Il 2018 porterà un nuovo contratto di lavoro per i docenti italiani? Sembrano esserci le condizioni politiche (imminenza delle scadenze elettorali) per sottoscrivere una intesa contrattuale, sulla falsariga di quanto è avvenuto per il comparto dei dipendenti dell’amministrazione dello Stato. Le risorse sono centellinate sulla misura di una finanza pubblica non esaltante, e probabilmente le decisioni finiranno con lo scontentare un po’ tutti. I sindacati premono per il riconoscimento delle loro prerogative in materia negoziale, non avendo gradito certi effetti unilaterali della “Buona Scuola” (cfr. Gissi, 68), e cercheranno di ricondurre al tavolo contrattuale i diversi rivoli accessori (bonus, card, premialità) che avevano fatto capolino nelle politiche scolastiche.
C’è da recuperare un dignitoso trattamento economico per gli insegnanti italiani (e per le altre categorie di lavoratori della scuola), ma le risorse messe a disposizione sono contingentate (vedi anche la recente legge 205 del 27 dicembre 2017, con le “poste” relative al bilancio dello Stato per il 2018). E dire che, al di là dello scoglio retributivo, sarebbero assai rilevanti le questioni di ordine giuridico e professionale: definizione di standard professionali di qualità, riconoscimento di nuovi e maggiori impegni dei docenti (al di là del mantra dell’orario-cattedra o delle striminzite 40+40 ore di attività connesse all’insegnamento), profili di carriera e riconoscimento di responsabilità intermedie, dignitosa sistemazione della questione formazione in servizio “obbligatoria”.
Per scacciare il prevalente pensiero-pensione (cfr. Rubino, 57) sarebbe necessaria una nuova stagione di passioni professionali, oltre che una maggiore generosità da parte della società nei confronti di chi regge il peso di un mestiere sempre più difficile. In questo frangente è arduo pensare ad una “svolta epocale” nelle relazioni sindacali, ma almeno si tenga aperta la prospettiva di una professione docente da rispettare e da valorizzare.