana. Certo occorre lavorare su più fronti, dalla relazione educativa alla didattica, ma senza un equilibrato contesto istituzionale non si può gestire proficuamente il processo formativo, garantendo democrazia e qualità.
Il nostro sistema scolastico resta pubblico, inclusivo, pluralistico, contrario ad ogni tipo di discriminazione, come vuole la Costituzione; difficile pensare ad una competizione pubblico-privato, con scuole trasformate in fondazioni, anche se la libera iniziativa è consentita attraverso il completamento della legge 62/2000 nell’ambito della programmazione regionale e territoriale. La scuola non è un’azienda e non ha bisogno di mercato, ma nel “sistema delle autonomie” pubblico e privato possono arricchirsi reciprocamente, andando a soddisfare le scelte delle famiglie.
L’autonomia della scuola come possibile punto di intesa
È unanime la richiesta di maggiori investimenti economici per il sistema formativo, derivanti da interventi “multilivello”: dallo Stato agli enti territoriali, ai privati, magari con sgravi fiscali; occorre però cambiare da un lato la modalità di calcolo delle risorse, superando la spesa storica e andando verso i cosiddetti “costi standard”, già previsti dalla legge sul federalismo fiscale, e dall’altro favorendo un’autonomia di spesa per le scuole stesse, senza lo stillicidio dei bandi ministeriali.
Il rilancio delle autonomie potrebbe dunque favorire un punto d’intesa tra le forze politiche che dovranno indicare la strada ad un prossimo governo. Si tratta finalmente di arrivare all’applicazione di quel Titolo V della Costituzione che consente di creare le condizioni affinché il sistema formativo, senza venire meno alle funzioni istituzionali, possa operare per lo sviluppo dei territori con le diverse caratteristiche sociali e culturali.
A livello nazionale sarà necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni, le politiche economiche e fiscali per il finanziamento, le norme generali e gli spazi di flessibilità dei curricoli, una legge quadro sulla gestione delle strutture. La valutazione del sistema, così, sarà un utile compendio di conoscenza e miglioramento, e non uno spauracchio persecutorio.
Una legislazione a favore di un sistema educativo decentralizzato
Ogni regione, come già in gran parte si era iniziato a fare, dovrà approvare una propria legislazione al riguardo, che traduca le “norme generali” sul proprio territorio, metta mano alla programmazione, compresi la gestione funzionale del personale ed i rapporti con il mondo del lavoro. In questo ambito le scuole autonome troveranno la propria sede di rappresentanza, per arrivare fino al Consiglio Superiore dell’Istruzione, e le iniziative per il sostegno alla loro qualificazione. Lo sviluppo della rete locale, con i relativi tempi scuola, andrà di pari passo con la riorganizzazione dei servizi alla persona e degli stessi Comuni, con particolare riferimento alla prima infanzia, soprattutto in applicazione del D.Lgs. 65/2017, nonché a tutti quegli interventi di carattere compensativo per affrontare le emergenze sociali e garantire il diritto allo studio. Completerà il quadro l’attenzione, per la verità non molto presente, alle reti territoriali per l’apprendimento permanente, che soprattutto per la popolazione adulta saranno un riferimento per sviluppare le competenze non formali, e per contrastare l’analfabetismo di ritorno.