La Commissione “Serianni”
L’art. 7 del DM 741/2017, che discende dal D.Lgs. 62/2017, individua finalità e tipologie della prova scritta di italiano prevista per l’esame di Stato che conclude il primo ciclo. Sappiamo che il Miur ha incaricato una commissione, presieduta dal prof. Luca Serianni, di elaborare un documento di orientamento per la redazione di tale prova.
La commissione era composta da Massimo Palermo, ordinario di linguistica italiana all’università per stranieri di Siena, Nicoletta Frontani, docente di lettere presso il liceo classico “Augusto” di Roma, Antonella Mastrogiovanni, docente e collaboratrice dell’Invalsi, Carmela Palumbo, Capo del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur. Non si comprende perché la componente docente sia stata attinta dal liceo classico e non, com’era certamente possibile e auspicabile, dallo stesso primo ciclo di istruzione cui si riferisce il testo.
Le proposte per la prova scritta
Le indicazioni della commissione contengono, dopo una breve premessa, delle linee-guida per l’elaborazione delle tracce riferibili alle tre tipologie individuate dal decreto: testo narrativo e descrittivo (A), testo argomentativo (B), comprensione e sintesi di un testo (C). Il decreto prevede anche la possibilità di una prova strutturata in più parti riferibili alle tipologie anzidette. Per ciascuna delle tipologie il documento enuncia principi didattici e propone esempi.
Val la pena qui, al di là del dettaglio che è possibile rilevare da un’attenta lettura del testo, evidenziare alcuni principi di fondo, che peraltro vengono da lontano. Basti dire che la presunta mediatica presa di distanza dal vecchio “tema” che questo documento sosterrebbe ha già superato i quarant’anni di vita, se si considera l’anno di pubblicazione delle Dieci Tesi per un’educazione linguistica democratica, la cui rilettura comunque gioverebbe ancora a tutti gli insegnanti di italiano.
Scritture e riscritture
Proprio l’idea di un insegnamento linguistico dal respiro educativo sembra trapelare dai suggerimenti della commissione. La lingua, concepita quale veicolo di cittadinanza, per essere “imparata” dev’essere agita, situata, finalizzata. E gli insegnanti del primo ciclo sono invitati a costruire la padronanza linguistica gradualmente “fin dal primo anno del ciclo”, con evidente richiamo alla verticalità che sorregge l’impianto delle Indicazioni Nazionali. È un effetto di retroazione, quel che l’esame deve produrre, fondato sul principio che l’acquisizione di padronanze linguistiche non si ottiene dall’oggi al domani, ma si sostanzia di pratiche reiterate e rese consapevoli.
Tra queste il ruolo-principe lo assume quella del riassunto, suggerito addirittura in premessa. Anche in questo caso la semplificazione mediatica ha parlato di ritorno del “vecchio riassunto” addirittura come prova di esame (La Repubblica: “La rivincita del riassunto, da noioso compito a casa a prova di esame”), ma in realtà sotto questo nome occorre rubricare la feconda pratica della riscrittura, a cui il documento attribuisce grande valore formativo.
Gli usi della lingua
A leggere il documento si scorge chiaramente un orientamento didattico funzionalistico, volto allo sviluppo di competenze comunicative e linguistiche. Si parla infatti di apprendimento attivo, rinforzato da tracce e stimoli di scrittura contestualizzati, e gli esempi proposti assumono l’aspetto di compiti autentici: “immagina che…”, “il tuo racconto ha come scopo…” ecc. Da questo punto di vista si può ritenere che la didattica sottesa agli orientamenti per le tracce di esame sia coerente con l’elaborazione ministeriale rinvenibile nelle Indicazioni nazionali (2012) e nelle Linee guida per la certificazione delle competenze (2018). Va detto anche che la commissione, che si accinge a porre mano alla prova di italiano dell’esame finale delle superiori, avrà agito secondo criteri di continuità tra i due cicli.
Non mancano riferimenti alla creatività e al piacere della lettura. Il documento, cioè, vuole evitare che l’idea di traccia orientata o strutturata, con consegne certamente meno generiche di quelle del vecchio tema, finisca per coartare gli slanci creativi degli allievi e per mortificare il desiderio di leggere. Si propone un equilibrio, dunque, tra dimensione strutturata e orientata delle tracce e libera attitudine inventiva dei discenti.
La verifica della comprensione di un testo
Un punto del documento sembra contenere un’ambiguità forse riconducibile alla preoccupazione di accreditare le prove Invalsi di italiano quali stimoli capaci di fare emergere la comprensione dei testi. Nell’illustrare la tipologia C, dopo un ulteriore elogio della pratica di scrittura, gli estensori del documento scrivono che “una prova del genere (di riscrittura di un testo) rappresenta anche un’occasione per verificare l’effettiva comprensione di un testo dato, attraverso domande a risposta chiusa che propongano affermazioni ricavate dal testo, secondo l’alternativa vero/falso o attraverso domande a risposta multipla”. Non si capisce se la comprensione di un testo dato si manifesti attraverso la riscrittura (che è un’attività aperta o semiaperta) oppure attraverso item chiusi. Questi ultimi vengono proposti in chiusura di documento quali possibilità di verifica della comprensione.
In realtà la questione di come sia possibile verificare davvero la comprensione di un testo rimane aperta. Il documento si occupa delle prove di esame e propone esempi aperti, di creazione orientata, riscrittura, contestualizzazione e interpretazione. Soltanto in chiusura strizza un occhio benevolo alle risposte multiple strutturate.
Quante valutazioni? Alcuni perché…
Due mesi prima dell’esame agli allievi sarà proposta la prova standardizzata che ha altre caratteristiche, che includono conoscenze grammaticali. Poi gli alunni riceveranno una valutazione in decimi della prova di italiano, che confluirà nella valutazione globale dell’esame e infine nella media del tutto col voto di ammissione. Usciranno quindi dal primo ciclo con un voto in decimi. Contestualmente riceveranno la certificazione delle competenze con l’indicazione di un livello per la padronanza in lingua madre ed un livello per la prova Invalsi affrontata due mesi prima (con descrittori elaborati dallo stesso Istituto e comunicati alle scuole). Da tutte queste valutazioni qualcuno, che riceve l’allievo nel secondo ciclo, dovrà comprendere con quale padronanza linguistica egli si presenta.
Questione complicata, quella valutativa, che ovviamente esulava dagli scopi della commissione.