Tra gli aspetti oggetto di maggior discussione nella scuola di oggi sta certamente la previsione di esperienze di alternanza scuola-lavoro nell’ultimo triennio di ogni indirizzo della scuola secondaria di II grado (per 200 ore nei Licei e 400 ore nei Tecnici e Professionali). Questa innovazione viene considerata indispensabile da molti osservatori, per colmare la distanza che separa la cultura scolastica dalle trasformazioni nel mondo delle imprese, dei servizi, della ricerca (cfr. Scuotto, 56). Altri però ritengono che un rapporto subordinato della scuola rispetto alle esigenze del mercato del lavoro finirebbe con il tradire la funzione culturale “disinteressata” da riservare all’istruzione. Se ne è discusso con i diretti interessati negli “Stati generali” dell’alternanza convocati al Miur il 16 dicembre 2017. Sono emerse molte esperienze di buona qualità, ma sono state denunciate anche carenze e criticità nell’organizzazione di una metodologia che invita a ripensare a fondo il curricolo scolastico (cfr. Da Crema, 71).
Infatti è necessario cogliere meglio il “senso” dell’alternanza, che non coincide con un precoce addestramento a specifiche mansioni lavorative, né vuole fornire “manodopera” gratuita alle aziende, né essere una generica esperienza integrativa “outdoor”. Vanno dunque precisate le coordinate culturali ed educative di questa innovazione, stabilendo i diritti e i doveri degli studenti in alternanza (che sono stati formalizzati un una apposita “Carta” – cfr. Maloni, 62), nonché le risorse effettivamente a disposizione per riconoscere gli impegni dei tutor interni alla scuola e dei tutor aziendali (cfr. Ciccone, 65). L’esperienza dell’alternanza, che deve mantenere un carattere esclusivamente educativo e didattico, va dunque ricompresa nella valutazione del complessivo percorso formativo di ogni allievo, e contribuirà ad arricchire il suo curriculum. Inoltre, in base al D.lgs. 62/2017, diventa elemento qualificante del nuovo esame di Stato (cfr. Ciccone, 69).