All’indomani della sottoscrizione del rinnovo del contratto nel nuovo comparto dell’istruzione e della ricerca, l’ANP ha affermato che “per i sindacati che hanno sottoscritto l’ipotesi la qualità dell’istruzione e gli interessi degli stessi lavoratori non contano”. Ci spiega il senso di questa affermazione?
È del tutto evidente che il nuovo CCNL non punta ad innalzare la qualità dell’istruzione.
In primo luogo, non prende in considerazione la formazione in servizio dei docenti nonostante il fatto che le esigenze di ammodernamento della didattica siano sotto gli occhi di tutti. Una didattica innovativa è assolutamente necessaria per contrastare la dilagante demotivazione degli studenti.
In secondo luogo, il contratto prevede continuità di permanenza triennale dei docenti nella stessa scuola solo se questa sede è quella richiesta all’atto di compilazione della domanda di trasferimento, con buona pace delle esigenze di continuità didattica.
Per quanto riguarda gli interessi dei lavoratori, vorrei ricordare che gli aumenti salariali sono risibili a causa della inaccettabile Intesa firmata il 30 novembre 2016 tra Governo e alcune confederazioni sindacali. In quella Intesa si sono accettati aumenti modestissimi pur di ottenere il riconoscimento di un maggior ruolo per i sindacati nelle contrattazioni. Insomma più potere per le organizzazioni sindacali e meno soldi per il personale.
Sul merito ci sono divergenze di opinioni. In particolare, il merito resta, anche se c’è una riduzione dei fondi del 30% e si introducono forme di contrattazione a livello nazionale e di scuole. Dunque: nelle mutate regole previste nel nuovo contratto, viene meno la possibilità di riconoscere e incentivare il merito?
La dotazione annua del bonus premiale, come prevista dalla legge 107/2015, ammonta a 200 milioni di euro. Tale fondo sembrerebbe ridotto a 130 milioni per il 2018, a 150 milioni per il 2019 e a 160 milioni a partire dal 2020. Faccio uso del condizionale perché è abbastanza incomprensibile come sia possibile, attraverso un contratto, alterare le disposizioni finanziarie di una legge imperativa come la 107. In ogni caso, a prescindere da questo non trascurabile aspetto giuridico, è palese l’intento di ridurre la rilevanza della premialità. Ancora una volta, quindi, si è scelto di colpire i docenti migliori, più preparati e più impegnati. Con ovvio peggioramento della qualità della didattica e, più in generale, del servizio scolastico.
Per quanto riguarda la concreta procedura di attribuzione del bonus, è rimessa alla contrattazione integrativa di istituto l’individuazione dei “criteri generali per la determinazione dei compensi finalizzati alla valorizzazione del personale, ivi compresi quelli riconosciuti al personale docente” in virtù della legge 107/2015. Quindi la concreta determinazione degli importi – nonché del docente a cui attribuirli – è compito esclusivo del dirigente scolastico.
C’era timore per il rischio di ridurre i diritti dei lavoratori e inasprire il sistema disciplinare. Come giudica il contratto per questi aspetti?
Il sistema disciplinare è estremamente garantista e non pregiudica certo i diritti dei lavoratori, ma semmai è posto a presidio della qualità del servizio prestato. Se non si sanziona chi si sottrae ai propri obblighi lavorativi, si crea una doppia ingiustizia: nei confronti del destinatario del servizio (alunni e famiglie) e nei confronti dei tantissimi lavoratori che si impegnano davvero. Questi ultimi, in particolare, sono spinti a lavorare peggio, constatando l’impunità di chi viola i propri obblighi contrattuali. Il mondo della scuola è stato oggetto di periodiche attenzioni da parte della Corte dei conti, che in più occasioni ha formalmente criticato l’estrema riluttanza ad adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti dei responsabili di comportamenti esecrabili.
E per quanto riguarda le lettere h, i ed m del secondo comma dell’articolo 6 del vecchio contratto, relativo all’organizzazione del lavoro e alle prerogative dirigenziali in tale ambito, cosa ha portato di nuovo il rinnovo contrattuale?
Il nuovo contratto fa proprio, finalmente, ciò che innumerevoli tribunali avevano già sancito, e cioè che quelle materie non devono essere contrattate a seguito dell’entrata in vigore del ben noto decreto legislativo 150/2009. Purtroppo la nuova procedura di “confronto” è alquanto farraginosa, e rallenterà ulteriormente i lavori del tavolo negoziale in ogni scuola. Evidentemente è proprio quello che le sigle sindacali firmatarie del CCNL auspicano, e che l’Amministrazione, rappresentata dall’ARAN, non è riuscita ad evitare.
Cosa risponde a quanti affermano che ridurre gli spazi della contrattazione a favore di un maggior potere dei dirigenti scolastici mina la condivisione dei valori all’interno delle scuole?
Su questo concetto reclamo la massima onestà intellettuale: se è vero, come è vero, che la responsabilità del servizio ricade sul solo dirigente, non si può nello stesso tempo pretendere che le sue decisioni siano condizionate dall’obbligo giuridico di contrattarle con altri. Negli anni, il modello di gestione partecipata ipotizzato dai decreti delegati del 1974 si è rivelato, oltre che una finzione, del tutto fallimentare dal punto di vista della responsabilizzazione degli operatori coinvolti, secondo il detto “tutti colpevoli, nessun colpevole”. L’introduzione, nell’ordinamento del lavoro pubblico, della distinzione tra potere di indirizzo e potere di gestione è stata motivata principalmente proprio dall’esigenza di attribuire ad un unico soggetto – il dirigente pubblico – la responsabilità della gestione, perché questo è garanzia di maggior qualità dei risultati, a esclusivo vantaggio dei cittadini destinatari del servizio. I dirigenti devono quindi poter disporre di poteri commisurati alle responsabilità.
Ora c’è attesa per il contratto dei dirigenti delle scuole…
Siamo in attesa dell’atto di indirizzo necessario per consentire all’ARAN di avviare le trattative, disponendo dei fondi stanziati dalla legge di bilancio 2018. Come è noto, i dirigenti delle scuole soffrono di una grave iniquità: nonostante il loro lavoro sia caratterizzato da molte più responsabilità di quello degli altri dirigenti pubblici, percepiscono una retribuzione molto inferiore. Il nuovo CCNL dell’area dirigenziale “istruzione e ricerca” dovrebbe consentirci di raggiungere un primo importante obiettivo: la voce stipendiale nota come “indennità di posizione fissa” dovrebbe diventare pari a quella dei colleghi dirigenti degli enti di ricerca e dell’università. Si tratta di una parte minoritaria della differenza retributiva da colmare, ma è quella più importante perché, essendo costituita da voci “fisse e continuative”, non può essere assoggettata ad una eventuale futura reformatio in pejus, come può invece accadere (ed è effettivamente accaduto) per le voci retributive accessorie. Inoltre l’indennità di posizione fissa è totalmente pensionabile, al contrario di quanto avviene con le voci accessorie.