Il RAV come strumento di rendicontazione pubblica

Quattro anni di RAV

Il clamore giornalistico sollevato sulle “pubblicità classiste dei Licei” (fra i tanti, l’articolo di Corrado Zunino “Qui niente poveri e disabili”, La Repubblica 8 febbraio, 2018), sollecita  alcune considerazioni sul Rapporto di Autovalutazione (RAV)[1].

Intanto per la prima volta, in maniera eclatante, lo strumento RAV è uscito dalla cerchia, oramai per la verità non più tanto ristretta, a 4 anni dal suo esordio, degli addetti ai lavori,  mostrando la potenza del mezzo che ha dispiegato pienamente, in una dimensione pubblica, la sua funzione comunicativa.

Sinora il RAV ha assolto prevalentemente una funzione di servizio, innanzitutto rispetto al suo uso collettivo, quale strumento di autoriflessione a disposizione della comunità professionale, in un processo aperto, condiviso e collegiale di posizionamento dell’istituzione scolastica, a partire da una costruzione “guidata” dall’interno, tracciata  e accompagnata dalle “domande guida” proposte dall’Invalsi.

Ti presento la mia scuola…

A tutta la comunità scolastica, in maniera omogenea sul territorio nazionale, è stata offerta l’opportunità di condividere una riflessione unitaria sugli snodi fondamentali di un’istituzione scolastica (contesto, esiti e processi), a partire dalle domande guida che costituiscono la trama sottesa alla compilazione del Rapporto (l’ultima guida alla compilazione del RAV è del marzo 2017).  Il RAV così è una sorta di selfie collettivo  di presentazione della scuola, in un mix di autonarrazione, autopercezione e dati strutturali (desunti da diverse fonti e dal Questionario scuola). Solo a poche e fortunate scuole è toccato in sorte un momento di riscontro – la visita/confronto con il nucleo di valutazione esterna – da parte di un punto di vista altro ma complementare che, da una prospettiva differente, ha potuto confermare o suggerire modifiche ed integrazioni al Rapporto; ha potuto cioè validare in tutto o in parte la bontà sostanziale e formale di questa autorappresentazione.

Il dirigente e la “sua” scuola

Vi è poi un uso “professionalizzante” che riguarda il dirigente scolastico, che nel RAV dovrebbe trovare il terreno di coltura che gli permetta di mettere a fuoco il proprio ruolo all’interno di “quella” istituzione scolastica, per tracciare la rotta al di là del proprio impegno quotidiano, verso obiettivi realistici che facciano i conti con l’effettiva condizione della propria scuola. Aiuta il dirigente, per dirla con Franco De Anna, nel passaggio da un approccio idealtipico del ruolo ad uno “immersivo” nell’hic et nunc della scuola da lui diretta. Il dirigente che non presidia  a fondo e con consapevolezza il RAV perde perciò un’opportunità formidabile di conoscenza e governo della comunità che gli è stata affidata.

La dimensione pubblica del RAV

Vi è infine la dimensione pubblica dello strumento, fin  qui sottovalutata o considerata residuale – forse in attesa del compimento del ciclo con la redazione del bilancio sociale della scuola –, ma che la polemica di cui parliamo ha svelato in tutta la sua evidenza, dicendoci un paio di cose: intanto che, al di là dei titoli giornalistici, il RAV ha svolto il suo compito di rendicontazione sociale, per cui occorre ri-valutare con sempre maggiore attenzione, in fase di redazione del Rapporto, il fatto che maneggiamo un testo nato anche per rispondere ad una finalità pubblica. Ecco perché occorre tenere presente con sempre maggiore attenzione l’uso pubblico del RAV, a partire dal caso specifico nel quale  il Rapporto ha svolto esattamente la funzione per la quale è stato pensato, e cioè, in ultima analisi, quella di mezzo di rendicontazione pubblica dell’istituzione, chiamando la comunità professionale a rispondere di scelte di organizzazione, di gestione e di autorappresentazione. Ed anche è per questa ragione che non possiamo più permetterci di  sottovalutare la dimensione pubblica del Rapporto, il quale non può essere trattato alla stregua di uno dei tanti (troppi) adempimenti che incombono nella gestione dell’istituzione scolastica.

Compilare o costruire il RAV?

Nella dimensione dell’uso pubblico del Rapporto occorre presidiarne la costruzione (e non la “compilazione”), con attenzione al merito ma anche alla forma di ciò che è innanzitutto un medium di comunicazione, più chiaro ed efficace della stragrande maggioranza di quei compendi enciclopedici che sono  troppo spesso i PTOF di una scuola.

Le frasi riportate dai giornalisti erano effettivamente quelle estrapolate dalle sezioni del Rapporto, nelle quali, ovviamente, non si voleva intenzionalmente rappresentare una situazione di ceto esclusivo o di scarsa propensione all’inclusività; tuttavia hanno finito con il  fotografare, in maniera infelice e frettolosa, una situazione oggettiva.

Descrivere, argomentare, rappresentare

La redazione del Rapporto esige, quindi, la cura della  scrittura e dell’argomentare: non basta dire “la mia scuola è così”, occorre spiegare anche ad un lettore non esattamente esperto perché, fra tante possibilità di rappresentazione di un’area, ci si riconosce in un descrittore della rubrica più che in un altro.

Va curato l’aspetto scientifico della scrittura, evitando l’incoerenza di tante motivazioni sul livello autoattribuitosi dalla scuola, motivazioni che, a volte, difettano di un nesso fra il contenuto stesso dell’area e il significato dell’esposizione (in altri termini, capita di leggere delle motivazioni totalmente disconnesse dall’area in questione). La rappresentazione del contesto, la descrizione di opportunità e vincoli, dei punti di forza o di debolezza di una determinata area, non possono cioè essere ricondotte ad un  frettoloso copia e incolla di qualche pagina del PTOF.

In conclusione, il RAV va presidiato con consapevolezza dal dirigente in tutte le fasi della sua costruzione, tenendo ben presente la forma “intenzionale” della comunicazione, poiché è ormai chiaro a tutti che si tratti di un potente strumento pubblico, per mezzo del quale la comunità professionale nella sua interezza (il RAV non è un fatto privato del gruppo di lavoro, della funzione strumentale e del preside) comunica all’esterno diversi livelli di assunzione di responsabilità, e pertanto va curato anche per evitarne un uso distorto e distorcente nella sua dimensione pubblica.

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[1] Sugli usi impropri del Rav si veda anche G. Prosperi in Scuola7.it  n. 77 del 12 febbraio 2018.