Il messaggio dell’Osservatorio nazionale sulla dispersione
È stato presentato il 10 gennaio scorso il Piano nazionale di lotta alla dispersione scolastica, frutto di un lavoro di una “cabina di regia” istituita nel maggio 2017, che ha incluso le Regioni, i Comuni italiani, le forze sociali e le tante esperienze di scuola diffuse in Italia, con buone pratiche che funzionano.
Come dichiarato dall’ex sottosegretario all’istruzione Marco Rossi Doria, che ha coordinato i lavori della cabina di regia, l’obiettivo di questo Piano è quello di lasciare alle “forze politiche di ogni colore la possibilità di avere dati statistici aggiornati e una serie articolatissima di raccomandazioni”.
Una scuola diseguale
Dal rapporto emerge con chiarezza che la dispersione non è solo una disfunzione della scuola, ma è causa e insieme conseguenza di mancata crescita e, al contempo, di deficit democratico nei meccanismi di mobilità sociale del nostro Paese. In sintesi è l’indicatore di una deficienza del nostro sistema in termini di equità.
Una presa d’atto importante dal parte della cabina di regia è che la dispersione, in tutte le sue forme, non è un “epifenomeno marginale”, ma è una emergenza nazionale e come tale deve essere trattata. Insomma, si tratta di un “fenomeno multifattoriale che va affrontato con una politica di ampio respiro che veda l’impegno attivo, costante e concordemente indirizzato e accompagnato nel tempo, di tutti gli attori in campo, istituzionali e non”.
Si prende consapevolezza, quindi, che la dispersione scolastica non può essere affrontata con atti estemporanei e con la decretazione d’urgenza come è avvenuto sinora.
La dimensione ereditaria degli Early school leavers (ESL)
Anche in questo Piano viene ripreso un concetto già espresso da altri autorevoli rapporti, fra cui Save the children e Treccani: le diseguaglianze, anche nel nostro Paese, si tramandano di padre in figlio, si riproducono cioè tra generazioni. La povertà economica ed educativa dei genitori, pertanto, viene trasmessa ai figli, che a loro volta saranno, da adulti, a rischio povertà ed esclusione sociale.
Sono dati allarmanti che ci parlano di un Paese nel quale è la “lotteria della natura”, e non il talento, a determinare i percorsi educativi e di vita dei ragazzi.
La situazione di grave criticità del Meridione del Paese
L’analisi dei dati regionali della dispersione calcolata in ESL conferma appieno quanto emerge da una serie di rapporti e ricerche, nazionali ed internazionali.
Il rapporto elaborato dalla cabina di regia evidenzia, infatti, “la situazione di grave criticità del Meridione del Paese, anche se è interessante notare che, contrariamente al comune pregiudizio, una regione come la Basilicata ha un tasso di dispersione pari al tasso nazionale, inferiore ad esempio a quello della Toscana”.
Un altro dato che emerge è che la dispersione scolastica aumenta laddove si addensa la concentrazione della povertà delle famiglie, soprattutto nelle periferie urbane e nelle aree di massiccia esclusione sociale e con assenza di servizi e interventi precoci.
Nel Mezzogiorno, infatti il tasso di servizi comunali per la fascia 0-2 è drammaticamente sperequato rispetto alle altre macroregioni. Se, infatti, a livello nazionale i bambini di età compresa fra 0 e 2 anni che usufruiscono di servizi socio-educativi comunali o finanziati dai Comuni sono circa il 13 % della popolazione 0-2, nel Mezzogiorno la percentuale è intorno al 4,0 mentre al Centro Italia si arriva al 18,4 %.
La scuola da sola non ce la può fare
È chiaro che di fronte a un fenomeno di una simile portata la scuola non può fare da sola. Occorre un impegno di tutti gli attori: Ministeri del Lavoro e delle Politiche sociali, dell’Interno, regioni, comuni, attori economici, parti sociali, terzo settore, volontariato.
Soprattutto oggi che la scuola deve ricostruire, senza il sostegno sociale, una relazione educativa capace di intervenire sui codici di comportamento e sulla definizione delle regole sociali.
Insomma, la scuola oggi è il presidio educativo del Paese, ma per esserlo effettivamente non può contare su un contratto sociale condiviso e deve creare un nuovo laboratorio diffuso che innovi i modi dell’apprendimento.
La finalità, ambiziosa ma inderogabile, del Rapporto è di avviare nel prossimo quinquennio e nella prossima legislatura un’azione di unità nazionale tesa ad abbattere i tassi di abbandono di scuola e formazione ben sotto il 10% in ogni area del Paese, coniugando ovunque lotta alle povertà e impegni per il successo formativo.
Dall’alfabetizzazione alla dealfabetizzazione del Paese
La riforma della scuola media unica che aboliva le diverse scuole di avviamento professionale istituite dalla Riforma Gentile fu alla base di una massiccia e positiva alfabetizzazione del Paese.
Nel censimento del 1961, un anno prima dell’istituzione dalla scuola media unificata, le persone con la licenza media erano in Italia solo 1.930.000, ma al censimento del 1971, passati soli 7 anni scolastici dall’avvio della scuola media statale, i ragazzi con la licenza della nuova scuola “di mezzo” raggiunsero i 3.384.000 e nel 1981, dopo 17 anni scolastici, oltre i 6 milioni. Il tasso di quattordicenni in possesso di licenza media passò, nei dieci anni successivi, dal 46,8% all’82,3%. Eravamo diventati un paese europeo in pochi anni.
Poi c’è stato l’emergere di nuove criticità nel vasto panorama, purtroppo, dell’analfabetismo funzionale, dell’analfabetismo di ritorno, dei drop-out, degli insuccessi e degli abbandoni scolastici che vanno ad infoltire la fitta schiera della cd. neet generation (i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni senza un lavoro, nè studio, nè formazione) e la generazione dei cd. “millennials”, coloro che attualmente si trovano nella fascia d’età 15-35 anni, quella in cui si realizzano le prime scelte della transizione allo stato adulto.
La nostra scuola è ancora “di classe”
Insomma, a 50 anni dalla denuncia di don Milani, la nostra scuola è ancora “di classe” perché “i tassi elevati di abbandoni e di livelli inaccettabili di conoscenza coincidono con le zone più povere d’Italia dove sono concentrate le famiglie socialmente escluse, dove vi è anche minore accesso a libri, biblioteche, musei, rete dei servizi per la prima infanzia, sport, fruizione digitale e dove chi nasce in una famiglia e in un contesto territoriale escludente e pauperizzato ha molte meno chance di successo formativo”.
Le raccomandazioni pratico-operative antidispersione
Quello elaborato dalla cabina di regia è un forte documento di indirizzo contro la dispersione. Si tratta di una serie di raccomandazioni pratico-operative per contrastare il fallimento formativo e l’esclusione precoce e finalizzate al miglioramento delle strutture, alla migliore gestione del tempo scuola, all’innovazione pedagogica e didattica.
Ed è in tale prospettiva che il Piano nazionale di lotta alla dispersione scolastica propone quello che ha il sapore di un vero e proprio documento programmatico per coloro che si candidano a governare questo Paese:
- aumentare gli investimenti per rendere le scuole più sicure, accoglienti e inclusive facendone anche luoghi comunitari e partendo, possibilmente, proprio dai quartieri di massima crisi nonché dalle aree interne spopolate;
- proseguire sulla strada disegnata dal D. Lgs. n. 65/2017 relativo al segmento 0-6 aumentando fortemente la presenza di asili-nido e servizi per la prima infanzia e di programmi di sostegno alla genitorialità, in particolare per la fascia di età 0-6, nel Sud e nelle aree di maggiore crisi, nelle periferie urbane e nelle zone interne;
- promuovere un piano mense di qualità in ogni scuola a partire da quelle dell’infanzia e primarie nelle aree di massima povertà educativa;
- estendere il tempo prolungato e pieno a partire dalle medesime aree evitando un ripetersi pomeridiano delle attività ordinarie integrandole, invece, sia con occasioni di apprendimento in ambito musicale, teatrale, dell’espressione grafico-pittorica, dello sport;
- investire sull’apertura prolungata delle scuole, in particolare nelle aree a più alto rischio;
- rafforzare le dotazioni di organico e il finanziamento per i CPIA, soprattutto nelle aree più difficili e favorire il loro coordinamento con l’istruzione e formazione professionale (IeFP) in forme flessibili capaci di intercettare i ragazzi particolarmente fragili;
- favorire la didattica laboratoriale superando il prevalere dell’approccio trasmissivo in ogni grado e ordine di scuola, soprattutto nella scuola media di I e II grado, e innanzitutto nelle aree di massima crisi educativa, concentrando la prospettiva di innovazione didattica sull’ipotesi di progressiva costruzione di aule tematiche nelle aree della lingua, delle discipline scientifiche, della matematica, della geografia e storia, etc.;
- sostenere le esperienze di peer education ben fondate e condotte;
- sostenere l’innovazione digitale, promuovere lo studio con metodo sperimentale e affiancando continuamente media tradizionali, esperienze creative con diversi metodi, materiali, manipolazioni, nuovi media;
- estendere a tutti gli ordini di scuola, d’intesa con le parti sociali, le due ore settimanali retribuite dedicate al coordinamento tra docenti, programmazione condivisa, verifica e riflessione comune così come già avviene da anni nelle scuole primarie (nella redazione del nuovo CCNL scuola);
- assicurare nelle aree di massima crisi un forte organico per i BES che, in questi territori, vivono il rischio dato dal doppio fattore di esclusione, del contesto e personale.